In questo mese rifletteremo su due opere di misericordia materiali, che riguardano diversi tipi di povertà: quella di chi non ha un vestito e quella di chi è privo della libertà.
Vestire gli ignudi non vuol dire soltanto proteggere il corpo dalle intemperie; invita anche ad aiutare una persona a conservare la propria dignità. Il vestito rende possibile, a ogni uomo e a ogni donna, di presentarsi convenientemente agli altri e spesso riflette una eleganza interiore cristiana.
Nel meditare la Passione del Signore, salta agli occhi che Cristo soffre per le ingiustizie degli uomini. Nessuno, salvo sua Madre e poche altre persone, gli rivolge un gesto di misericordia nelle ore della crocifissione. Lo privarono anche dei vestiti, che furono sorteggiati tra i soldati. Quando Gesù ci ha invitati a vestire l’ignudo, sapeva che neppure questo gesto di misericordia sarebbe stato concesso a Lui personalmente. La nudità di Cristo sulla Croce è immagine della mancanza di misericordia da parte di noi uomini; della nostra mancanza di amore, della fragilità causata dalle nostre offese e dal nostro egoismo.
Ciò che i nostri antenati non fecero sul Golgota, noi ora possiamo in qualche modo assolverlo nei confronti degli uomini nostri fratelli. Anche nelle società opulente non sono pochi coloro che non dispongono di mezzi materiali per rifornirsi di indumenti decorosi, e neppure per vestirsi decentemente. Questo Giubileo ci offre un’altra occasione per “aprire gli occhi alle miserie del mondo” e scoprire, anche nell’ambiente in cui viviamo, le persone bisognose di aiuto. Esistono, o si possono avviare, istituzioni di carità con le quali è possibile contribuire in diversi modi – con il nostro tempo o con il nostro denaro – a procurare indumenti decenti a chi ne ha bisogno.
Nello stesso tempo, in una società che ha fatto della moda un peso che certe volte riduce in schiavitù, potrebbe essere questa l’occasione per destinare un po’ di denaro a opere di carità, risparmiandolo sugli acquisti originati dal capriccio e avendo più cura dei nostri vestiti. Possiamo anche sforzarci di dare l’esempio mostrando un aspetto esteriore semplice e decente.
Eserciteremo quest’opera di misericordia anche se aiutiamo – con carità, rispetto e pazienza – coloro che, poveri di ideali o di formazione, calpestano la propria dignità nel modo di vestire. Suggerire di non seguire certe mode di cattivo o di dubbio gusto è un compito educativo di particolare importanza dei padri e delle madri nei confronti di figli e figlie, e di qualunque persona verso i propri amici e le proprie amiche. Ognuno di noi è figlio o figlia di Dio, e anche il modo di vestire dev’essere una testimonianza della propria dignità. Dobbiamo far vedere che i vestiti, gli abiti, coprono un corpo informato dall’anima spirituale – la cosa più importante –, che è destinato alla risurrezione gloriosa.
Un’altra evidente opera di misericordia è andare a visitare i carcerati. Guardiamo ancora una volta Cristo: il Signore della terra è stato imprigionato la notte precedente alla crocifissione. Quanto amare sono state quelle ore per Gesù! Lo avevano privato della libertà mettendolo in carcere, mentre aspettava un giudizio e una condanna del tutto ingiusti e iniqui. Paradossalmente, con un atto di completa libertà, quel Prigioniero, con la maiuscola – disprezzato da tutti –, ci stava liberando dal peccato e non disdegnava questo mettersi al nostro servizio perché è il Figlio di Dio, fratello di tutti gli uomini e di tutte le donne.
Chi viene privato della libertà ha bisogno di essere confortato nella speranza. Per questo, in numerose occasioni, i Papi – fra cui anche Papa Francesco – sono andati a visitare i carcerati e hanno rivolto loro parole di incoraggiamento, invitandoli a utilizzare questo periodo della loro vita per aprirsi a Dio. «Quando Gesù entra nella sua vita – ha detto Papa Francesco in un carcere della Bolivia – uno non rimane prigioniero del suo passato, ma comincia a guardare il presente in un altro modo, con un’altra speranza. Uno comincia a guardare con altri occhi la propria persona, la propria realtà. Non rimane ancorato a ciò che è successo, ma è capace di piangere e di trovare lì la forza per ricominciare daccapo».
Visitare i carcerati, o aiutarli a reinserirsi nella società, significa servire coloro che sono stati messi da parte dalla società. Che magnifico lavoro possono svolgere coloro che lavorano o collaborano in questa attività! In modo particolare se assistono quanti si trovano in carcere per motivi religiosi, cosa oggi molto frequente.
Pensiamo anche a coloro che sono reclusi non in carceri di cemento, ma dietro le sbarre di ogni tipo: quelle originate dall’alcool, dalla pornografia, dalla droga o da altri vizi che incatenano l’anima e fanno sprofondare nell’abisso.
Portiamo a tutte queste persone la nostra vicinanza, la nostra comprensione, i nostri consigli e, al di sopra di tutto, la nostra preghiera. Ricordiamo loro che Dio non permette che nessuno cada dalle sue mani, che non abbandona nessuno dei suoi figli. A tutti offre nuove opportunità, sempre, fino all’ultimo istante dei nostri giorni.
Negli anni ’30 del secolo scorso, san Josemaría andò qualche volta nel carcere di Madrid. Vi si trovavano, esclusivamente per motivi politici, alcuni giovani che egli assisteva spiritualmente. Rivestito dell’abito talare, in un periodo in cui i sacerdoti venivano aggrediti, li aiutava a pregare e li incoraggiava a utilizzare il tempo studiando lingue estere o ripassando il catechismo. Inoltre, in questo esercizio della carità, li invitava a giocare a calcio con i detenuti di idee opposte e anticristiane, in modo che, dall’amicizia generata dallo sport, potesse sorgere almeno un rispetto reciproco.
San Josemaría sapeva che le carceri, materiali o morali, possono essere anche luoghi di incontro con Cristo, luoghi di profonda conversione. Per questo raccomandava ai fedeli della Prelatura di non smettere mai di occuparsi di questa attività con un senso cristiano e di fraternità. Se noi cristiani portiamo in questi luoghi il balsamo della misericordia di Dio, molti detenuti potranno sperimentare la vera liberazione: la consapevolezza di essere figli di Dio, e dunque amati incondizionatamente e protetti anche dalla Madonna, nostra Madre.