Il bello della fede

Paola Grossi Gondi è una pittrice e scenografa. In questo articolo racconta come il suo lavoro d'artista l'abbia portata alla scoperta della vocazione cristiana. Vedi anche il video della sua testimonianza.

Una volta, da bambina, ho avuto una folgorazione andando in macchina d’estate con il finestrino aperto: la gioia di avere il vento in faccia, il passaggio in un bosco, le foglie e i rami che giocavano col sole, la luce e le ombre che si alternavano veloci, l’odore del muschio, e poi una specie di esplosione interiore che mi faceva gridare in silenzio: «Che meraviglia. Grazie.». Avvertii che la bellezza ti fa scoppiare il cuore quando ti prende così, anche fisicamente, come il vento in faccia…

Dopo interessanti esperienze professionali nell’ interior design e nella pubblicità, ho iniziato un percorso artistico controcorrente alla ricerca della bellezza. Ho iniziato a riflettere su ciò che si trovava intorno a me: le cose più semplici, più piccole in cui però sentivo quell’emozione che mi procurava gioia. Sceglievo inquadrature strette e ben delimitate, con un punto di vista non usuale. Spesso i soggetti erano elementi o spazi quotidiani visti in situazioni di grande normalità, ma come per la prima volta, con sguardo attento e pieno di meraviglia: dei rocchetti di filo, una chiave inglese, una pozzanghera…

Un’amica, appassionata d’arte, mi parlò di san Josemaría Escrivá. «Ma lo sai che stai dipingendo qualcosa che è un messaggio divino? » e mi spiegò l’essenza del messaggio dell’Opus Dei, proprio attraverso i dettagli raffigurati nei miei quadri. Fu impressionante l’affinità che trovai con san Josemaría: la coincidenza del mio percorso artistico con il messaggio che il Signore gli aveva trasmesso sulla ricerca della santità nelle piccole cose di ogni giorno; come puoi trovare Dio in tutto ciò che incontri nella tua esistenza, nascosto in un particolare. Volli approfondire. Quell’amica mi aiutò a decifrare la mia attrazione per il bello, la tenace ricerca dell’armonia, lo stupore davanti alle piccole cose, come una via per intuire l’Invisibile attraverso il visibile. E capii, come artista, che mi si aprivano orizzonti e responsabilità. Sapevo ormai Chi si nascondeva in quei dettagli e perché mi attraevano tanto: mi parlavano di Lui e del suo affetto. Quel grazie silenzioso sbocciato nel cuore di bambina ora sapevo a Chi rivolgerlo.

La mia vocazione all’Opus Dei è stato un percorso naturale: dalla mia famiglia a quella dell’Opus Dei. Una naturalezza che sa di divino. Eppure ho dovuto “allenarmi” per essere “Opus Dei”. La naturalezza veniva da Dio, ma io interiormente venivo...dal “Bronx”. Ci ho messo del tempo e Lui mi ha aspettato. Prima di tutto ho dovuto abbassare la guardia e levarmi la corazza che avevo costruito attorno a me per affrontare le difficoltà nello studio e nel lavoro. All’esterno dovevo sempre dimostrare sicurezza, di non avere bisogno di nessuno, di non fidarmi. Per quanto a casa mia tendevano a ridimensionarmi, avevo assorbito l’orgoglio del mestiere, quello che ti fa credere, solo perché sei artista, di essere più degli altri: lavoravo solo per me stessa e l’idea di essere umile era per me sinonimo di essere pecora. Il rapporto con Dio era quello di un caro amico d’infanzia con cui non parlavo a tu per tu da tempo. Mi guardavo bene dal far parte di qualsiasi cosa che non fosse pensata da me e di farmi portare dove non volevo. In campo religioso ero una ribelle con motivazioni ridicole, simile ad un mulo testone.

Nell’Opera mi parlarono di amore di Dio: di una grande storia d’amore; della più grande storia d’amore. Piano piano acquistai pace e cominciai a trovarmi a mio agio e a fidarmi. Sentii parlare di chiamata alla santità per tutti e poi mi parlarono di vocazione personale – la mia – all’Opera. Avevo capito che la vocazione non è una nostra decisione: l’iniziativa viene sempre da Dio. Non è un pensiero del tipo: “mica male questo Opus Dei, quasi quasi…” né è come decidersi di iscriversi ad un club. È qualcosa di più elevato, nel quale a noi spetta la seconda mossa; la prima la fa Lui. E me ne stavo tranquilla. Poi un giorno fece quella mossa. Non l’ho sentita con le orecchie; ne ho sentito nel cuore gli effetti. Mi aveva preso sul serio, contava su di me per diffondere la Buona Notizia nel mondo e le modalità mi stavano a pennello. Dovevo continuare ad essere me stessa, l’artista, ma con il cuore sempre più pieno di Lui. Così ogni cosa che avrei pensato o fatto, sarebbe stata opus Dei , un’opera di Dio. C’era un ultimo ostacolo in me. Va bene dire sì a Dio, ma perché “entrare” in qualche cosa e chiudermi in un ambiente che mi pregiudicasse la libertà e mi impedisse di spaziare? Non lo avrei sopportato.

La chiarificazione l’ho avuta durante una novena di preparazione alla festa dell’Immacolata – che nell’Opus Dei è devotamente sentita – e certamente per un intervento materno. Chiesi alla Madonna “garanzie” che l’Opera fosse la mia strada e non la mia prigione. Ho sentito interiormente: «Guarda che tu non “entri” da nessuna parte, semmai “esci” da qualcosa, che è il tuo piccolo mondo, il tuo piccolo io». Con quella spintarella mariana ho fatto la mia mossa e ho effettivamente sentito che con quel passo mi si chiudeva alle spalle qualcosa: il piccolo regno di fantasie in cui troneggiavo. E mi si apriva davanti il mondo reale.