L’esempio di quelli che non hanno niente

Héctor Piñeiro, ufficiale della Marina militare spagnola, racconta le sue impressioni durante i sei giorni da lui vissuti con 114 emigranti, salvati in pieno Mediterraneo durante la loro fuga dalla Libia.

“Gli emigranti provenivano da differenti Paesi dell’Africa Occidentale (Malì, Niger, Nigeria, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau), e tutti fuggivano dalla Libia in cerca di un futuro migliore”

Il mio nome è Héctor Piñeiro López e, come ufficiale della Marina militare spagnola, ho avuto occasione di risiedere in città e Paesi assai diversi tra loro, come San Pietroburgo, la Somalia o l’India. L’essere stato in Paesi di culture tanto diverse mi ha permesso di vedere dal vivo e direttamente ciò che vuol dire la fede per i cristiani nei diversi luoghi dove Dio li ha messi.

Una delle esperienze che più mi hanno toccato l’ho vissuta in uno degli ultimi viaggi per mare, durante il quale abbiamo incrociato in pieno Mediterraneo una imbarcazione alla deriva con 114 emigranti che si trovavano in quella situazione da tre o quattro giorni.

“Gli emigranti provenivano da differenti Paesi dell’Africa Occidentale (Malì, Niger, Nigeria, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau), e tutti fuggivano dalla Libia in cerca di un futuro migliore”

Dato che il motore della loro imbarcazione era in avaria e non avevano cibo, in adempimento alla Normativa Marittima SOLAS (Safety of Life at Sea), abbiamo accolto a bordo i 114 emigranti per sei giorni (tra l’11 e il 16 luglio 2011), in attesa di sbarcarli in un paese disposto ad accoglierli.

Questi emigranti provenivano da differenti Paesi dell’Africa Occidentale (Malì, Niger, Nigeria, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau), e tutti fuggivano dalla Libia in cerca di un futuro migliore prima che la situazione precipitasse in vista dell’imminente caduta del regime di Gheddafi, avvenuta poi in quel mese.

La convivenza con gli emigranti a bordo della nostra fregata è stata un’esperienza difficile da dimenticare per tutti noi. Abbiamo diviso con loro quello che potevamo offrire (cibo, indumenti, medicine) per non perdere tempo nei rifornimenti. Lo abbiamo fatto molto volentieri. Per me è stata una lezione; ho capito che anche chi dà agli altri ci guadagna.

“Tutti noi eravamo consapevoli di quanto fosse delicata la loro situazione, perché molti di loro avevano perduto i familiari durante la fuga dalla Libia”

Tutti noi eravamo consapevoli di quanto fosse delicata la loro situazione, perché molti di loro avevano perduto i familiari durante la fuga dalla Libia: alcune donne avevano perduto i mariti, alcuni mariti le loro mogli; altri non avevano notizie dei familiari rimasti in Libia. Inoltre, avevano investito nella fuga tutto quello che possedevano e il loro futuro si presentava quanto mai incerto. Malgrado la situazione drammatica, non era raro vederli sorridere, giocare e cantare le canzoni dei Paesi d’origine: erano abitualmente allegri. Io mi domandavo: com’è possibili che, nelle condizioni estreme in cui si trovano, abbiano questo atteggiamento positivo nei confronti della vita? La risposta l’abbiamo avuta all’alba del giorno seguente in una scena che non dimenticherò mai.

Quella mattina del 12 luglio abbiamo notato che molti emigranti, cristiani, facevano la loro “preghiera del mattino”. Uno di essi stava in piedi e ha cominciato a pregare ad alta voce. Con quella preghiera, in inglese, rendeva grazie a Dio per aver voluto conservare le loro vite e con molta forza proclamava: “Dio mio, siamo nelle tue mani; non ci abbandonare: tu sei l’unica cosa che ci rimane”.

Poche volte ho assistito a una preghiera così impressionante, nella quale si metteva in evidenza che quelle persone si rivolgevano a Dio, unico loro possesso. La cosa più importante della loro giornata erano i periodi di preghiera. Ho potuto constare che nell’unica cosa che ognuno di loro conservava, una piccola borsa, insieme ad alcuni oggetti indispensabili, non mancava il Vangelo tra i cristiani e il Corano tra i mussulmani. Anche questi ultimi facevano le loro preghiere, varie volte al giorno, con un raccoglimento impressionante.

“Nell’unica cosa che ognuno di loro conservava, una piccola borsa, insieme ad alcuni oggetti indispensabili, non mancava il Vangelo tra i cristiani e il Corano tra i mussulmani”

Da allora tutti noi abbiamo capito da dove traevano quella gioia e quell’ottimismo quelle persone in una situazione umanamente tanto compromessa: dalla fiducia e dall’abbandono in Dio; ed è stata per tutti noi un’autentica lezione.