Giovedì Santo (2022), omelia di mons. Fernando Ocáriz

Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata dal prelato dell'Opus Dei in occasione della Santa Messa in Coena Domini del Giovedì Santo.

«Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». In questi giorni del Triduo Pasquale rinnoviamo l’«amore sino alla fine» di Gesù. Un amore che non è astratto, ma concreto, che si manifesta continuamente nel corso dell’umana esistenza.

Come lo dimostra Gesù questo amore senza limiti? San Giovanni ci dice che, prima, mise dell’acqua in un catino e si mise a lavare i piedi dei suoi discepoli. Gesù compie una mansione che è propria degli schiavi. Del resto, lo aveva già detto: «Il Figlio dell'uomo, non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mt 20, 28).

Quando gli apostoli discutevano su chi di loro fosse il maggiore, Gesù disse che «chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20, 27). Con il gesto di lavare loro i piedi, il Signore si fa servo di tutti. «Mentre i grandi della terra costruiscono “troni” per il proprio potere – dice papa Francesco –, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dalla quale regnare dando la sua vita». Il servizio non è nulla di umiliante, ma è ciò che di più elevato possiamo fare, perchè incarna lo stile di vita di Cristo.

Però, l’amore di Gesù non si fermò solo a questo gesto. Nella seconda lettura, abbiamo ascoltato il racconto dell’ultima cena per bocca di san Paolo. «Nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”» (1 Cor 11, 24). Gesù è voluto restare con noi per sempre. San Josemaría usava l’esempio delle fotografie degli innamorati come un simbolo per ricordare l’altro quando la vita li ha separati. Ma ciò che Gesù ci ha lasciato non è una semplice immagine o un ricordo: «Ci lascia se stesso. Ritornerà al Padre, e allo stesso tempo rimarrà con gli uomini.» (È Gesù che passa, n. 83).

Gesù conosce le nostre debolezze; facendosi uomo, ha voluto sperimentare i limiti della natura umana, eccetto il peccato. Sa che incontriamo difficoltà e sofferenze. Per questo, il suo amore estremo lo ha portato a dare se stesso come alimento, che ci fortifica. Ogni volta che lo riceviamo ci uniamo a Lui, ci trasformiamo in ciò che è amore vivo. «Quando ci nutriamo con fede del suo Corpo e del suo Sangue, il suo amore passa a noi e ci rende capaci di dare (...) la vita per i nostri fratelli e di non vivere per noi stessi» (Benedetto XVI, Udienza, 18-III-2007).

Nella prima lettura abbiamo ricordato l’istituzione della cena pasquale, memoria della liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Si tratta di una immagine profetica della Pasqua di Cristo, che libera il mondo dal peccato. La Passione è il culmine dell’amore estremo di Gesù per qgli uomini: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Un padre, quando vede soffrire il proprio figlio, soffre con lui, e fa tutto quanto è nelle sue possibilità per alleviargli il dolore. E Dio, nel vederci schiavi del peccato, non esitò a mandare il suo unico Figlio per darci una liberazione molto più grande di quella che visse il popolo d’Israele: la libertà dei figli di Dio. E non siamo più alla mercè del maligno. Gesù, con la sua Passione, ha sconfitto il principe di questo mondo. E ora anche noi possiamo ripetere con san Paolo: «Tutto posso in colui che mi conforta» (Fil 4, 13).

Gesù ci ama sino all’estremo. Senza limiti, ma in modo concreto. Ci lava i piedi in ogni confessione, purificandoci dei nostri peccati. Ci si offre come cibo nell’Eucarestia, per darci forza nella lotta quotidiana per vivere come figli di Dio. Oggi possiamo chiedere a nostra Madre santa Maria di saper cogliere senza alcun limite questo amore estremo di suo Figlio.