Ho scoperto Dio facendo le stesse cose di sempre: studiando, dando lezioni di pugilato tailandese...”

Ha schivato la droga e ha superato una separazione della famiglia per un certo tempo. Oggi è un giovane realista, cintura nera di kick-boxing e soprannumerario dell’Opus Dei. Ecco la sua storia.

La vita è un affare?

Ogni attività che è possibile svolgere è un affare per il corpo e per ciò che chiamano anima.

Quali affari hai portato avanti in questa vita?

Molti, anche se io sono sempre stato piuttosto timido. Però la vita mi ha costretto fin da piccolo a darmi da fare per tirare avanti. Già a 16 anni riuscivo a coprire tutte le mie spese lavorando nelle discoteche e nelle terrazze. Passavo tutte le notti con gli amici, dalle undici alle quattro del mattino, con i motori e altre cose. Distribuivo bicchierini di alcolici nei posti della movida, dove circolava molta droga. Io riuscivo a starne fuori, ma diversi miei amici la consumavano, e uno si fece artigliare dall’eroina e rimase tre anni nel Progetto Uomo. Un altro morì di aids a 27 anni, infettato da alcune siringhe. Gli altri ci siamo aiutati a vicenda: uno ha aperto una bottega, un altro lavora in una officina.

E’ la mia gente. In quegli anni ho fatto tutto quello che potevo per aiutarli a uscire da quell’inferno. Forse per me sarebbe stato più facile scappare e abbandonarli al loro destino. Ma io non volevo, non potevo abbandonarli in quella situazione. Che fa una madre quando vede che suo figlio piange di dolore? Non si allontana da lui. Io capivo chiaramente che dovevo stare accanto a loro, aiutandoli a superare quel momento, ma senza farmi travolgere. Avrei potuto allontanarmi, ma ero convinto che non era quella la risposta, la risposta corretta. Se Dio ti ha messo lì, con certe persone e certi problemi, devi accettarle come sono e aiutarle, devi fare tutto quello che puoi da parte tua affinché superino i loro problemi.

A quell’epoca anch’io avevo molti problemi di altro tipo; per esempio, familiari, e mi ero rifugiato nello sport... A dodici anni ho cominciato a praticare kock-boxing in una palestra e a diciassette ho partecipato a una serata internazionale. Ora sono cintura nera di primo grado e sono stato istruttore delle specialità sportive di contatto.

Che bilancio faresti di quegli anni?

Mah... ora mi rendo conto che allora tutti pensavano che io fossi un tipo come si deve, molto sicuro di se stesso... E non è vero: se sono riuscito ad andare avanti è stato grazie alla fiducia negli altri, nella famiglia, nei colleghi... La fiducia è una cosa che ancora funziona nel mondo, anche se non sempre il mondo ti tratta bene.

Così passavano gli anni. A 18 anni ho cominciato Giurisprudenza a Malaga, ma non mi sentivo a mio agio e me ne sono andato a Granada. Sono andato ad abitare in una Residenza, la Albayzin, dell’Opus Dei. Avevo sentito parlare dell’Opus Dei, a favore e contro. Quelli che ne parlavano male, non lo facevano in malafede, ma per ignoranza: ripetevano quello che avevano sentito dire ad altri.

Nella Residenza ho incontrato ogni tipo di gente, di varie credenze e opinioni: cattolici, agnostici, mussulmani... C’era un ceceno, un libanese ortodosso... Ma ho trovato soprattutto lo spirito dell’Opus Dei che è stato un aiuto importantissimo per aggrapparmi alla vita. Ho cominciato ad approfondire il mio rapporto con Dio. L’Opus Dei è un cammino, uno dei tanti fra i molti possibili per i cristiani. Per me è stato il cammino che mi ha insegnato a trovare Dio nelle cose di ogni giorno, anche in quelle più materiali; in quello che si chiama materialismo cristiano...

Da quel momento, Dio ha cominciato ad essere presente nella tua vita...

No. Dio era stato sempre presente nella mia vita; era stato sempre accanto a me. Ero io che non lo avevo scoperto; o forse, non lo avevo saputo scoprire. La cosa sorprendente è che l’ho scoperto facendo le stesse cose di sempre: studiando, dando lezioni di pugilato tailandese, andando a Messa, distribuendo giornali o tagliando i capelli agli amici per pagarmi gli studi, frequentando una palestra... Le cose di sempre.

...Le cose di sempre, ma con una presenza di Dio molto più intensa. Io ho radici cristiane. Sono stato educato a Ceuta, negli accampamenti militari..., ma Dio nella mia vita non era presente in questo modo. In casa mia c’erano problemi e per alcuni anni i miei genitori sono vissuti separati. Forse questo ha influito sul fatto che la mia idea di Dio fosse legata alla paura e al timore più che all’amore. Anche se io non ho mai perduto la speranza di rivedere i miei genitori nuovamente insieme.

In altre parole, io ero cristiano anche se non ero molto praticante, però avevo una fede troppo umana... Nella Residenza Albayzin ho scoperto che Dio è Amore, che Dio è Padre. Lo spirito dell’Opus Dei mi ha aiutato ad accettare la realtà, la mia realtà. Nella mia vita c’è stato un prima e un dopo, quando ho letto ‘L’uomo in cerca del senso della vita’ di Frankl e ‘Cammino’.

Nel leggere Cammino ho capito che Dio è sempre accanto a noi, nelle situazioni apparentemente più dure, più difficili. E’ strano. Poco tempo fa ho letto un brano di una scrittrice; diceva che “non c’è nulla di più duro del realismo cristiano”. E’ vero. Prima avevo un falso realismo perché avevo poca fede. Da giovane, il male che mi circondava era molto attraente. Tanto attraente, quanto vuoto: banale. Nell’Opus Dei vado imparando a santificare il mondo reale, a viverlo di fronte a Dio con realismo cristiano: il mondo della strada, del rapporto con i colleghi, con la gente con la quale studio o bevo una birra. Tutto questo, così umano, può essere di Dio, può essere vissuto per Dio.

Il cristianesimo, che cosa ha tolto alla tua vita?

Niente. Al contrario: mi ha dato moltissimo.

Ti ha cambiato la vita?

Solo in un certo senso, perché ora faccio le stesse cose di prima, con la differenza che chiedo aiuto a Dio per vivere alla Sua presenza e non solo pensando a me stesso. Ora Dio è molto più vicino.

Per esempio?

Bella domanda. Per esempio... Bene, posso raccontare una piccola vicenda, di non molta importanza..., anche se l’ha. E’ stato a Ceuta, un giorno d’estate. Io stavo nuotando sott’acqua senza bombole a pochi chilometri dalla famosa isola Perejil. Riconosco che non era il giorno più appropriato: c’era vento di ponente, il mare era mosso, cominciavo a notare una marea di fondo... e non avevo l’equipaggiamento del caso. Andai giù con mio cugino, ma dopo un poco vidi un pesce e perdetti l’orientamento. Poi vidi un polipo in una caverna. Feci varie immersioni a polmoni liberi, a 10 metri di profondità, senza rendermi conto che ero stanco. Pensavo solo a prendere il polipo al più presto possibile. A questo punto la corda dell’arpione si agganciò alla cintura di piombo. Non avevo con me il coltello. Volevo togliermi la cintura, ma la tensione della corda me lo impediva. Dovette durare solo pochi secondi, che in questi casi diventano eterni. Non avevo più aria nei polmoni. Stavo affogando. Ero cosciente che stavo affogando, ma non avevo paura: una cosa sorprendente. E cominciai a pregare: Mamma, tirami fuori!

All’istante si ruppe un pezzo del mio fucile e mi liberai della corda, quasi senza sforzo, e potei risalire alla superficie. Io non dico che sia stato un miracolo: racconto soltanto quello che mi è successo, e che lì, anche in quella situazione, Dio era accanto a me.