La luce della fede (I): Voi siete la luce del mondo

La fede è un dono di Dio che ci cambia la vita. Questa serie di editoriali dal titolo “La luce della fede” è indirizzata a credenti, esitanti e non credenti aperti a Dio, e si propone di aiutare a scoprirlo e a condividere la scoperta.

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«Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata» (Mt 4, 16). Rifacendosi al profeta Isaia, san Matteo presenta sotto il segno della luce l’inizio dell’attività apostolica del Signore in Galilea, terra di transizione tra Israele e il mondo pagano. Gesù, come aveva profetizzato l’anziano Simeone qualche decennio prima con il Bambino tra le braccia, è «luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 32). Lo dirà il Signore di se stesso: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8, 12). Con la luce della fede, con la luce che è Lui, la realtà acquista la sua autentica profondità, la vita trova il suo senso. Senza di essa, alla fine sembra che «tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla meta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione»[1].

Sono molte le persone che, a volte senza saperlo, cercano Dio. Il loro cuore è fatto da Lui e per Lui

Sono molte le persone che, a volte senza saperlo, cercano Dio. Cercano la propria felicità, che possono trovare solamente in Dio, perché il loro cuore è fatto da Lui e per Lui. «Ecco che tu sei lì, nel loro cuore – prega sant’Agostino -, nel cuore di chi ti professa e di chi si abbandona a te piangendo sul tuo seno dopo un lungo, difficile cammino [...] perché sei tu, Signore, non un qualsiasi uomo di carne e sangue, tu, Signore, che li hai fatti, a ristorarli e consolarli»[2]. Eppure, c’è anche chi spera di trovare la felicità da un’altra parte, come se il Dio dei cristiani fosse un concorrente delle loro brame di felicità. In realtà, stanno cercando Lui: semplicemente «si oppongono a Gesù Cristo, o piuttosto alla sua ombra, perché non lo conoscono, non hanno visto la bellezza del suo volto, ignorano le meraviglie della sua dottrina»[3].

«Tu credi nel Figlio dell’uomo?» ― domanda Gesù al cieco nato, che ha riacquistato la vista ―. «E chi è, Signore, perché io creda in lui?» (Gv 9, 35-36). In tutti gli angoli del mondo vi sono uomini e donne che, a prescindere dall’indifferenza e dall’ostilità che possono mostrare verso la fede, aspettano chi indichi loro dov’è Dio, dov’è chi possa illuminare i loro occhi e saziare la loro sete. Rispecchiano bene la loro situazione alcune parole che sant’Ireneo scrive su Abramo: «Quando, seguendo l’ardente desiderio del suo cuore, peregrinava per il mondo domandandosi dov’era Dio, e cominciò a cedere ed era sul punto di desistere dalla ricerca, Dio ebbe pietà di colui che, solo, lo cercava in silenzio»[4]. A ognuno di loro dobbiamo arrivare noi cristiani, convinti umilmente e serenamente di conoscere Colui che essi cercano (cfr. Gv 1, 45s; At 17, 23), anche se spesso noi constatiamo che ancora non lo conosciamo bene. A tutti noi cristiani il Signore dice: «voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14); «date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14, 16).

Il Vangelo «è una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano [...]. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare»

Il lievito della massa

Il Vangelo «è una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano [...]. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare»[5], perché riesce a «illuminare tutta l’esistenza dell’uomo»[6], a differenza di ogni sapere umano, che riesce a chiarire solo alcune dimensioni della vita. Tuttavia questa luce che «splende nelle tenebre» (Gv 1, 5) spesso deve fare i conti con la fragilità di un mondo che considera reale solamente ciò che si può vedere e toccare, ciò che si lascia vedere alla luce della scienza o del consenso sociale. A causa dell’inerzia culturale dei singoli, a volte la fede si percepisce «come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri»[7].

Comunque, anche qui ci sono motivi per l’ottimismo. Benedetto XVI constatava, già alcuni anni fa, che la scienza ha cominciato a prendere coscienza dei propri limiti: «oggi molti scienziati dicono che tutto deve provenire da qualche parte, che dobbiamo porci nuovamente questa domanda. Con ciò cresce nuovamente anche un nuovo modo di comprendere ciò che è religioso, non come un fenomeno di natura mitologica, arcaica, ma a partire dal collegamento interiore del Logos»[8]: un po’ per volta va perdendo terreno l’idea, troppo semplice, che credere in Dio è un espediente per coprire ciò che non sappiamo. Si fa strada una concezione della fede come quello sguardo che nel modo migliore riesce a dar conto del senso del mondo, della storia, dell’uomo e, allo stesso tempo, della loro complessità e del loro mistero[9].

Queste nuove prospettive costituiscono una sfida per la teologia, per la catechesi e, in definitiva, per l’apostolato personale: «In questo grande contesto la religiosità deve rigenerarsi nuovamente e trovare così nuove forme di espressione e di comprensione. L’uomo di oggi fa fatica a capire che il sangue di Cristo sulla croce è l’espiazione per i suoi peccati [...]; si tratta di formule che occorre tradurre e cogliere di nuovo»[10]. Infatti, è compito della teologia non solo approfondire i diversi aspetti della fede, ma anche avvicinare ogni generazione al Vangelo. La teologia e la catechesi non debbono transigere, nel senso di ridurre la fede al livello delle miopie di ogni epoca, ma sono chiamate a fare di Cristo un contemporaneo: ad accogliere le preoccupazioni, il linguaggio e le sfide di ogni momento, non come un male minore, ma come la materia e l’ambiente in cui Dio spera che noi produciamo un pane saporito, un pane in grado di nutrire tutti (cfr. Mt 14, 16). «Siamo stati invitati ad essere lievito di questa massa concreta. Certamente potranno esserci “farine” migliori, ma il Signore ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano. Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure, ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania»[11].

L’attenzione alla sensibilità del presente non va ad aggiungersi dall’esterno alla fedeltà al Vangelo, ma ne costituisce la parte essenziale. Per proteggere la fede, per viverla in modo sensato e per andare in tutto il mondo a insegnarla (cfr. Mc 16, 15), bisogna riceverla oggi nuovamente, assimilarla e far sì che gli altri la considerino come ciò che veramente essa è: un dono di Dio che ci cambia la vita, che la riempie di luce. «Alcuni passano per la vita come per un tunnel, e non si spiegano lo splendore e la sicurezza e il calore del sole della fede»[12]. L’impegno nel mostrare la luce e il calore della fede è pervaso da una sollecitudine sincera nel farsi carico delle perplessità e dei dubbi dei nostri coetanei, senza considerarli fin dal primo momento delle sconvenienze o delle complicazioni. Così ci metteremo nelle migliori condizioni per trovare, in ogni caso, le parole più adatte. Vi sono persone, scriveva san Josemaría, «che non sanno nulla di Dio..., perché nessuno gliene ha parlato in termini comprensibili»[13]. Quando qualcuno non capisce, può darsi che sia dovuto al fatto che neppure chi gli parla ha capito quello che spiega, oppure non si è accorto dei loro problemi e parla, magari senza volerlo, in modo astratto e distaccato. Allo stesso tempo, è bene non dimenticare che «non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce [...]. Vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell’amore, al di là della chiarezza con cui se ne possano cogliere le ragioni e gli argomenti»[14].

A volte i cattolici possono essere criticati come persone dagli obiettivi limitati, per il fatto che non si piegano a certi postulati che il mondo considera buoni. Tuttavia, se non permettono di farsi invadere dalla paura e dal risentimento per le offese, se fanno in modo da decifrare la preoccupazione o la ferita che c’è dietro a una risposta adirata, se non si stancano di pensare a nuovi modi di rendere conto della loro visione del mondo, saranno di fatto riconosciuti, ognuno al suo livello, come persone con «ampiezza di orizzonti [...]; una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del pensiero [...]; un atteggiamento positivo e aperto di fronte all’odierna trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita»[15].

La serie di editoriali che ora inizia si propone di illustrare in che modo la fede risponde alle aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo del XXI secolo, così come Cristo, nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, «svela pienamente l’uomo all’uomo»[16]. Si vuole fare attenzione alle difficoltà che molte persone – anche cristiani con una buona formazione – hanno a comprendere il senso di determinati aspetti della fede e a spiegarli ad altri, la cui fede si è raffreddata o che vorrebbero avvicinarsi ad essa. Si rivolge, dunque, a un vasto pubblico: credenti, irresoluti e non credenti con un’apertura, forse latente, alla fede. Le diverse questioni sono affrontate senza la pretesa di essere esaurienti, concentrando l’impegno nel ricuperare inserimenti, nel tracciare nuovi percorsi verso quei punti che oggi possono apparire meno chiari: mostrando, alla fine, come la fede illumina la realtà e come si può vivere personalmente sotto questa luce. Che significa per la mia vita, per esempio, che Cristo sia risuscitato o che Dio sia una Trinità di persone? In che senso la fede nella creazione cambia la visione della realtà? Se l’aldilà non è un luogo fisico, come pensare che sia altrettanto reale come il suolo che calpesto?

Dov’è la tua sintesi

Chi segue per televisione una partita di tennis non migliora con ciò la propria forma fisica o la propria tecnica: soltanto se gioca sul campo entrano in gioco la tecnica, lo stile, il colpo. Analogamente, la formazione dottrinale non si limita a fare incetta di conoscenze o di argomenti. Possiamo trarre grandi benefici da ciò che leggiamo o studiamo, però non basta imparare a memoria: è indispensabile elaborare un proprio modo di comprendere le cose, di farle nostre. «Lo studio della teologia, non abitudinario né semplicemente nozionistico, ma vitale, aiuta in gran misura a far sì che le verità della nostra fede diventino pienamente connaturali all’intelligenza e a imparare a pensare nella fede e grazie alla fede. Soltanto così si è in condizioni di valutare le molteplici questioni, a volte complesse, che suscitano il lavoro professionale e lo sviluppo della società nel suo insieme»[17].

La carità, l’amore fraterno, grazie al quale vediamo in ogni uomo un fratello, è indubbiamente la testimonianza più autentica e luminosa della fede: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). Quando una persona sa di essere amata veramente, senza riserve, indovina l’Amore di chi «ci ha amati per primo» (1 Gv 4, 19), un Amore che non è di questo mondo, perché passa al di sopra delle tante cose – errori, antipatie, timidezze, ignoranza – che nel mondo inducono le persone a ignorarsi o a disprezzarsi. «L’organo con cui si può vedere Dio è il cuore: la mera ragione non basta»[18]: se la carità, che parla al cuore, rende visibile Dio, la sua mancanza fa scomparire la sua presenza nel mondo e delegittima l’evangelizzatore; fa di lui un falso profeta (cfr. Mt 7, 15).Tuttavia, l’autenticità che oggi ci si aspetta da un cristiano non si limita alla testimonianza della carità: si riferisce anche, in misura importante, al modo personale e naturale in cui Dio parla. Se uno ha l’abitudine di riflettere sulla propria fede e di spiegarsela, se questo dialogo interiore nutre la sua orazione e si nutre di essa, nel parlare di Dio non trasmetterà soltanto nozioni teologiche o dottrinali: parlerà della sua esperienza, di quella di uno che vive con Lui e di Lui. Invece, diceva sant’Agostino, «perde il tempo predicando esteriormente la Parola di Dio chi non è solito ascoltarla dentro di sé»[19]. Ascoltare la Parola di Dio vuol dire permettere che modelli il nostro modo di pensare, di parlare, di vivere, che illumini le nostre situazioni, i nostri interessi, i nostri incontri; in sostanza, che si faccia nostra.

Il linguaggio che muove non è necessariamente quello del grande oratore, ma quello di chi parla, secondo il suo modo di essere, con parole sue, della propria esperienza di fede

«Dove sta la tua sintesi, lì sta il tuo cuore», scrive il Papa, parafrasando una frase del Signore (cfr. Mt 6, 21): «la differenza tra far luce sulla sintesi e far luce su idee slegate tra loro è la stessa che c’è tra la noia e l’ardore del cuore»[20]. Il linguaggio che muove non è necessariamente quello del grande oratore, ma quello di chi parla, secondo il suo modo di essere, con parole sue, della propria esperienza di fede. Per questo la formazione dottrinale non è chiamata a fluire in un settore del nostro sapere, isolato dal resto, ma a dialogare con tutto ciò che viviamo e siamo, in modo che pur prendendo tante forme quante sono le persone, in tutte si possa riconoscere lo stesso Spirito. Lo vediamo nei santi, che ci parlano di Dio in mille modi, e lo stesso succede con tanti santi nascosti. Se ogni epoca – e oggi forse ancora di più – ha la sua Babele, groviglio di voci contrapposte o discordanti (cfr. Gn 11, 1-9), la pluralità di lingue dello Spirito Santo continua ad ampliarsi in una «nuova Pentecoste»[21] lì dove trova cristiani che l’ascoltano, perché «se lo Spirito Santo non dà interiormente l’intelligenza, l’uomo lavora invano [...]: se lo Spirito Santo non sta nel cuore di chi ascolta, sarà inutile la parola del dottore»[22].

Considera di bere dalla tua propria fonte

È stato detto che la cultura è ciò che rimane quando uno dimentica quello che ha studiato: è quello che cresce quando si coltiva la terra della nostra anima. «La nostra formazione non termina mai»[23], era solito dire san Josemaría: è necessario studiare per tutta la vita e farlo con la mentalità evangelica ed evangelizzatrice dell’agricoltore (cfr. Mt 13, 3-43). Coltivare è un lavoro duro e paziente, ma pieno di gratificazioni, quando spuntano i primi germogli e quando arrivano i frutti. Insieme con il dialogo con Dio nell’orazione e la disposizione a conversare con gli altri, favorisce molto la coltivazione la riflessione personale, grazie alla quale si acquista una voce propria, autentica, aperta. In questo dialogo interiore è necessario arare, seminare, irrigare: dare forma alle idee, cercare le parole, anche se a volte escono solo balbettii. Le idee degli altri possono aiutarci molto, ma non basta farne incetta se vogliamo parlare da cuore a cuore.

Le idee degli altri possono aiutarci molto, ma non basta farne incetta se vogliamo parlare da cuore a cuore.

Non si tratta, dunque, solamente di sapere cose, secondo una nozione semplicemente quantitativa del sapere, ma di acquistare e rinnovare uno sguardo penetrante e appassionato sulla realtà in tutta la sua ampiezza. vale a dire, con gli altri e con Dio. Comprendere la fede è compito di ciascuno, a modo suo: la professoressa universitaria, il lavoratore manuale, l’assistente sociale, il magistrato. Questo compito intrasferibile non si aggiunge all’interesse di conoscere la fede, ma le dà forma: è una disposizione per la quale uno cerca di fare proprio quello che ascolta, non solo nelle opere, ma anche nelle idee, nel linguaggio. «Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi, essendo uno che vive con i mass media di oggi, con i dialoghi, con le realtà dell'economia, con tutto, se io stesso prendo sul serio la mia esperienza e cerco di personalizzare in me questa realtà. Così siamo proprio nel cammino di farci capire anche dagli altri. San Bernardo di Chiaravalle ha detto nel suo libro di considerazioni al suo discepolo Papa Eugenio: considera di bere dalla tua propria fonte, cioè dalla tua propria umanità. Se sei sincero con te e cominci a vedere in te che cosa è la fede, con la tua esperienza umana in questo tempo, bevendo dal tuo proprio pozzo, come dice san Bernardo, anche agli altri puoi dire quanto si deve dire»[24].

Chi si comporta così impara da tutte le conversazioni, non fa marcia indietro davanti alle obiezioni, ma le accetta come sfide per comprendere meglio la propria fede, per rendersi conto di quel che pensano gli altri, per avvertire con esse le proprie vertigini. Chi vive così ascolta molto, apprende con tutti e da tutti; concepisce il dialogo, più che come una lotta per consolidare posizioni e confutare argomenti, come un balletto nel quale tutto può contribuire a chiarire la realtà, anche se non sempre per la linea retta. «Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo»[25].

Anche se il cristiano ha la responsabilità di difendere la fede, il suo spirito di fondo non è quello di chi recupera uno spazio perduto, ma quello di chi sa di far parte di una serena conquista

Anche se il cristiano ha la responsabilità di difendere la fede, il suo spirito di fondo non è quello di chi recupera uno spazio perduto, ma quello di chi sa di far parte di una serena conquista. Sappiamo dove sta la felicità che cerca il nostro cuore e quello di tutti gli uomini e di tutte le donne. E la cerchiamo con loro: «Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”» (Sal 26 [27], 8). Che pace ci dà questa certezza, per dialogare con tutti, come fratelli che cercano Colui che io cerco, che condividono con me molto più di quel che pensano; per crescere con loro, sapendo che a suo tempo si farà la luce: i nostri amici scopriranno «ubi vera sunt gaudia», dove si trova la vera gioia[26], e noi lo riscopriremo con loro.

Carlos Ayxelà

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Letture di approfondimento

Segue un elenco, sicuramente incompleto, di libri, articoli e documenti intorno al modo in cui oggi si può parlare della fede. Prima di tutto sono indicati alcuni testi del Magistero recente e di altri organismi della Chiesa, e dopo i testi di altri autori. Nei prossimi articoli di questa serie saranno indicati anche i testi specifici sui rispettivi temi.

Papa Francesco, Enc.Lumen Fidei, 29-VI-2013.

Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii Gaudium, 24-XI-2013, sp. capitolo 3, “L’annuncio del vangelo”.

Papa Francesco, Catechesi nell’Anno della Fede, da marzo a dicembre 2013 (disponibili in vatican.va)

Benedicto XVI, Catechesi nell’Anno della Fede (ottobre 2012 – febbraio 2013, disponibili in vatican.va; p.es. “Come parlare di Dio?”, 28-XI-2012 [leggere]; “Il desiderio di Dio”, 7-XI-2012 [leggere]).

San Giovanni Paolo II, Lettera Ap. Novo Millennio Ineunte, 6-I-2001 (leggere)

San Giovanni Paolo II, Catechesi sul Credo (marzo 1985 – novembre 1997, disponibili in vatican.va, pdb)

Beato Paolo VI, Es. Ap. Evangelii Nuntiandi, 8-XII-1975 (leggere).

Catechismo della Chiesa Cattolica (vatican.va, intratext) e Compendio del Catechismo (ebook)

Pontificio Consiglio della Cultura, ¿Dónde está tu Dios? La fe cristiana ante la increencia religiosa, Valencia: Edicep, 2005 (leggere).

Pontificio Consiglio della Cultura, La vía pulchritudinis, camino de evangelización y de diálogo (leggere).


Bebendreier, J. La fe explicada hoy, Rialp, 2016 (The Faith Explained Today: Popular Edition)

Barron, R. Catolicismo: un viaje al corazón de la fe, Doubleday, 2013; disponibile anche in dvd(Catholicism: a Journey to the Heart of the Faith).

Biffi, G. Corso inusuale di catechesi (3 vols.) Elledici, 2006.

Burggraff, J. “La transmisión de la fe en la sociedad postmoderna”, in Burggraff, J. La transmisión de la fe en la sociedad postmoderna y otros escritos, Eunsa, 2015 (disponibile in opusdei.org).

Chaput, Ch.Strangers in a Strange Land. Living the Catholic Faith in a Post-Christian World, Henry Holt, 2017.

Dolan, T. – Allen J. Un pueblo de esperanza. Conversaciones con Timothy Dolan, Palabra, 2015 (A People of Hope. The Challenges facing the Catholic Church and the Faith that can save it).

Hadjadj, F. La suerte de haber nacido en nuestro tiempo, Rialp, 2016 (L’aubaine d’être né en ce temps).

Hadjadj, F. ¿Cómo hablar de Dios hoy? Anti-manual de evangelización, Nuevo Inicio, 2013 (Comment parler de Dieu aujourd’hui? Anti-manuel d’évangelisation).

Hahn, S. La evangelización de los católicos. Manual para la misión de la Nueva Evangelización, Palabra, 2014 (Evangelizing Catholics).

Hahn, S. - Socías, J. La fe cristiana explicada. Introducción al catolicismo, Edibesa - MTF, 2015 (Introduction to Catholicism for Adults)

Ivereigh, A. - De la Cierva, Y. Cómo defender la fe sin levantar la voz.Respuestas civilizadas a preguntas desafiantes, Palabra, 2016 (Ivereigh, A. - Lopez, K. J. How to Defend the Faith without Raising your Voice).

San Josemaría, “Sed amigos sinceros y realizaréis un apostolado y un diálogo fecundos”, ABC, 17-V-1992 (leggere).

Knox, R. El Credo a cámara lenta, Palabra, 2000 [3ª ed.] (The Creed in Slow Motion).

Lewis, C.S. Mero cristianismo, Rialp, 1995 (Mere Christianity).

Mora, J.M. “10 claves para comunicar la fe”.

Ratzinger, J. Dios y el mundo: creer y vivir en nuestra época, Galaxia Gutenberg, 2002 (Gott und die Welt. Glauben und Leben in unserer Zeit).

Ratzinger, J. “La nuova evangelizzazione”, Conferenza in occasione del Congresso di catechisti e docenti di religione, Roma 10-XII-2000 (leggere).

Trese, L.J. La fe explicada, Rialp, 2014 [28ª ed.] (Faith Explained).


[1]Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 29-VI-2013, 3.

[2]Sant’Agostino, Le confessioni, V.2.2.

[3]San Josemaría, È Gesù che passa, 179.

[4]Sant’Ireneo di Lione, Demostración de la predicación apostólica, 24 (Sources Chrétiennes 406, 117).

[5]Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, 24-XI-2013, 265.

[6]Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 4.

[7]Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 3.

[8]Benedetto XVI, Luce del mondo, Mondadori, Milano 2012.

[9]Cfr. Benedetto XVI, Discorso all’Università di Ratisbona, 12-IX-2006.

[10]Benedetto XVI, Luce del mondo.

[11]Papa Francesco, Omelia, 2-II-2017.

[12]San Josemaría, Cammino, 575.

[13]San Josemaría, Solco, 941.

[14]Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, 42.

[15]San Josemaría, Solco, 428.

[16]Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes, 7-XII-1965, 22.

[17]Javier Hechevarría, Lettera Pastorale in occasione dell’Anno della Fede, 29, XI, 2012, 35.

[18]Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret. Dal Battesimo alla Trasfigurazione, Rizzoli, Milano 2011, 118.

[19]Sant’Agostino, Sermone 179, 1.1.

[20]Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, 143.

[21]San Josemaría, Solco, 213. Cfr. At 2, 1.13

[22]San Tommaso d’Aquino, Super Evangelium S. Ioannis, 14.6.

[23]San Josemaría, appunti di una riunione familiare, 18-VI-1972 (citato in J. Echevarría, Lettera sulla nuova evangelizzazione, 2-X-2011.

[24]Benedetto XVI, Discorso, 26-II-2009 (cfr. San Bernardo, De considerazione libri quinque ad Eugenium tertium, II.3.6. [PL 182, 745]).

[25]Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, 142.

[26]Messale Romano, domenica XXI del tempo ordinario, orazione colletta.