- La Chiesa e il cristiano, riflessi della luce di Cristo
- Conoscere sempre di più Gesù
- La salvezza portata dall'Agnello di Dio
«Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria», dice Dio al profeta Isaia. «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra» (Is 49, 3.6). Queste parole, originariamente applicate al popolo di Israele, trovano il loro pieno compimento in Gesù e nella sua Chiesa. Il nuovo popolo di Dio non è confinato in una regione, in una cultura o in una società: il Signore estende la sua salvezza a tutte le nazioni e a tutti i popoli.
Sin dal primo discepolo di Gesù, «la Chiesa è chiamata a far risplendere nel mondo la luce di Cristo, riflettendola in se stessa come la luna riflette la luce del sole»[1]. In lei si realizzano le profezie riguardanti la città di Gerusalemme: «Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce. (...) Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,1-3). Per questo la Chiesa, nella sua vocazione a illuminare ogni momento storico concreto, interpreta i segni dei tempi alla luce del Vangelo. Lo fa tenendo sempre presente la sua missione. In questo modo, non smetterà mai di «rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto»[2].
Ogni credente è chiamato ad avvicinare agli uomini la luce che Cristo ha acceso nella sua anima. «Nella Chiesa c'è diversità di ministeri, ma il fine è uno solo: la santificazione degli uomini. E a questo compito partecipano in qualche modo tutti i cristiani, per il carattere ricevuto con i Sacramenti del battesimo e della cresima. Tutti dobbiamo sentirci responsabili di questa missione della Chiesa, che è la stessa missione di Cristo»[3]. Siamo tutti apostoli. Con questo spirito e con la convinzione che l'unione personale con Gesù è la cosa più importante in un compito che dipende da Dio, san Josemaría annotava: «Il mondo e Cristo. La nostra missione. Siamo pochi, vogliamo essere di più? Siamo migliori!»[4].
GIOVANNI Battista era consapevole che la sua grandezza derivasse da colui che lo aveva preceduto. Tutta la sua vita ruotava intorno al Messia. La sua missione era quella di preparare i cuori degli uomini alla sua venuta. Per questo, quando lo vide passare, volle che i presenti riconoscessero colui che dava un senso alla loro esistenza: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele» (Gv 1, 29-31). In modo simile, il cristiano sa che la luce che può trasmettere non è la sua, ma quella del Signore.
Forse colpisce il fatto che il Battista avesse detto «io non lo conosco», dal momento che Giovanni aveva sperimentato la vicinanza di Cristo fin dal grembo di Elisabetta, quando Maria visitò sua madre (cfr. Lc 1, 41-42). Possiamo supporre che anche in altri momenti, quando erano bambini e giovani, si siano incontrati. Tuttavia, per quante volte Giovanni fosse stato con Gesù, non sarebbe stato sufficiente per conoscerlo a fondo: avrebbe scoperto sempre nuovi aspetti della sua persona e della sua missione.
«Impariamo da Giovanni Battista a non presumere di conoscere già Gesù, di sapere già tutto di Lui Non è così. Fermiamoci sul Vangelo, magari anche contemplando un’icona di Cristo, un “Volto santo”. Contempliamo con gli occhi e più ancora col cuore; e lasciamoci istruire dallo Spirito Santo, che dentro ci dice: È Lui! È il Figlio di Dio fattosi agnello, immolato per amore»[5]. Se guardiamo a Gesù in questo modo, come il Battista, sempre con un'apertura rivolta a conoscere il Signore sempre di più, senza dare per scontato di conoscerlo già a sufficienza, saremo in grado di trasmettere meglio quella luce che viene da Dio, che non si spegne, e che tante persone stanno cercando.
GIOVANNI presenta Gesù come «l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo» (Gv 1, 29). Forse gli ascoltatori assoceranno queste parole all'agnello pasquale, il cui sangue era stato versato nella notte in cui gli ebrei erano stati liberati dalla schiavitù egiziana. Ogni anno ne veniva sacrificato uno nel tempio per commemorare la liberazione che Dio aveva concesso al suo popolo. Tutto questo era, in realtà, un'immagine di ciò che sarebbe diventato Cristo, che con il sacrificio sul Calvario avrebbe chiesto il perdono a nome di tutta l'umanità. «È lui il vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo, è lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita»[6].
Giovanni Battista ha quindi presentato molto presto il Messia come colui che, con la sua morte, avrebbe salvato il mondo. Questa concezione del Salvatore, tuttavia, non coincideva con quella della maggior parte dei suoi contemporanei. Molti si aspettavano una liberazione terrena, politica, simile a quella che Israele aveva ottenuto da Yahweh dal popolo d'Egitto; questa volta potevano aspettarsi che il Messia li sottraesse alla dominazione romana. Pertanto, la morte del Salvatore non poteva essere concepita come un trionfo. Tuttavia, questa non è la logica di Dio. Nel corso della sua vita, Gesù annuncerà le armi che userà, così diverse da quelle della guerra fisica, e che segneranno la sua proposta di salvezza: misericordia, servizio, carità, mitezza, pace...
Dopo che sono passati secoli, tuttavia, possiamo talvolta avere una mentalità simile a quella dei compatrioti del Battista; cioè pensare che la vittoria di Cristo sul male possa assicurarci una vita sicura e confortevole, o che si tratti di una superiorità terrena di qualche tipo, o che in qualche modo stia per arrivare. San Josemaría, invece, diceva: «Non esistono insuccessi – convincetevene -, se agisci con rettitudine di intenzione e col desiderio di compiere la Volontà di Dio. Allora, con o senza successo, vincerai sempre, perché avrai fatto il lavoro con Amore»[7]. Possiamo chiedere a Maria di aiutarci a comprendere sempre meglio la vera vittoria riportata da suo figlio, l'unico Agnello di Dio...
[1] Benedetto XVI, Omelia, 6-I-2006.
[2] San Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 2.
[3] San Josemaría, La Chiesa nostra madre, n. 32.
[4] San Josemaría, appunti per una lezione, dicembre 1935, citato in Camino, edizione critico-storica a cura di Pedro Rodríguez, commento al punto 984, Rialp 2004 (3a edizione), p. 1041.
[5] Francesco, Angelus, 19-I-2020.
[6] Messale Romano, Prefazio Pasquale I.
[7] San Josemaría, Forgia, n. 199.