Queste parole che il Papa Francesco ha pronunciato durante un incontro con le famiglie a Manila, hanno fatto il giro del mondo:
“Non è possibile una famiglia senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, si perde anche la forza di amare, perciò vi raccomando che la sera, quando fate l’esame di coscienza, ciascuno si ponga queste domande: oggi ho sognato il futuro dei miei figli, oggi ho sognato l’amore del mio sposo, della mia sposa, ho sognato la storia dei miei nonni?”[1]
Sognare
Questa capacità di sognare ha a che vedere con le aspettative che riponiamo nei nostri sogni e nelle nostre speranze, soprattutto in rapporto alle persone; cioè i beni e i risultati che desideriamo per loro, le speranze che nutriamo nei loro riguardi. La capacità di sognare equivale alla capacità di trasmettere il senso della nostra vita a coloro che amiamo. È dunque, qualcosa di peculiare di ogni famiglia.
Sin dagli inizi, san Josemaría ha contribuito a ricordare, seguendo gli insegnamenti della Chiesa, che il matrimonio – germe della famiglia – è, nel senso più pieno della parola, una chiamata specifica alla santità, nell’ambito della comune vocazione cristiana: un cammino vocazionale, diverso ma tuttavia complementare a quello del celibato – sia sacerdotale sia laicale – o con quello della vita religiosa. “L’amore che conduce al matrimonio e alla famiglia, può essere anch'esso un cammino divino, vocazionale, meraviglioso, una strada per la completa dedicazione al nostro Dio”.[2]
D’altra parte, questa chiamata di Dio nel matrimonio non significa in nessun modo sottovalutare i requisiti richiesti per seguire Gesù. Perché, se “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”[3], gli sposi cristiani trovano nella vita matrimoniale e familiare la materia della loro santificazione personale, cioè della loro personale identificazione con Cristo: i sacrifici e le gioie, i piaceri e le rinunce, il lavoro in casa e fuori casa, sono gli elementi con i quali, alla luce della fede, si costruisce l’edificio della Chiesa
Per un cristiano, sognare la sposa o lo sposo, vuol dire guardare il proprio coniuge con gli occhi di Dio. È la contemplazione, protratta nel tempo, della realizzazione del progetto che il Signore ha pensato e vuole, per ciascuno e per tutti e due, nella loro concreta relazione matrimoniale. È desiderare che questi piani divini divengano realtà nella famiglia, nei figli – se Dio li manda –, nei nonni e negli amici che la provvidenza mette loro accanto per accompagnarli nel viaggio della vita. È in definitiva la possibilità che ciascuno veda nell’altro la sua strada personale per il cielo.
Il segreto della famiglia
Cristo ha fatto del matrimonio un cammino divino di santità, per trovare Dio in mezzo alle occupazioni quotidiane della famiglia e del lavoro, per innalzare l’amicizia, le gioie e le pene –perché non c’è cristianesimo senza croce – e le mille piccole cose del focolare, al livello eterno dell’amore. Ecco il segreto del matrimonio e della famiglia. Così si anticipa la contemplazione e il gaudio del cielo, dove troveremo la felicità completa, definitiva.
Nell’ambito di questo “cammino divino” dell’amore matrimoniale, san Josemaría parlava del significato cristiano, profondo e bello della relazione coniugale: “In altri sacramenti la materia sono il pane, il vino, o l’acqua… Qui sono i vostri corpi. (. . .). Io vedo il letto coniugale come un altare; sta lì la materia del sacramento”[4]. L’espressione altare è sorprendente, e nello stesso tempo è la conseguenza logica di una lettura profonda del matrimonio, che ha nell’ una caro [5] -cioè nell’unione completa dei corpi umani, creati a immagine e somiglianza di Dio – il suo nucleo.
Da questa prospettiva si capisce che gli sposi cristiani esprimono, nel linguaggio della corporalità, la peculiarità del sacramento del matrimonio: con la loro mutua donazione, lodano Dio e gli danno gloria, annunciano e attualizzano l’amore tra Cristo e la Chiesa, assecondando l’opera dello Spirito Santo nei cuori. Da qui arriva agli sposi, alla loro famiglia e al mondo una corrente di grazia, di forza e di vita divina che rinnova tutto.
Ciò richiede una preparazione e una formazione continua, una lotta positiva e continua: “I simboli forti del corpo –osserva Papa Francesco– possiedono le chiavi dell’anima. Non possiamo trattare i legami della carne con leggerezza, senza aprire una ferita durevole nello spirito”.[6]
Il vincolo che sorge dal consenso matrimoniale rimane impresso ed è arricchito dalle relazioni intime degli sposi. La grazia di Dio che essi hanno ricevuto con il battesimo trova un nuovo alveo, che non si giustappone all’amore umano, ma lo assume in sé. Il sacramento del matrimonio non è un’aggiunta esterna al matrimonio naturale; la grazia sacramentale specifica informa i coniugi nella loro intimità e li aiuta a vivere la loro relazione con esclusività, fedeltà e fecondità: “È importante che gli sposi acquistino un chiaro segno della dignità della loro vocazione; che sappiano di essere stati chiamati da Dio a raggiungere l’amore divino attraverso l’amore umano; che sono stati scelti dall’eternità per cooperare con il potere creatore di Dio nella procreazione e poi nell’educazione dei figli; che il Signore chiede che facciano del loro casa e della loro vita di famiglia una testimonianza di tutte le virtù cristiane”.[7]
I figli sono sempre il miglior “investimento”, e la famiglia è l’ “impresa” più solida, la maggiore e la più affascinante delle avventure. Tutti contribuiscono con il loro ruolo, ma il romanzo che ne risulta è molto più interessante delle singole storie, perché Dio agisce e compie meraviglie.
Da qui l’importanza di sapersi comprendere – gli sposi tra loro e con i figli – di imparare a chiedere perdono, di amare – come insegnava san Josemaría – anche i difetti dell’altro, purché non offendano Dio.[8] “Quante difficoltà nella vita dei coniugi si risolvono se conserviamo uno spazio per il sogno. Se ci fermiamo a pensare al coniuge. Se sogniamo le sue bontà, le cose buone che fa. Per questo è molto importante recuperare l’amore attraverso il progetto di tutti i giorni. Non smettete mai di essere fidanzati!”[9]
Parafrasando il Papa, si potrebbe aggiungere: che gli sposi non tralascino di fermarsi un po’, per condividere e ricordare i momenti belli e quelli difficili che hanno trascorso insieme, per riflettere sulle circostanze che hanno prodotto i successi o gli insuccessi, o per recuperare l’entusiasmo, o per pensare insieme all’educazione dei figli.
La base del futuro dell’umanità
La vita matrimoniale e familiare non consiste nel vivere un’esistenza sicura e comoda ma, oltre che nella mutua donazione , anche nel dedicare tempo generosamente agli altri membri della famiglia a partire dall’educazione dei figli – la qual cosa include il favorire l’apprendimento delle virtù e l’inizio della vita cristiana – per aprirsi continuamente agli amici, ad altre famiglie, e specialmente ai più bisognosi. Così, mediante la coerenza della fede vissuta in famiglia, si trasmette la buona notizia – il Vangelo– che Cristo è sempre presente e ci invita a seguirlo.
Per i figli, Gesù si rivela attraverso il padre e la madre; perché per entrambi, ogni figlio è, anzitutto, un figlio di Dio, unico e irripetibile, una persona che Dio ha sognato per primo. Per questo, Giovanni Paolo II poteva affermare che “il futuro dell’umanità si fonda sulla famiglia”.[10]
Le famiglie che non hanno potuto avere figli
E quale sarebbe il senso che devono dare al proprio matrimonio gli sposi cristiani che non hanno discendenza? A questa domanda, san Josemaría rispondeva che, anzitutto, dovrebbero chiedere a Dio che li benedica dando loro figli, se è questa la sua Volontà, come benedisse i Patriarchi dell’Antico Testamento; e poi che si rivolgessero a un buon medico. “Se comunque, il Signore non dà loro figli, non devono vedere in questo nessuna frustrazione: devono essere contenti, scoprendo in questo stesso fatto la Volontà di Dio nei loro riguardi. Molte volte il Signore non dà figli perché chiede di più. Chiede che si impieghi lo stesso sforzo e lo stesso delicato impegno per aiutare il nostro prossimo con gioia: non c’è motivo, infatti, di sentirsi falliti né di essere tristi”.
E aggiungeva: “Se i coniugi hanno vita interiore, comprenderanno che Dio li spinge a fare della loro vita un generoso servizio cristiano, un apostolato che è diverso da quello che realizzerebbero coi loro figli, ma altrettanto meraviglioso. Si guardino intorno: scopriranno immediatamente persone che hanno bisogno di aiuto, di carità e di affetto. E poi ci sono mille iniziative apostoliche in cui possono lavorare. Se sono capaci di dedicarsi con tutto il cuore a questo compito, donandosi agli altri con generosità e dimenticando sé stessi, avranno una splendida fecondità, una paternità spirituale che colmerà la loro anima di autentica pace"[11].
A San Josemaría piaceva riferirsi alle famiglie dei primi cristiani: “Famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscere Cristo. Piccole comunità cristiane, che furono come centri di irradiazione del messaggio evangelico. Focolari come tanti altri di quei tempi, ma animati da uno spirito nuovo, che contagiava chi li avvicinava e li frequentava. Così furono i primi cristiani e così dobbiamo essere noi cristiani di oggi: seminatori di pace e di gioia, della pace e della gioia che Gesù ci ha guadagnato”[12]
Ramiro Pellitero
[1] Papa Francesco, Discorso nell’Incontro con le famiglie,Manila, 16-01-2015
[2] Cfr. San Josemaría, Omelia “Amare il mondo appassionatamente”, in Colloqui, n. 121; Cfr. “Il Matrimonio, vocazione cristiana” in È Gesù che passa.
[3] Rm 8, 28
[4] San Josemaría, Note di un incontro informale (1967), in Diccionario de San Josemaría, Burgos 2013, p. 490.
[5] Cfr. Gn 2, 24; Mc 10, 8
[6] Papa Francesco, Udienza generale , 27-05-2015
[7] San Josemaría, Colloqui, n. 93
[8] San Josemaría, Note di un incontro informale , 7-07-1974
[9] Papa Francesco, Discorso nell’Incontro con le famiglie , Manila, Filippine, 16-01-2015
[10] San Giovanni Paolo II, Familiaris consortio , n. 86
[11] San Josemaría, Colloqui, n. 96
[12] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 30