7. La materia del discernimento. La desolazione

La prima modalità affettiva, oggetto del discernimento, è la desolazione. Ma di che cosa si tratta? Papa Francesco la approfondisce in questa nuova catechesi.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il discernimento, lo abbiamo visto nelle precedenti catechesi, non è principalmente un procedimento logico; esso verte sulle azioni, e le azioni hanno una connotazione affettiva anche, che va riconosciuta, perché Dio parla al cuore. Entriamo allora in merito alla prima modalità affettiva, oggetto del discernimento, cioè la desolazione. Di cosa si tratta?

La desolazione è stata così definita: «L’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza, e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste, come separata dal suo Creatore e Signore» (S. Ignazio di L., Esercizi spirituali, 317). Tutti noi ne abbiamo esperienza. Credo che in un modo o nell’altro, abbiamo fatto esperienza di questo, della desolazione. Il problema è come poterla leggere, perché anch’essa ha qualcosa di importante da dirci, e se abbiamo fretta di liberarcene, rischiamo di smarrirla.

Nessuno vorrebbe essere desolato, triste: questo è vero. Tutti vorremmo una vita sempre gioiosa, allegra e appagata. Eppure questo, oltre a non essere possibile – perché non è possibile –, non sarebbe neppure un bene per noi. Infatti, il cambiamento di una vita orientata al vizio può iniziare da una situazione di tristezza, di rimorso per ciò che si è fatto. È molto bella l’etimologia di questa parola, “rimorso”: il rimorso della coscienza, tutti conosciamo questo. Rimorso: letteralmente è la coscienza che morde, che non dà pace. Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi, ci ha dato una splendida descrizione del rimorso come occasione per cambiare vita. Si tratta del celebre dialogo tra il cardinale Federico Borromeo e l’Innominato, il quale, dopo una notte terribile, si presenta distrutto dal cardinale, che si rivolge a lui con parole sorprendenti: «“Voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?”. “Una buona nuova, io?” – disse l’altro. “Ho l’inferno nel cuore […]. Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova”. “Che Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo”, rispose pacatamente il cardinale» (cap. XXIII). Dio tocca il cuore e ti viene qualcosa dentro, la tristezza, il rimorso per qualche cosa, ed è un invito a iniziare una strada. L’uomo di Dio sa notare in profondità ciò che si muove nel cuore.

È importante imparare a leggere la tristezza. Tutti conosciamo cosa sia la tristezza: tutti. Ma sappiamo leggerla? Sappiamo capire cosa significa per me, questa tristezza di oggi? Nel nostro tempo, essa – la tristezza – è considerata per lo più negativamente, come un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme per la vita, invitandoci a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono. San Tommaso definisce la tristezza un dolore dell’anima: come i nervi per il corpo, essa ridesta l’attenzione di fronte a un possibile pericolo, o a un bene disatteso (cfr Summa Th. I-II, q. 36, a. 1). Per questo, essa è indispensabile per la nostra salute, ci protegge perché non facciamo del male a noi stessi e ad altri. Sarebbe molto più grave e pericoloso non avvertire questo sentimento e andare avanti. La tristezza alle volte lavora come semaforo: “Fermati, fermati! È rosso, qui. Fermati”.

Per chi invece ha il desiderio di compiere il bene, la tristezza è un ostacolo con il quale il tentatore vuole scoraggiarci. In tal caso, si deve agire in maniera esattamente contraria a quanto suggerito, decisi a continuare quanto ci si era proposto di fare (cfr Esercizi spirituali, 318). Pensiamo al lavoro, allo studio, alla preghiera, a un impegno assunto: se li lasciassimo appena avvertiamo noia o tristezza, non concluderemmo mai nulla. È anche questa un’esperienza comune alla vita spirituale: la strada verso il bene, ricorda il Vangelo, è stretta e in salita, richiede un combattimento, un vincere sé stessi. Inizio a pregare, o mi dedico a un’opera buona e, stranamente, proprio allora mi vengono in mente cose da fare con urgenza – per non pregare e per non fare le cose buone. Tutti abbiamo questa esperienza. È importante, per chi vuole servire il Signore, non lasciarsi guidare dalla desolazione. E questo “Ma no, non ho voglia, questo è noioso…”: stai attento. Purtroppo, alcuni decidono di abbandonare la vita di preghiera, o la scelta intrapresa, il matrimonio o la vita religiosa, spinti dalla desolazione, senza prima fermarsi a leggere questo stato d’animo, e soprattutto senza l’aiuto di una guida. Una regola saggia dice di non fare cambiamenti quando si è desolati. Sarà il tempo successivo, più che l’umore del momento, a mostrare la bontà o meno delle nostre scelte.

È interessante notare, nel Vangelo, che Gesù respinge le tentazioni con un atteggiamento di ferma risolutezza (cfr Mt 3,14-15; 4,1-11; 16,21-23). Le situazioni di prova gli giungono da varie parti, ma sempre, trovando in Lui questa fermezza, decisa a compiere la volontà del Padre, vengono meno e cessano di ostacolare il cammino. Nella vita spirituale la prova è un momento importante, la Bibbia lo ricorda esplicitamente e dice così: «Se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1). Se tu vuoi andare sulla strada buona, preparati: ci saranno ostacoli, ci saranno tentazioni, ci saranno momenti di tristezza. È come quando un professore esamina lo studente: se vede che conosce i punti essenziali della materia, non insiste: ha superato la prova. Ma deve superare la prova.

Se sappiamo attraversare solitudine e desolazione con apertura e consapevolezza, possiamo uscirne rafforzati sotto l’aspetto umano e spirituale. Nessuna prova è al di fuori della nostra portata; nessuna prova sarà superiore a quello che noi possiamo fare. Ma non fuggire dalle prove: vedere cosa significa questa prova, cosa significa che io sono triste: perché sono triste? Cosa significa che io in questo momento sono in desolazione? Cosa significa che io sono in desolazione e non posso andare avanti? San Paolo ricorda che nessuno è tentato oltre le sue possibilità, perché il Signore non ci abbandona mai e, con Lui vicino, possiamo vincere ogni tentazione (cfr 1 Cor 10,13). E se non la vinciamo oggi, ci alziamo un’altra volta, camminiamo e la vinceremo domani. Ma non permanere morti – diciamo così – non permanere vinti per un momento di tristezza, di desolazione: andate avanti. Che il Signore ti benedica in questo cammino – coraggioso! – della vita spirituale, che è sempre camminare.


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Papa Francesco

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