La vita di Gesù, una discussione sempre aperta

L’annuncio del Vangelo assume accenti diversi in ogni momento storico ben preciso. Contemplare alcuni atteggiamenti di Cristo ci può aiutare nel nostro lavoro.

«A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare?» (Lc 13, 18). Questa domanda che Gesù rivolge a se stesso a voce alta, prima di raccontare alcune parabole, probabilmente è qualcosa di più che un atto retorico. Forse riflette ciò che egli stesso considerava nel proprio intimo spesso, almeno ogni volta che voleva trasmettere un suo messaggio nei diversi ambienti nei quali si muoveva. Questo atteggiamento può echeggiare in noi, anche sotto forma di domanda: come testimoniare l’amore di Dio qui e ora? Qual è la maniera migliore di condividere la sua luce in ogni momento storico particolare, con una persona concreta, che ha un suo modo personale di vedere la vita?

Se ci avviciniamo al Vangelo secondo questa chiave, vediamo, per esempio, che il Signore si interessa alla cultura che dava forma al mondo che lo circondava: qualche volta utilizza un canto popolare per smuovere le disposizioni di chi lo ascolta (cfr. Mt 11, 16-17), o parte da una notizia conosciuta da tutti – il crollo accidentale di una torre in cui morirono diciotto persone – per aiutare i suoi ascoltatori a migliorare l’idea che si erano fatta di Dio (cfr. Lc 13, 4). Cristo, inoltre, è sempre pronto a ogni tipo di domanda, specialmente a quelle di coloro che sembrano ostili alla sua persona o alla sua predicazione: il suo annuncio, che evita intelligentemente le polemiche sterili, riesce a colmare un vuoto, una insoddisfazione. E questa prontezza non si modifica quando sa che le intenzioni di chi fa la domanda non sono troppo oneste (cfr. Mt 22, 15-22; Mc 12, 13; Lc 20, 20).

Per un altro verso, non poche volte, cerca il modo di prolungare il momento di intimità per capire bene quello che l’altra persona sta veramente comprendendo, come quella notte con Nicodemo (cfr. Gv 3), l’incontro con la samaritana accanto al pozzo (cfr. Gv 4), con i discepoli di Èmmaus (Lc 24, 13-35) o in tante passeggiate con altri discepoli. Gesù sa che, da un lato, c’è quello che Lui ha predicato; ma, dall’altro, c’è quello che ognuno ha capito personalmente, ha incarnato nella propria storia personale, nel proprio modo di vivere, nei propri talenti e nelle proprie limitazioni.

Se la fede è «l’incontro con un evento, con una Persona»[1], osservare attentamente questi atteggiamenti di Cristo può essere una buona strada per comunicare meglio questo stesso incontro che trasforma la nostra vita. Infatti «tutta la vita di Gesù – diceva san Josemaría – non è altro che un meraviglioso dialogo, figli miei, una stupenda conversazione con gli uomini»[2].

Per Dio ogni momento è unico e buono

Ogni epoca è modellata da una cultura, da alcune convinzioni condivise, da alcuni aneliti propri... e perciò l’evangelizzazione acquista con il tempo modalità diverse. Benedetto XVI osservava che quando i cristiani si preoccupano per le conseguenze sociali della loro fede, spesso lo fanno «continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune». E invece, continuava, oggi «questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra essere più così»[3].

Benedetto XVI non si proponeva di trasmettere una radiografia pessimista del presente, perché per Dio non ci sono tempi migliori o peggiori. Semplicemente cercava di far luce su questa nuova situazione nella quale annunciamo Gesù: un momento nel quale molte persone non hanno sentito parlare del suo messaggio o considerano irrilevante ciò che hanno ascoltato; un momento nel quale a molti ancora nessuno ha portato la Buona Notizia dell’amore di Dio. Questo richiede la necessità di rifinire nuovamente i termini, di trovare le vie adatte per riaccendere l’immaginazione e il cuore di coloro che frequentiamo. È vero che non è difficile identificare manifestazioni culturali o artistiche che sono sorte da uno spirito cristiano, però molte volte rimangono isolate, senza alcun legame con il grande evento che aveva dato loro vita o con i disegni misericordiosi di Dio per ogni persona. Una meravigliosa opera d’arte o la valorizzazione di un diritto umano possono risultare bei frammenti, ma senza alcun legame, di un grande messaggio sconosciuto.

Il fatto che la fede non sia «un presupposto ovvio della vita comune» non fa altro che rendere più esaltante, e magari più bello, il lavoro di condividere il Vangelo. Se non diamo nulla per saputo, saremo noi i primi a dover scoprire l’essenza di ciò che Gesù ci ha portato: scendere fino alle radici di questa nuova vita, mirare alle cose più importanti. Per un certo tempo la situazione sarà simile a quella dei primi cristiani, che annunciavano una novità destinata a riempire i cuori di speranza e a colmare il vuoto che lasciavano le correnti del momento. Perciò, come Gesù, vogliamo trovare la maniera migliore per parlare del Regno di Dio a coloro che frequentiamo. «È bello – dice il Papa Francesco – vedere persone che si danno da fare nello scegliere con cura le parole e i gesti per superare le incomprensioni, curare la memoria ferita e costruire la pace»[4].

Il cristianesimo richiede un annuncio sinfonico

La mancanza di questo «tessuto culturale unitario» non dipende abitualmente dalla responsabilità di persone concrete. È un punto di partenza del quale è bene prendere coscienza, perché per trasmettere alcuni aspetti particolari del messaggio evangelico – che possono essere di carattere dogmatico, morale, ecc. – è necessario aver annunciato abbondantemente l’ambito generale che gli dà senso, il cuore che gli dà vita. Non è strano che Gesù abbia voluto spiegare chiaramente, perché non si facessero confusioni, che il comandamento all’amore è al di sopra di tutto il resto (cfr. Mt 22, 37-39). Solo su questa base i suoi insegnamenti acquistano armonia, ordine e comprensibilità. Così succede anche quando una persona vuole apprezzare un quadro: non si avvicina per vedere prima di tutto l’angolo della tela, perché questo non permette di percepire la composizione nel suo insieme, ma per prima cosa la osserva intera. Allo stesso modo, se l’annuncio cristiano si riducesse a uno o due temi particolari, si correrebbe il rischio di non esporre mai l’opera autentica, che dà senso integrale e bellezza a ognuno dei suoi elementi.

Per questo la ricchezza del cristianesimo chiede di essere espressa come una sinfonia, facendo risuonare contemporaneamente tanto i suoni bassi che danno consistenza all’orchestra, come il virtuosismo di ogni strumento particolare. Se una tromba si lancia a suonare al di sopra dei violini o della percussione che marca il ritmo, potrà forse proporre una melodia comprensibile per specialisti, ma sicuramente non entusiasmerà la maggior parte delle persone che gremiscono la sala. «Ogni verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente»[5]. Riguardo a tale illuminazione reciproca e facendosi eco del Concilio Vaticano II, il Papa ha sottolineato che i diversi aspetti dell’annuncio cristiano non sono tutti ugualmente importanti; non tutti esprimono con uguale intensità il cuore del Vangelo, il kerygma[6]: «In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto»[7].

In questa stessa direzione san Giovanni Paolo II riconosceva nella domanda del giovane ricco a Gesù su come raggiungere la vita eterna (cfr. Mt 19, 16), qualcosa di diverso da un dubbio sulle regole da osservare o da una ricerca di soluzioni parziali. Nella preoccupazione di quel giovane si nascondeva piuttosto «una domanda di pienezza di significato per la vita»[8]. Ciò che quel giovane manifestava era la sua esperienza di una «eco della chiamata di Dio»[9]. In tal modo si finisce di formare il grande ambito, quel grande annuncio all’interno del quale possono essere pienamente comprensibili tutte le altre verità cristiane: l’amore di un Dio misericordioso che, in Gesù Cristo, cerca tutti quanti noi. Gli strumenti isolati – questo o quel concreto aspetto dottrinale – si uniranno alla melodia se tutti i suoni dell’orchestra, specialmente quelli più importanti, si attivano in maniera sinfonica.

In definitiva, è importante ricordare che, nel dare testimonianza della nostra fede, conta più la musica che l’altra persona ascolta, intende e interiorizza, che ciò che noi pensiamo di aver detto in maniera soddisfacente. «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?», domanda Gesù. «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16, 13.15). Il Signore vuole verificare, e soprattutto vuole che lo facciano i suoi discepoli, quanto cammino hanno percorso nella conoscenza del loro Maestro.

È molto il terreno condiviso

Gesù ha attraversato da poco il Giordano, dalla Galilea fino alla Giudea. Vola come il vento la fama della sua predicazione e dei miracoli da lui compiuti, sicché un folto gruppo di gente non tarda a venire per incontrarlo. Tra essi, un buon numero di farisei, studiosi della legge. Uno gli fa una domanda sbrigativa sul divorzio. Gesù spiega allora l’indissolubilità del matrimonio, ricorrendo alle parole della Genesi. Anche se non sappiamo fino a che punto questa spiegazione li convince, vediamo però che gli stessi discepoli, da principio meglio disposti ad accogliere i suoi insegnamenti, rimangono perplessi: «Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19, 10). Qualcosa di simile accade quando Gesù annuncia, questa volta ai sadducei, la risurrezione futura del nostro corpo, in seguito a un complicato caso ipotetico da loro prospettato, anche servendosi delle parole di Mosè (cfr. Mt 22, 23-33).

In ogni momento storico esistono anche alcuni aspetti degli insegnamenti della Chiesa che, per motivi culturali, trovano una maggiore difficoltà ad essere capiti. La soluzione non consiste nel fare come se il problema non esistesse, perché questo vorrebbe dire disinteressarsi della felicità degli altri; gli insegnamenti della Chiesa ci fanno bene e perciò ne abbiamo bisogno. Il vero servizio agli altri consisterà piuttosto nel cercare di renderle comprensibili; mostrare una via transitabile, progressiva, facendoci carico della loro situazione. Perciò potrebbe andar bene appoggiarsi su elementi che gli altri già condividono con l’annuncio cristiano: costruire su un terreno comune. Così, nei due casi precedenti, Gesù ricorre a passi della Scrittura che i suoi interlocutori accettano come rivelatori di Dio. Anche ai nostri tempi esistono molti aspetti del cristianesimo che sono ampiamente condivisi: l’amore e la ricerca della verità, la promozione della libertà religiosa, la lotta contro ogni tipo di schiavitù o di povertà, l’impulso della pace, la cura dell’ambiente, un’attenzione particolare alle persone che hanno qualche invalidità, ecc.

Quante più difficoltà si trovano nell’annuncio, più va affermata l’essenzialità del messaggio cristiano e più conviene incrementare le convinzioni condivise. La verità si può paragonare a una pietra preziosa: produce una ferita se la gettiamo in faccia all’altro, ma se la mettiamo delicatamente nelle sue mani, condividendo il suo tempo e il suo spazio, potrà esercitare un'attrattiva divina. Ecco perché l’amicizia è il contesto migliore per la comunicazione della fede in un mondo pluralista e cangiante. In questi termini la beata Guadalupe Ortiz de Landázuri cercava di impostare la propria missione apostolica; la entusiasmava «gettare ponti e offrire la propria amicizia a persone di ogni genere: persone lontane dalla fede, persone di paesi molto diversi e di età molto varie»[10].

Trasformare i conflitti in anelli di congiunzione

«Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano [...]; essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra» (Lc 4, 10-11). Sono parole del Salmo 91 che il demonio manipola per mettere alla prova Gesù nel deserto. Quello che pretende il tentatore è che il Signore sorvoli le strade terrene mostrando il suo potere divino, senza sottoporsi alle logiche proprie di ciò che è storico. San Tommaso d’Aquino vede in questa tentazione la vanagloria che si può riscontrare nel percorso di coloro che hanno già imboccato una strada cristiana[11]. Non è vero che certe volte vorremmo non trovare neppure un sassolino nel nostro apostolato e che la Buona Novella si trasmetta per tutto il mondo come una sorta di irresistibile melodia angelica?

Sappiamo bene che il cristianesimo non si riassume in una serie di concetti, ma fondamentalmente consiste nell’incontro con Gesù. Tuttavia può succedere che a volte abbiamo la tentazione di ridurre la proposta di questo incontro alla soddisfazione di una discussione vittoriosa, ad avere sempre gli argomenti migliori da opporre ai dubbi degli altri. A che ci serve «vincere» in una disputa se si perde l’altra persona? In questo caso in realtà staremmo passando lontano dall’altro, come il levita e il sacerdote della parabola, che passarono oltre l’uomo che stava disteso sulla strada, ferito (cfr. Lc 10, 31-32). Per essere un buon samaritano è necessario, invece, «sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo»[12]. San Josemaría, durante l’ultimo anno della sua vita, era solito ripetere: «Dio ha avuto molta pazienza con me»[13]. E in questa realtà trovava il motivo per essere molto paziente con gli altri.

In questo senso è importante anche distinguere i contesti nei quali parliamo. Una cosa è difendere certi valori in un processo legislativo o intervenire in dibattiti sulla politiche di un governo, ma altra cosa molto diversa è voler condividere la gioia della propria fede con un amico. Eppure le reti sociali hanno fatto sì che molte volte si confondano i livelli e il dibattito pubblico finisca con l’invadere il terreno intimo, in cui i disaccordi dovrebbero essere superati dall’affetto reciproco. «Chi ricorre alla violenza per difendere le proprie idee – diceva il fondatore dell’Opus Dei – dimostra con ciò stesso che non ha ragione». E concludeva: «Non discutete»[14]. In situazioni di polarizzazione – che è la malattia del sano e normale pluralismo – certe volte sarà bene abbandonare il terreno che è diventato un campo di battaglia, scegliendo così di rafforzare la relazione anziché minarla forse per sempre. In un ambiente polarizzato, nel quale non esiste un contatto aperto con chi pensa diversamente, quando scompare la conversazione, le legittime differenze possono slittare un po’ per volta verso un disprezzo più o meno nascosto, o verso una chiara squalifica. Tutto questo è profondamente contrario allo spirito cristiano.

Una delle prime volte nella quale Gesù annuncia di essere il Messia atteso da tanto tempo, trova una dura opposizione: «Tutti nella sinagoga si coprirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù» (Lc 4, 28-29). In questo caso il clima del conflitto si è fatto rapidamente rovente, anche fino al pericolo di una morte. Gesù si rende conto che, in un simile contesto, non ha molto margine per ottenere alcunché di positivo. E allora, sorprendentemente, decide di andarsene in silenzio, passando in mezzo a loro. Spesso, come Cristo, sarà meglio preferire un silenzio che consenta allo Spirito Santo di agire: la forza di Dio non è rumorosa, fruttifica in silenzio e a tempo debito.

Riempire la nostra comunicazione con il Vangelo

Non ci stancheremo di meditare le risposte date da Gesù a quelli che gli aprono il cuore, a quelli che cercano in lui luce e serenità. Alla donna samaritana, per esempio, Gesù annuncia l’acqua viva che calmerà la sua sete più profonda (cfr. Gv 4, 10). A Nicodemo, invece, fa notare che per entrare nel Regno di Dio deve nascere di nuovo, questa volta dallo Spirito (cfr. Gv 3, 5). E ai discepoli di Èmmaus spiega che i profeti avevano annunciato fin dall’antichità tutto quello che doveva patire il Messia (cfr. Lc 24, 26-27). È bene rendersi conto che in nessuno di questi casi si tratta semplicemente di un'esposizione sulla fede. Nei tre brani, insieme agli aspetti dottrinali che Gesù espone, vi sono altre dimensioni della verità che queste conversazioni mettono in evidenza, che magari sono meno percepibili, ma sono ugualmente importanti: la verità su quanto il Signore dà valore alla relazione personale; su chi è Gesù Cristo stesso e su chi sono veramente loro. È la verità dell’incontro, la verità come ispirazione di un vincolo che è destinato ad essere duraturo.

Gesù non ha fretta, non allontana le persone: le riceve a qualunque ora e le accompagna nel cammino. Gesù comunica molto più di quel che dicono le sue parole: egli fa in modo, con la sua stessa presenza, che ognuno si senta figlio di Dio. Questa è la principale verità che le persone ricavano dopo un incontro con lui. Il nostro compito è quello di riempire tutti i livelli della nostra testimonianza – il contenuto della fede, la relazione di amicizia e il dinamismo stesso della nostra personalità – con lo spirito del Vangelo: «Quello che noi diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio verso tutti»[15].


[1] Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1.

[2] San Josemaría, Carta 37, n. 7.

[3] Benedetto XVI, Porta fidei, n. 2.

[4] Papa Francesco, Messaggio per la 50ª giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24-I-2016.

[5] Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 39.

[6] La parola greca kerygma significa annuncio o proclamazione. Viene utilizzata come sintesi dell’annuncio cristiano.

[7] Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 36.

[8] San Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 7.

[9] Ibid.

[10] Mons. Fernando Ocáriz, Omelia nella Messa di ringraziamento per la beatificazione di Guadalupe, 19-V-2019.

[11] Cfr. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, III, q. 41, a. 4, r.

[12] Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 227.

[13] San Josemaría, Appunti presi durante una riunione di famiglia, 10-VII-1974.

[14] San Josemaría, Appunti presi durante una riunione di famiglia, 7-IV-1968.

[15] Papa Francesco, Messaggio per la 50ª giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24-I-2016.