«Ha segnato la via, ora tocca a noi»

Avvenire ha intervistato Don Matteo Fabbri, Vicario dell'Opus Dei per l'Italia, che ha parlato del lascito di mons. Echevarría. Di seguito l'intervista integrale.

C’è una generazione per la quale la lunga stagione di monsignor Echevarría - 22 anni - alla guida dell’Opus Dei ha plasmato un modo di intendere la vita cristiana nel mondo, uno stile aperto, diretto e amichevole, com'era lui. Ne fa parte anche don Matteo Fabbri, vicario dell’Opus Dei per l'Italia.

Lei lo ha conosciuto da vicino. Qual è il suo ricordo personale?

I ricordi sono tantissimi. Forse il più vivo per me è l'affetto e la vicinanza con cui seguì la malattia e la morte di mio padre: mi chiedeva, mi telefonava, e in quei momenti avevi l'impressione che non avesse null'altro da fare. Mio padre stesso, già irrimediabilmente malato, lo incontrò e ricevette un abbraccio con parole molto incoraggianti. Qualche anno dopo la sua morte, quando mi chiamò per nominarmi vicario per l'Italia, oltre a farmi percepire tutta la fiducia e l'accompagnamento della sua preghiera, aggiunse: "E tu, raccomandati anche a tuo padre, perché dal Cielo ti aiuti a vivere la paternità".

Che eredità lascia?

Sotto la sua guida l'Opera ha iniziato le attività apostoliche in Paesi come il Kazakhstan, il Sudafrica, l'Indonesia e lo Sri Lanka. Sapeva trasmettere una speranza e un ottimismo contagiosi. Dopo che parlavi con lui, anche se per pochi momenti, ti appariva tutto più facile: la lotta per la santità personale, l'apostolato; le difficoltà (che non sminuiva) ti apparivano superabili a partire dalla sua fiducia nella grazia. Rimangono anche i suoi testi di spiritualità, soprattutto sull'Eucaristia e la Messa, oltre alle meditazioni sulle opere di misericordia diffuse sul sito durante il Giubileo.

Che rapporto c'è stato tra Echevarría e il nostro Paese?

Il padre amava molto l'Italia, che conosceva profondamente. Ricordo il viaggio che facemmo insieme in giornata a Torino nel 2010. Pregammo a lungo davanti alla Santa Sindone, mi colpì il fatto che ricordava perfettamente diversi luoghi della città, dove era stato con san Josemaría molti anni prima. Nel 2012 venne a Milano e si fermò alcuni giorni, ci recammo in Duomo per pochi minuti di intensa preghiera. Nello stesso viaggio al termine di un incontro con molte famiglie era contentissimo. In quella e in tante altre occasioni mi ripeteva: "In Italia c'è tantissima gente buona!". Voleva trasmettere con questa espressione tutto l'affetto e la stima per il nostro Paese per il quale ha pregato molto anche nelle innumerevoli visite a santuari mariani: da Loreto a Bonaria, dalla Mentorella al Divino Amore.

Nell’Opus Dei il vescovo prelato viene chiamato familiarmente "padre". Perché? E in che modo don Javier ha vissuto questa paternità spirituale?

Nel suo caso era particolarmente naturale, veniva spontaneo rivolgersi a lui così. Era un vero padre: una persona di una grandissima delicatezza e allo stesso tempo forte. Questa sicurezza gli derivava dalla sua solida vita interiore: aveva lo sguardo intenso di chi ha un rapporto personale con Dio.

Che pagina si apre ora per l'Opera

L’Opus Dei entra in una fase di piena maturità: monsignor Echevarría aveva conosciuto personalmente il fondatore e lavorato al suo fianco per molti anni. Ora... tocca a noi: l'Opera crescerà quanto più ne sapremo incarnare lo spirito nella nostra vita e nei nostri tempi. Riceviamo un'eredità che desideriamo generi molti frutti per la Chiesa intera e per tutte le anime.

Francesco Ognibene

Avvenire