Commento al Vangelo: La gioia nella croce

Vangelo e commento della domenica della 4ª settimana di Quaresima. La Settimana Santa è sempre più vicina; la Chiesa ci invita a condividere la nostra gioia per l’amore che Cristo ci ha manifestato con la sua Croce e con la sua Resurrezione.

Vangelo (Gv 3, 14-21)

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».


Commento

“Rallegrati Gerusalemme”: le prime parole dell’Antifona d’ingresso danno il nome a questa quarta domenica di quaresima, che per questo, viene detta domenica “Lætare”. Una domenica di gioia, perché la Settimana Santa è ormai più vicina. Una gioia che la liturgia manifesta anche con il colore rosaceo della casula che indossa il sacerdote durante la Messa. La prima lettura ricorda il dolore del popolo eletto nel suo esilio a Babilonia e come fu liberato dalla schiavitù per tornare a Gerusalemme, grazie al re Ciro. Quel re, uno straniero per il popolo ebreo, esegue la volontà divina, dimostrando l’universalità del piano della salvezza (2 Cro 36, 14-23). Gli accenti poetici e drammatici del Salmo esprimono la sofferenza dell’esilio: “Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion” (Sal 137 [136], 1). La nostalgia di Sion, l’antico nome del monte di Gerusalemme, è anelito di Dio. Viene preannunziata la Chiesa, aperta a tutte le nazioni, e Sion prefigura la nuova Città di Dio, nella quale, per misericordia di Dio vivremo in cielo con Gesù, come viene detto nella seconda lettura (cfr Ef 2,4-10). Il Figlio dell’uomo è sceso dal Cielo: il vangelo di oggi raccoglie questa affermazione di Gesù, proprio a conclusione della visita di Nicodemo. Cristo paragona la croce al legno sul quale Mosè, nel deserto e come segno di salvezza, elevò il serpente di bronzo (cfr Nm 21, 4-9), interpretato come simbolo della misericordia dal libro della Sapienza (Sap 16,7). Gesù sarà innalzato sulla Croce. A Nicodemo svela il cuore del mistero della redenzione: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Il Signore proclama il carattere salvifico della Incarnazione: chi crede in Lui è salvato, entrerà nel Cielo, nella vita eterna, “mediante la fede” (Ef 2,8). Rifiutare la fede in Cristo vuol dire rifiutare la salvezza.

San Josemaría riassume il mistero del Crocifisso contemplando Gesù sulla croce “con il cuore trafitto dall'amore per gli uomini”[1]. La sua morte in croce è il segno dell’amore di Dio, che attrarrà a Lui tutti gli uomini. Nicodemo era andato a trovare Gesù “di notte” (Gv 3,2), perché ancora non era nella luce. La luce, il primo dono del Creatore, è fonte, condizione e simbolo di tutta la vita; significa anche la salvezza e la gioia. Sino ad oggi non c’è scienziato che abbia potuto spiegare esattamente cos’è la luce. Il cristiano sa “chi” è.

Cristo è la luce; si manifesta in coloro che “operano secondo la verità” e “viene verso la luce” (Gv 3,21). Agire secondo coscienza, discernere il male dal bene, è agire secondo la fede e aprirsi a chi è venuto “perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). L’antifona d’ingresso,tratta dal profeta Isaia, paragona Dio che consola i suoi, a una madre che allatta i suoi figli (cfr Is 66,11). Dio è Padre e ci ama con tenerezza di padre e di madre. Il dono gioioso viene esaltato in modo molto umano: la gioia bisogna comunicarla. La gioia della redenzione e, quindi, dell’unione con Dio è, quindi, la gioia dell’unità degli uomini tra loro. Nell’Eucarestia, lo Spirito Santo ci dà l’amore, in modo che sappiamo condividere la gioia di saperci amati. Sorridere quando si è stanchi, invecchiare con senso dell’umorismo, evitare di incentrare molte conversazioni su argomenti tristi, saper gustare il buono di ogni occasione, non lamentarsi se un bambino sveglia tutti con il suo pianto notturno, godere della compagnia degli altri e vivere la vita come “un tempo di incontro”[2] : la gioia è un modo di amare gli altri in Dio.

Guillaume Derville


[1] San Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, n. 165.

[2] Papa Francesco, Enc. Fratelli tutti, n. 66.