Venerdì 26 luglio | Sabato 27 luglio
Un migliaio di persone sono intervenute alle due riunioni con il prelato dell’Opus Dei a Los Angeles, che tra pochi giorni concluderà il suo viaggio pastorale negli Stati Uniti.
Uno dei primi interventi è stato quello di Lito, che ha 83 anni ed è il primo soprannumerario dell’Opus Dei a Los Angeles: “Nell’Opera, quando parlo con i più giovani mi sento come Yoda con il giovane Luke Skywalker”, ha detto, tra le risate dell’uditorio, ricordando i personaggi del film Star Wars. Ha voluto sapere come poteva aiutare i giovani ad avvicinarsi a Dio. Il prelato ha risposto che il primo mezzo è la preghiera, la cosa più importante. “Inoltre, non dimenticare che puoi aiutare anche le persone della tua età ad avvicinarsi a Dio. L’apostolato non ha frontiere, non ha limiti, è un mare aperto. Anche le persone anziane hanno un’anima...”, ha affermato.
Jim, un ex marine e padre di 10 bambini, ha condiviso col prelato le riflessioni su come educare i figli riguardo alla sessualità. Il prelato ha ricordato che il sesso è una realtà molto nobile creata da Dio; poi ha aggiunto che: “la purezza negli affetti non è una negazione; non conviene fissarsi soltanto su ciò che non si può o non si deve fare; è l’affermazione della dignità umana. Per conservare questa disposizione positiva verso l’amore, dobbiamo pregare per la nostra purezza personale e per la purezza di tutti”.
Tim, un produttore cinematografico con nomination agli Oscar, ha chiesto un consiglio su come influire positivamente sull’industria cinematografica. Il prelato lo ha incitato a santificare il suo lavoro facendolo bene, producendo per esempio “opere di svago di buona qualità tecnica e nello stesso tempo in grado di trasmettere un messaggio che faccia riflettere, anche se non esplicitamente cristiano. È invece controproducente presentare un messaggio cristiano in una maniera tecnicamente povera”.
La riunione del pomeriggio con le donne che partecipano alle attività apostoliche dell’Opus Dei è stata l’ultima del viaggio pastorale negli U.S.A. Margaret, che vive nella Silicon Valley ed è madre di 11 figli, ha detto di essere preoccupata che la prosperità economica della zona possa rendere difficile ai suoi figli il desiderio di una vita sobria. Il prelato le ha raccomandato di dimostrare con il suo esempio che si può vivere con poco ed essere felice: “Non essere felice perché ci manca qualcosa vuol dire essere schiavo di quell’oggetto. Il distacco ci rende liberi per amare le persone. Se siamo attaccati alle cose, la nostra forza per amare gli altri diminuisce. Il cuore si può espandere in modo straordinario, ma può anche restringersi.
Lucy ha parlato della tendenza all’individualismo che può offuscare la vita di una famiglia e ha voluto sapere come superare la paura di chiedere aiuto. Monsignor Ocáriz ha ricordato la scena evangelica nella quale Gesù chiede alla samaritana un bicchiere d’acqua: “Pur essendo chi era, Dio, onnipotente, avrebbe potuto fare un miracolo e ottenere l’acqua senza bisogno di un pozzo. E invece no, il Signore voleva aver bisogno di noi. Ci dà un esempio di come chiedere aiuto”. Poi ha aggiunto che “l’individualismo ha due versioni: non chiedere aiuto e non darlo, non preoccuparsi degli altri. Dobbiamo lottare per evitare l’una e l’altra cosa, perché l’essenza della vita cristiana è la carità”.
Jen e Megan, musicisti di jazz, hanno suonato la canzone “What a Wonderful World”, spiegando che li aiuta a ricordare la proposta di san Josemaría di “amare il mondo appassionatamente”.
Alla fine della riunione Mary ha chiesto al prelato di esprimere che cosa desidera dalle persone dell’Opera negli Stati Uniti: “Siate fedeli. Moltiplicatevi – ha risposto –. Non perché vogliamo essere molti, ma per aiutare molte altre persone, perché questo è ciò che il Signore vuole”.
La prima riunione che il prelato ha avuto a Los Angeles ha avuto inizio con una canzone. Lucy e Kayla hanno intonato con i loro ukulele “Il miglior giorno della mia vita”, mentre Samy, studentessa di etnomusicologia nell’UCLA, ha suonato la tromba, accompagnata dalle sorelle al violino e alla chitarra.
Samantha, studentessa dell’Università di California-Berkeley, ha domandato al prelato qual è la missione dell’Opus Dei nella Chiesa. “Il cammino della Chiesa è molto vasto e contiene molti modi differenti di percorrerlo per raggiungere la stessa meta. Tutti noi formiamo il Corpo Mistico di Cristo e per questo stiamo uniti e procediamo verso la stessa direzione, benché le maniere di andare avanti siano differenti. L’Opus Dei ricorda un messaggio esistente nel cuore del Vangelo: siamo tutti chiamati a essere santi, e la santità non è riservata ad alcune persone speciali”.
Mons. Ocáriz ha spiegato che “tutti gli sforzi umani nobili e limpidi sono un cammino verso la santità. Sicuramente, appoggiandosi alla preghiera e ai sacramenti, ma anche attraverso la vita ordinaria, il lavoro e la vita di famiglia”.
Kayla ha domandato in che cosa consiste essere santi. “Non significa essere persone senza difetti – ha detto il prelato –. È, invece, la perfezione dell’amore dimostrata nella lotta personale, nell’impegno per amare in maniera sempre più completa, anche se molte volte siamo costretti a ricominciare. San Josemaría diceva: ‘Un santo è una persona che lotta’, vale a dire, che si alza e ricomincia quando commette un errore”.
Alana, una giovane che lavora in un teatro di Los Angeles, ha chiesto un consiglio per vivere in modo coerente e cristiano in quell’ambiente. “In primo luogo, sii accogliente con tutti. Noi cristiani non possiamo disprezzare o trattare male nessuno. Poi avrai bisogno di una solida formazione per dare ragione della tua speranza, per spiegare non solo la verità rivelata, ma anche le verità aperte alla ragione umana”.
Quello stesso giorno, più tardi, il prelato ha avuto una riunione con i ragazzi che partecipano alle attività apostoliche dell’Opus Dei. “Leggete spesso il Vangelo – ha consigliato – e, per conoscere meglio il Signore, immaginate le scene. Questo ci dà la forza di cui abbiamo bisogno per portarlo agli altri e, dunque, per portare loro la felicità. La vita cristiana è inseparabile dall’impegno personale per conoscere e amare meglio Cristo, e dal desiderio e dall’impegno di farlo conoscere agli altri”.
Chao, uno studente cinese che sta facendo un dottorato di Geofisica a Stanford, ha raccontato al prelato che a Shangai un amico gli ha parlato per la prima volta di Dio e lo ha invitato a partecipare alle lezioni di catechismo insieme ad altre persone che seguono gli insegnamenti di san Josemaría. “Che cosa potrei fare io per aiutare l’Opus Dei a cominciare nella Cina continentale?”, ha domandato.
“Pregare – ha risposto il prelato -. Può sembrare una risposta semplicistica, ma tutto il lavoro apostolico dell’Opus Dei – come quello della Chiesa – è un’attività soprannaturale. Non è un semplice impegno umano, una strategia di tipo commerciale. La cosa più importante è confidare in Dio, sia in Cina come nel mondo intero”.
Jim, uno studente di Pasadena, ha spiegato che a volte non ha tempo sufficiente per conciliare lo studio, lo sport, gli amici e il rapporto con Dio. “Il segreto è essere più ordinati, perché in questo modo si utilizza meglio il tempo. Fa’ in modo di avere un piano di vita, nel quale siano previsti dei tempi per l’orazione e la lettura del Vangelo, e altri tempi per il lavoro e lo studio”.
Prima di concludere la riunione, Tim, produttore che ha avuto una nomination agli Oscar, ha consegnato a mons. Ocáriz una copia della statuetta dell’Oscar per festeggiare la sua visita a Los Angeles, il centro più importante dell’industria cinematografica degli Stati Uniti.
Domenica 21 luglio | Lunedì 22 luglio
“Benvenuto nel Texas, Padre! Yee-haw!”. Così hanno ricevuto il prelato gli oltre 200 giovani intervenuti a una riunione tenutasi a Houston. “In questo paese studiamo e lavoriamo pensando molto ai risultati. Come possiamo lavorare bene senza cadere nel perfezionismo?”, ha domandato Rosie, una studentessa che vive a sei ore da Houston e una volta al mese si sposta nella città texana per ricevere formazione cristiana in un centro dell’Opus Dei.
“Il significato profondo del nostro lavoro è l’amore per il Signore e per gli altri – ha detto mons. Ocáriz –, un obiettivo superiore che ci permette di dedicare tutto l’impegno necessario alle diverse attività senza che ne diventiamo schiavi. Abbiamo bisogno di lavorare con impegno, molte ore, ma se ci rendiamo conto che il significato del lavoro è soprannaturale, sapremo per esempio quando fermarci per dedicare tempo alla nostra famiglia, per riposare o per occuparci di altre persone”.
Nel pomeriggio il prelato ha avuto un’altra riunione con alcuni ragazzi di Houston e di altre città vicine. Pedro e Rafael, due fratelli gemelli, hanno domandato in che modo si può dare un aiuto nel lavoro di evangelizzazione che le persone dell’Opus Dei cercano di fare nel paese. “L’Opera si aspetta che chi vuole aiutare preghi molto – ha risposto –. Preghi perché tutti nell’Opus Dei e tutti quelli che partecipano ai mezzi di formazione cristiana siano fedeli alla vocazione cristiana. Preghi anche perché sia capace di portare a molte persone una cosa bellissima: il messaggio di Cristo”.
Joe, uno studente universitario, convertitosi dal protestantesimo, ha domandato al prelato come si è accorto della propria vocazione. Monsignor Ocáriz ha detto di aver conosciuto l’Opera per la prima volta grazie ai suoi fratelli maggiori quando era adolescente. Partecipò alle attività per un certo periodo, però poi decise di smettere, perché riceveva già una buona formazione religiosa a scuola. Quando terminò il liceo, il fratello più grande, che già lavorava come ingegnere, lo invitò a passare l’estate con lui nella città in cui si era stabilito. Lì riprese a frequentare un centro dell’Opus Dei. “L’ambiente era molto buono, stavo molto bene con quelle persone. Mi invitarono a riflettere sulla possibilità di far parte dell’Opera e la mia prima reazione fu quella di dire di no. Poi ci ho ripensato un poco, non molto, e soprattutto ho pregato di più. Ed è arrivato un momento – è Nostro Signore che interviene – in cui ho pensato: ‘È possibile... la chiamata di Dio è una cosa meravigliosa’. Allora ho detto: ‘Bene, facciamolo’. Questo facciamolo è la libertà di cui spesso abbiamo bisogno per dar forma alla chiamata di Dio. Dio ci lascia sempre, o almeno nella maggioranza dei casi, senza una chiarezza assoluta, per cui siamo noi a dover fare il passo finale, perché al momento di donarci siamo molto liberi. Ho detto ‘facciamolo’, e questo è stato... 58 anni fa”.
Come aveva fatto la mattina, il prelato ha concluso l’incontro chiedendo preghiere per il Papa, perché “egli confida nella preghiera di tutti i cattolici”.
Dopo essere passato da New York, Chicago e Wisconsin, monsignor Ocáriz ha proseguito il suo viaggio pastorale andando a Houston, in Texas, dove ha avuto due incontri con fedeli dell’Opus Dei e amici, che provenivano da Dallas, San Antonio, Austin, Miami, Louisiana e anche dal Messico.
Il prelato ha commentato il vangelo della Messa della domenica, che ricorda il momento in cui Marta si lamenta con Gesù perché lei lavora mentre la sorella Maria sta ad ascoltare il Maestro: “Sia il lavoro che la preghiera sono di estrema importanza. Come ci ha insegnato san Josemaría, bisogna trasformare il lavoro in preghiera, facendo di tutto ciò che facciamo un dialogo con Dio. Per questo abbiamo bisogno di contemplare nostro Signore, unendo strettamente la nostra vita a quella di Cristo. Così come Maria stava ai piedi del Signore mentre sua sorella lavorava, anche noi dobbiamo fare lo stesso mentre lavoriamo”.
Liz, una ricercatrice di Dallas, ha domandato al prelato come mantenere viva in noi la consapevolezza della nostra filiazione divina, non soltanto a livello intellettuale, ma anche vivendola con i sentimenti. “È la grande verità che abbiamo bisogno di conservare nel più profondo della nostra anima – ha risposto il prelato –: che Dio ci ama alla follia. Per questo il nostro rapporto con lui deve essere una risposta di amore. Renderci conto che siamo figli di Dio, godere di questo, non dipende dai nostri sforzi personali. A volte Dio ci concede momenti nei quali la nostra fede sembra più viva, più profondamente sentita, ma altre volte essa può contenere qualche lato in ombra. Spesso non vediamo l’amore di Dio, ma dobbiamo credere fermamente in lui e considerarlo nella nostra preghiera”.
Odette, infermiera e madre di nove figli, ha espresso una preoccupazione condivisa da molti genitori: come inserire l’uso della tecnologia nell’educazione dei figli. “In primo luogo, dando il buon esempio voi ai più piccoli”, ha detto il prelato. Nello stesso modo, ha invitato a educare i bambini all’autodominio, rinunciando per esempio a piccoli capricci, per poter essere sempre liberi.
Gaby ha raccontato una grazia di Dio ricevuta per intercessione del beato Álvaro del Portillo: alcuni anni fa avevano diagnosticato una grave malattia alla bambina della quale ero incinta. Secondo i medici, non avrebbe potuto camminare, parlare o respirare autonomamente. Mentre Gaby parlava, la bambina, Daniela, si è avvicinata al prelato per dargli un mazzo di fiori fra un grande applauso generale.
Oltre alle domande e risposte, i presenti hanno reso piacevole la riunione cantando la canzone Deep in the Heart of Texas.
Nel pomeriggio, in una riunione simile, monsignor Ocáriz ha ricordato “la fede di san Josemaría agli inizi dell’Opera, quando ricevette da nostro Signore l’incarico di fare l’Opus Dei. Volse lo sguardo al mondo intero pieno di speranza, una speranza basata sulla fede. Anche noi dobbiamo essere persone di grande speranza, una speranza basata nella fede: fede nell’amore di Dio per noi, fede nella vocazione cristiana che abbiamo ricevuto”.
Greg, controllore di volo della stazione spaziale internazionale della NASA, ha ricordato il 50° anniversario del primo allunaggio. A tale proposito ha voluto domandare a tutti i presenti: “Quale è stata la prima parola pronunciata sulla luna?”; “HOUSTON!”, ha risposto allegramente il pubblico a una sola voce. Greg ha spiegato che i residenti della città sono molto orgogliosi di questa frase (Houston, Tranquillity Base here. The Eagle has landed), che ricorda a tutti la responsabilità di portare la fede dappertutto.
La domanda successiva è stata posta da Chris, padre di quattro bambini piccoli e di un’altra bambina in arrivo: “Come possiamo, noi cristiani, condividere la fede con gli altri?". Il prelato ha indicato che, quando ci sentiamo deboli, abbiamo bisogno di trovare le nostre forze in Cristo, e specialmente nell’Eucaristia. “Ciò che succede quando riceviamo Gesù nell’Eucaristia è veramente stupefacente. Ci trasformiamo in Lui. È il contrario di ciò che succede con il cibo. Ci trasformiamo in Lui, ci trasformiamo ancor più in Cristo stesso. Sentire di essere deboli è naturale. Ma possiamo anche sentirci forti, con la forza che Dio ci dà”.
Tom sei settimane fa ha subito un grave incidente automobilistico. Come conseguenza, è rimasto con alcune limitazioni nella mobilità, ragione per la quale ha dialogato con il prelato in videoconferenza. “Come possiamo avere più cuore?”, ha domandato Tom. Il prelato lo ha incoraggiato a offrire le sue sofferenze per il Santo Padre e per la Chiesa; poi ha risposto che “solo quando Dio dilata i nostri cuori, quando Dio ci rende capaci di amare di più; la forza che ci è necessaria per amare viene dalla carità di Cristo, che otteniamo se la chiediamo al Signore. Sicché non affrontiamo da soli questa lotta, perché nostro Signore è con noi e, dunque, abbiamo sempre bisogno di chiedere il suo aiuto”.