«La carità cristiana migliora la nostra vita di tutti i giorni»

«Il fondatore san Josemaría ci ha fatto capire che la santità può essere qui e ora». Ottanta anni fa un grande evento di fede e di vita: la nascita dell'Opus Dei. Con Monsignor Javier Echevarría, Prelato dell'Opus Dei, entriamo nel senso profondo di questo evento attraverso un'intervista pubblicata su "Il Tempo".

Monsignor Javier Echevarría, il 2 ottobre 1928, 80 anni fa, Josemaría Escrivá, fonda l'Opus Dei. Il cristiano «contemplativo itinerante»: fra tutte, questa ci sembra la forza, il carisma che ha permesso all'Opera di entrare di slancio nel terzo millenno.

«Quel giorno di 80 anni fa, San Josemaría ebbe dal Signore un'illuminazione intellettuale su cosa sarebbe stata l'Opus Dei: una moltitudine di persone comuni, di ogni razza, professione e condizione sociale che si sforza di vivere pienamente il cristianesimo. Fedeli che cercano di trasformare le cose di tutti i giorni in occasioni per incontrare Dio. È questo il senso del "contemplativo in mezzo al mondo": colui che, con l'aiuto di Dio e nonostante le sue debolezze, cerca di scoprire Gesù Cristo in ogni evento della sua esistenza».

«Che la tua - si legge nel libro del fondatore "Cammino" - non sia una vita sterile. Sii utile, lascia una traccia e incendia tutti i cammini della terra col fuoco di Cristo che porti nel cuore».

«Gesù ha trascorso la sua esistenza terrena impegnato a portare il suo messaggio di salvezza con il suo esempio, con le sue azioni, con la sua dedizione a chi gli stava attorno, senza riposo, fino alla morte sulla Croce. È questo l'ideale che trascina ogni cristiano autentico. Come diceva il fondatore dell'Opus Dei, per un innamorato di Gesù ogni momento è un tempo prezioso per rendere la vita più gradevole agli altri».

I membri dell'Opera sono considerati mistici «con la cravatta giusta». Negli anni scorsi, siete stati oggetto di una campagna stampa, a livello internazionale, di una inusitata violenza e giudicati «elite laica del cattolicesimo», «fanatici da deprogrammare». Che cosa è rimasto di quelle critiche velenose?

«Si dice - e a me non sembra una cosa buona - che la metà degli uomini critica l'altra metà. Non si deve dare importanza alle falsità. Si risponde con la carità e con la coerenza della propria vita. In molti casi, poi, le informazioni non corrette o calunniose sono l'occasione per dare informazioni giuste. Come tutte le realtà cristiane, l'Opera non si può capire finché non la si incontra personalmente e alla luce della fede. Quando si viene in contatto con i fedeli dell'Opus Dei, (sacerdoti diocesani e comuni laici), sospetti, pregiudizi e deformazioni cadono. San Josemaría pregava ogni giorno per questi amici: così li considerava».

Quanto c'è di Opus Dei nel futuro della Chiesa Cattolica?

«Il futuro è nelle mani di Dio, che ha assicurato la sua assistenza alla Chiesa. L'Opera continuerà a impegnarsi, in unione con tutti gli altri membri della Chiesa, per portare il messaggio di salvezza del Vangelo. Mostrando al mondo che la santità è ciò che Dio si aspetta da ciascuno di noi "qui e ora". Mi fa piacere ricordare che tante persone nei cinque continenti si meravigliano con gioia di questa possibilità: essere santi nel mondo».

Si può fare una lettura «civile» della proposta di Josemaria Escrivà?

«Il lavoro, inteso come l'insieme delle opere quotidiane, è luogo in cui ciascuno può incontrare Dio. Tutte le attività oneste possono essere santificate; tutto ciò che è umano può - direi, deve - rientrare nel rapporto con Dio. Questa intuizione, proclamata solennemente dal Concilio Vaticano II, è una rivoluzione silenziosa: una moltitudine di persone, fatta di studenti responsabili, professionisti e operai laboriosi, mariti e mogli fedeli, cittadini impegnati per il bene di tutti. Ciò ha certamente una "lettura civile", perché la vita cristiana contribuisce a umanizzare la società e renderla un posto migliore».

Le ondate del «relativismo morale e dottrinale» sembrano distruttive. Lei ha il polso dei sacerdoti dell'Opera che lavorano in ogni parte del mondo. Cosa la preoccupa di più?

«Il relativismo morale è una manifestazione del disagio interiore che sperimenta chi non ha ancora incontrato Dio. Il più alto servizio che possono fare i sacerdoti è di portare le anime a Dio, di farle partecipare dell'immenso dono dell'Eucaristia e riconciliarle con Lui attraverso il sacramento della Penitenza. Quanta pace nasce dal ritrovato rapporto con il Signore. Il messaggio del Vangelo fa capire che Dio ci vuole felici. Tra le diverse priorità, direi che una fondamentale è la santità delle persone che devono portare Cristo agli altri: si deve essere uomini e donne di orazione, di retta dottrina, di virtù, di dedizione a tutti».

E poi c'è la Pontificia Università della Santa Croce. E da poco il Campus Bio-Medico. Educazione e biotecnologie, sembrano essere le vostre nuove frontiere.

«La prima frontiera del lavoro dell'Opera è l'apostolato personale; ma San Josemaría ha spronato i fedeli dell'Opera a far nascere iniziative educative e assistenziali che si prendessero sulle spalle problemi concreti della società. Questo è ciò che cercano di fare al Campus Bio-Medico: un'università e un ospedale in cui la competenza dei medici possa essere accompagnata da una grande umanità, così come al Centro Elis a Roma si cerca di insegnare ai ragazzi a essere bravi professionisti e uomini completi. E poi c'è l'Università della Santa Croce che forma molti sacerdoti, religiosi e laici alla teologia, al diritto canonico, alla filosofia e alla comunicazione istituzionale. Un piccolo esempio di come sarebbe la società se fosse permeata dai valori cristiani».

Di lei si sente parlare poco. Ha scelto la linea di un operoso silenzio. Ci sono donne e uomini che bussano ancora alla vostra porta, che vogliono abbracciare l'ideale di vita di san Josemaría Escrivà?

«Le persone che si avvicinano all'Opera lo fanno perché cercano Dio. L'Opus Dei non ha altro scopo che aiutare fedeli comuni a riscaldare la temperatura spirituale delle loro vite per crescere nella fede e nell'amore alla Chiesa».

Giovanni Paolo II vi ha aiutato, erigendo l'Opera a «Prelatura». In voi si è rispecchiata l'idea del grande papa scomparso di una Chiesa Cattolica solidale con tutti, maestra indiscussa di verità. Questo «feeling» continua anche con papa Benedetto XVI?

«L'unione dei fedeli con il Romano Pontefice è una caratteristica essenziale della Chiesa e, pertanto, dell'Opera. Quando San Josemaría arrivò a Roma passò l'intera notte in orazione guardando la finestra degli appartamenti del Papa. Anche a noi ha insegnato ad avere una devozione filiale per il Papa. Benedetto XVI, in piena continuità con Giovanni Paolo II è un pastore esemplare. Per tutti i cattolici è un esempio di che cosa significhi il cristianesimo autentico».

Il 28 novembre è stato il 25° anniversario dell'erezione in Prelatura Personale, come avete vissuto questa ricorrenza?

«È stata un'occasione per riscoprire la grande verità, espressa da San Josemaría: dal fatto che tu ed io ci comportiamo come Dio vuole, dipendono molte cose grandi».

Il Tempo