"Alla nostra recidività nel male, Gesù risponde con la sua insistenza nel redimerci"

Don Matteo Fabbri, vicario dell'Opus Dei per l'Italia, ripercorre il rapporto tra peccato e misericordia con l'aiuto dell'esempio di Pietro che pur consapevole dei suoi limiti si abbandona con fiducia al Signore.

“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti”. San Luca riferisce così quel momento unico, solenne. Il momento in cui Pietro nonostante i suoi limiti e a partire dai suoi limiti si lancia, si butta a compiere ciò che Gesù gli ha indicato: prendi il largo. Sembra quasi che un leitmotiv di questa pagina del Vangelo sia proprio il riconoscimento da parte di Simone del proprio peccato: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Ma se osserviamo con attenzione, possiamo scorgere insieme a questa consapevolezza anche la fiducia. Pietro si fida e, nello stesso momento in cui riconosce di essere peccatore, si getta ai suoi piedi e gli abbraccia le ginocchia.

Questa scena evangelica ci fa comprendere un punto essenziale per la nostra vita cristiana: imparare a fare i conti con una realtà: siamo peccatori.

Tante volte ci inganniamo. Oscilliamo tra una sorta di illusione di perfezione e lo scoraggiamento di chi, riconosciuto il proprio limite ritiene, come conseguenza, di non essere adatto alle grandi cose a cui il Signore ci chiama, di non appartenere al novero degli “eletti” o dei perfetti, di coloro che, cavalieri senza macchia e senza paura, percorrono le vie della vita di successo in successo. Io no, pensiamo: non sono così, e devo rassegnarmi. E allora l’ideale si stempera, si annacqua, la luce si affievolisce, e prendiamo la via di una mediocrità nella quale rischiamo di accontentarci di cosucce. Pensiamo che siano altri i “perfetti”, non noi.

San Pietro ci insegna la via. Riconoscere il nostro peccato, metterlo davanti al Signore, e saper trovare Lui anche a partire dalle nostre miserie. È il cammino della sincerità e della contrizione; è il cammino della gioia.

A percorrere questo cammino siamo tutti chiamati dal Papa in questo Anno Santo della Misericordia. Il Papa insiste molto spesso sul fatto che Dio non si stanca di perdonarci, che il nostro peccato non porta Dio a ritrarsi inorridito dalla nostra presenza, ma, al contrario, lo conduce a rafforzare e riconfermare il suo incrollabile amore per noi. Scrive il Pontefice nella Bolla Misericordiae Vultus: “Nelle parabole della misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia (…). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono” (n. 9).

San Josemaría usava parole molto simili. Contemplando una delle stazioni della Via Crucis, scriveva: “Alla nostra recidività nel male, Gesù risponde con la sua insistenza nel redimerci, con abbondanza di perdono. E, perché nessuno disperi, si rialza faticosamente, abbracciando la Croce”. E, per questo, proprio a motivo della fiducia filiale in Dio, poteva soggiungere: “Gli inciampi e le sconfitte non ci separino mai più da Lui. Come il bambino debole si getta pentito fra le braccia forti di suo padre, tu e io ci afferreremo al giogo di Gesù. Solo questa contrizione e questa umiltà trasformeranno la nostra debolezza umana in fortezza divina”. Ci sembra paradossale e quasi impossibile da capire; ed effettivamente, in una logica umana questo vertice di amore non trova spazio. Come è possibile che l’offesa non ci separi da Dio? La nostra esperienza di vita umana ci porterebbe a pensare il contrario: quante volte riscontriamo in noi la triste ma reale esperienza della difficoltà a perdonare, di quella improvvisa e inattesa moltiplicazione della memoria: che fatica dimenticare! Magari avessimo la memoria di un pesce rosso…: dicono che la sua memoria abbia la durata di tre secondi! E invece tendiamo a rimuginare, a serbare rancori piccolo o meno piccoli. E pensiamo che Dio si comporti come noi.

E invece no: Dio, ecco il “segreto”, è Padre. Padre nel senso più profondo e più pieno del termine. E, potremmo aggiungere, Padre e Madre, capace di avere viscere di misericordia.

È così che i nostri limiti, innegabili, non costituiscono più un ostacolo.

L’amore di Dio per noi ci confonde, ci conquista e ci redime. “Nulla spinge tanto l’uomo ad amare come il sapersi amato” dice san Tommaso d’Aquino. L’amore di Dio per noi è così traboccante da “metterci le ali”: che cosa immensa essere amati, del tutto immeritatamente, da Dio! Ci verrebbe da dire: “troppo bello per essere vero!”; ma è proprio così.

Ecco allora che non c’è spazio per il pessimismo o l’abbattimento: la fiducia in Dio diviene incrollabile. La missione che Egli ci affida si può realizzare.

Lo scorso 22 giugno ricorrevano 70 anni dal momento in cui san Josemaría, fondatore dell’Opus Dei, approdava per la prima volta in Italia, a Genova da Barcellona. Fu un viaggio difficile: i medici che lo avevano in cura per la grave forma di diabete di cui soffriva avevano chiaramente sconsigliato il viaggio, dichiarando di non rispondere della sua vita. Ma lui sentiva impellente la necessità di venire in Italia per l’approvazione dell’Opera da parte della Santa Sede. C’erano difficoltà che apparivano insormontabili; qualcuno era arrivato ad affermare: “siete arrivati con un secolo di anticipo”. E san Josemaría si fidò di Dio, si appoggiò sul suo aiuto e sull’intercessione della Madonna, e poco prima di imbarcarsi pregava con le parole di san Pietro: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che sarà di noi?”.

I santi ci insegnano costantemente la verità che a volte dimentichiamo: il Signore ci assiste e non ci abbandona. Così, con questa forza potremo vivere con slancio la nostra missione apostolica. Uno slancio che non è prevaricazione o sopruso e nemmeno altezzosità, perché la stessa consapevolezza della nostra miseria genera comprensione per le debolezze altrui: come dice il Papa, aver ricevuto misericordia ci rende capaci di misericordia.