Meditazioni: Domenica 34ª settimana del Tempo Ordinario, Solennità di Cristo Re (ciclo A)

Riflessioni per meditare nella domenica della 34ª settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Gesù è il re dell’Universo e di ognuno di noi; Senza temere il giudizio; Cristo si identifica con le pecore.

- Gesù è il re dell’Universo e di ognuno di noi

- Senza temere il giudizio

- Cristo si identifica con le pecore


La fine dell'anno liturgico è arrivata con la Solennità di Cristo Re. Queste settimane in cui la Chiesa ci ha proposto di considerare le verità ultime ci portano verso una certezza: Gesù Cristo è il Signore della storia universale e, allo stesso tempo, di ogni storia personale. «Dio onnipotente ed eterno - recitiamo nella colletta -, che hai voluto ricapitolare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell’universo, fa’ che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, ti serva e ti lodi senza fine». Nulla di ciò che accade sfugge alla sua conoscenza. Nessuna delle nostre preoccupazioni o dei nostri desideri va perduto perché Lui governa tutto.

Regnare Christum volumus, il beato Álvaro del Portillo ha scelto come motto episcopale: vogliamo che Cristo regni. È una delle giaculatorie che san Josemaría ripeteva fin da piccolo. «Cristo deve regnare innanzitutto nella nostra anima – diceva – . Ma come risponderemmo se ci domandasse: tu, mi lasci regnare dentro di te? Io gli risponderei che per farlo regnare in me ho un grande bisogno della sua grazia: soltanto così anche il palpito più nascosto, il sospiro impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, perfino la sensazione più elementare, tutto potrà tradursi in un osanna a Cristo, il mio Re»[1].

«Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica – questo re – la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi “re”»[2].


Il Vangelo di oggi ci fa vedere Gesù che annuncia come sarà il giudizio universale. Lui stesso, seduto sul trono della sua gloria, «separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre» (Mt 25, 32). Può apparire sorprendente che il Signore, per parlare di quel momento, non si presenti come un temibile giudice, ma come un pastore misericordioso. Gesù è il primo interessato alla nostra salvezza. Egli è il pastore che, quando le pecore si allontanano, fa di tutto per farle ritornare all’ovile. «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita» (Ez 34, 15-16).

San Josemaría ricordava che il Signore «non è un dominatore tirannico né un giudice rigido e implacabile: è nostro Padre. Ci parla dei nostri peccati, dei nostri errori, della nostra mancanza di generosità, ma lo fa per liberarci da tutto questo e offrirci la sua amicizia e il suo amore. La consapevolezza della nostra filiazione divina riempie di gioia la nostra conversione: ci dice che stiamo tornando alla casa del Padre»[3]. Per questo, «l'immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un'immagine terrificante, ma un'immagine di speranza»[4].

Quando si è spinti soltanto dalla paura – sia pure di un possibile castigo, di fare una cattiva figura o per altra ragione – non si giunge a dare un senso completo a ciò che si fa. Si potranno fare cose apparentemente corrette, ma siccome la motivazione non pare quella giusta, sarà difficile goderne il bene che ne è sottinteso: semplicemente ci si comporterà in maniera di evitare conseguenze negative. Per questo Gesù, presentandosi come Giudice-pastore, ci chiama ad attendere senza paura l’incontro finale con Lui. Di più, sarà un momento lungamente atteso, dato che contempleremo l’Amore che ha dato senso a tutte le nostre azioni. «Non brilla nella tua anima il desiderio che tuo Padre-Dio abbia a rallegrarsi quando dovrà giudicarti?»[5].


Nel Giudizio, il Signore loda coloro che avendolo visto nel bisogno sono corsi in suo aiuto. E quando quei giusti gli chiedono quando mai lo hanno fatto, perché non lo ricordano, Gesù li rassicura: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40). Allo stesso modo, ma al contrario, si rivolge a quelli che non si sono preso cura dei più deboli: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me» (Mt 25, 45). Così, Cristo non si presenta soltanto come pastore, ma si identifica anche con le pecore dell’ovile: qualsiasi gesto di affetto o di rifiuto verso i nostri fratelli, soprattutto quelli più bisognosi, è come se fosse fatto a lui stesso.

Il Signore conclude il suo annuncio del Giudizio così: quelli che ignorano i bisogni degli altri «se ne andranno (…) al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25, 46). Afferma, in tal modo, che «alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore, cioè sul nostro concreto impegno di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi. Quel mendicante, quel bisognoso che tende la mano è Gesù; quell’ammalato che devo visitare è Gesù; quel carcerato è Gesù; quell’affamato è Gesù»[6].

È così che Gesù mostra la sua regalità: mostrandosi nei deboli. Chiediamo alla Madonna di aiutarci a riconoscere suo Figlio nelle persone che ci passano accanto, sapendo che con il nostro desiderio di servirli amiamo il Re dell’Universo.


[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 181.

[2] Francesco, Angelus, 25-XI-2018.

[3] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 64.

[4] Benedetto XVI, Spe Salvi, n. 44.

[5] San Josemaría, Cammino, n. 746.

[6] Francesco, Angelus, 26-XI-2017.