"Incontrare Dio ai bordi di una piscina"

“Per chi come me viene dallo sport, dal mondo del nuoto, è stata cosa del tutto naturale trovare Dio proprio ai bordi di una piscina”. Così Massimo Caprotti, ex atleta, ora dirigente e responsabile di un importante e affollato centro sportivo di Genova, parla del proprio incontro con il messaggio di San Josemarìa e con l’Opus Dei.

“Anche se forse i risultati migliori li ho ottenuti sui 100 metri dorso, dove sono arrivato in finale ai campionati nazionali del 1971, in realtà nasco come fondista. Ero abituato a passare lunghe ore in vasca, da solo, per gli allenamenti. E quando sei solo pensi, rifletti. Svolgendo un’attività agonistica impari a confrontarti con te stesso e a conoscerti sempre meglio”.

È uno dei risvolti della vita sportiva che può aiutare molto nello scoperta della vocazione cristiana...

“È così. L’incontro con l’Opus Dei è avvenuto proprio in quegli anni grazie all’amicizia con un mio compagno di nuoto - un concorrente nella squadra di staffetta, a dir la verità – che mi ha invitato in un centro dell’Opera per un ritiro spirituale. Pochi giorni dopo ho avuto l’occasione di assistere alla proiezione di un filmato di una tertulia con San Josemaría. Più che le parole mi colpirono moltissimo lo sguardo e il modo di fare di quel sacerdote di cui avevo soltanto sentito parlare. Capivi che aveva qualcosa di speciale, dimostrava un calore e un amore per le persone, un entusiasmo, davvero contagiosi. Era la risposta che cercavo dentro di me.”

E poi…

“E poi… eccomi qua. Ho proseguito il mio impegno professionale nel mondo dello sport, ho conosciuto Valeria, mi sono sposato e sono padre di sei figli, la più piccola di due anni, la più grande di quindici. Da soprannumerario dell’Opus Dei, non faccio nulla di diverso da quello che facevo prima. Solo che la prospettiva è differente”.

Spiegati meglio.

“Prendi per esempio il mio lavoro. In particolare negli ultimi anni, nel mondo dello sport assistiamo a un’enfasi eccessiva sul risultato, ottenuto anche in maniera artificiale. La medicina, e non sempre quella buona, è entrata prepotentemente, a tutti i livelli, compreso quello dilettantistico. Da atleta prima, da responsabile di un centro sportivo poi, per me è fondamentale riuscire a portare dei valori diversi, più autentici. Quando vedo un ragazzo che nuota, o che si allena in palestra, cerco di vedere soprattutto una persona che sta crescendo. L’importanza dello sport, secondo me, sta soprattutto nella possibilità che offre all’uomo di superare con sacrificio e impegno i propri limiti, le proprie imperfezioni, e di confrontarsi serenamente con gli altri. Educa, insomma, al senso di responsabilità verso se stessi e il prossimo. A questo dobbiamo puntare quando un giovane si avvicina a questo mondo”.

Il complesso sportivo che dirigi ha poi delle origini un po’ particolari.

Ci tengo molto a sottolinearlo. È un centro molto grande - abbiamo due piscine, palestre, campi da calcio e da tennis, una pista di atletica – sorto a latere dell’esperienza educativa dei Fratelli Maristi che gestiscono la scuola attigua agli impianti. Oggi tutta la dirigenza del centro sportivo è composta da laici ma qualcosa di quelle radici è rimasta. Tutti noi che lavoriamo lì abbiamo imparato ad apprezzare lo stile del fondatore di questa Congregazione, San Marcellino Champagnat, un santo che amava molto i giovani e i bambini.

A proposito di educazione dei più piccoli, tu hai un compito non da poco anche a casa…

“Mi è servito molto, a riguardo, il consiglio che dava San Josemaría di “affrontare con spirito sportivo” le difficoltà, i piccoli contrattempi come i grandi problemi, che si possono presentare nella vita familiare. La famiglia in questo senso è una vera e propria palestra in cui crescere, dove si impara a dominare la propria impulsività o la propria comodità. Nell’educazione dei figli questo è un aspetto molto importante. Ogni figlio rappresenta un progetto di vita a sé stante che i genitori accompagnano, guidano, nel rispetto della libertà e delle scelte della persona”.

È un compito delicato che si impara sul campo….

“Papà non si nasce, lo si diventa. Anche per questo, insieme a mia moglie, ci siamo messi “a studiare”. Fin dal primo anno del nostro matrimonio abbiamo iniziato a frequentare, assieme a qualche coppia di amici, alcuni corsi, organizzati a Milano, che aiutano i coniugi e i genitori a vivere più consapevolmente e serenamente la vita di famiglia. Un’esperienza che ci ha aperto nuovi orizzonti all’interno delle mura domestiche - tanto farci scegliere di diventare “formatori familiari” a nostra volta - e che è diventata “contagiosa” nella nostra cerchia di amicizie. In questi anni l’interesse per l’orientamento familiare è cresciuto molto nella nostra città. Da qualche anno anche a Genova abbiamo dato vita a un’associazione, “Essere Famiglia”, che coinvolge moltissime coppie. Abbiamo da poco acquisito una nuova sede e svolgiamo un’attività formativa e di sostegno alla famiglia ormai estesa a tutta la Liguria, da La Spezia a Ventimiglia.

Una famiglia con sei figli, la responsabilità di un grande complesso sportivo, i corsi di orientamento familiare…come fai a seguire tutte queste cose?

“Si tratta in fondo di tante facce di un’unica medaglia, di un unico piano di vita. Anche in questo caso devo ringraziare San Josemaría che ha scritto in un punto di Cammino: “Fai quello che devi e stai in quello che fai”. Il segreto sta nella lotta quotidiana per usare bene il tempo a propria disposizione, per dare un ordine alle proprie giornate. Un allenamento costante a prestare attenzione e rivolgere un sorriso alle persone che ci sono vicine”.