Una rivoluzione nell’intimità

Gesù perdona una donna peccatrice che unge i suoi piedi e la indirizza verso la libertà che nasce da un cuore puro.

Gesù è stato invitato di nuovo a pranzo. Il suo anfitrione ha insistito molto perché accettasse: voleva intrattenerlo con un banchetto speciale. Però, qualcosa di inaspettato mette a rischio l’avvenimento: una donna non invitata, entra nella sala. Il fariseo padrone di casa, che si chiama Simone, cambia espressione. Il momento è difficile. Gesù, invece, sembra quasi in attesa, perché i suoi occhi si illuminano nel vederla. Certamente, ne conosce l’anima meglio di lei stessa e dunque conosce il dolore che ne riempie il cuore: sa che costei per amare e per farsi amare ha percorso strade sbagliate, ha attraversato burroni e precipizi.

I dettagli di delicatezza della donna, il modo di ungergli i piedi con il profumo, le lacrime e i baci, fanno emozionare Gesù. Per cui, immediatamente, con un esempio prova a spiegarlo a Simone, il quale aveva osservato la scena da lontano con qualche preoccupazione: “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?” (Lc 7,41-42). Quella donna ha imparato ad amare… accettando di essere perdonata. Qui è la sua vera grandezza e per questo Gesù decide di lodarla pubblicamente (cfr Lc 7, 44-46).

Non era mai stato così facile

Quella donna, forse per la prima volta, sente la gioia di essere rispettata. Lo sguardo di Gesù è diverso da quello degli altri. Comprende che con lui non ha bisogno di stare sulla difensiva. Mai aveva visto occhi che entrassero così profondamente nel suo cuore e mai era stato così facile ottenere che l’amassero. In lei si compie la beatitudine che Gesù ha promesso a chi si lascia purificare il cuore (cfr Mt 5,8); lo sta imparando rapidamente dal maestro e già ne nota gli effetti: “Tutte le creature ritornano pure quando le si guarda con il Volto del più bello e del più candido dei gigli”[1]. Ella, in qualche modo, sperimenta la libertà con la quale Gesù l’ama, ottiene di conoscere l’affetto che non ha avuto bisogno di essere forzato, o catturato con qualche trucco.

Per anni questa donna aveva sprecato i talenti che Dio le aveva regalato. Tuttavia, ora comprende di trovarsi davanti a un nuovo inizio. Ora, può essere la donna sensibile che nel profondo è sempre stata, insieme forte e vulnerabile, serena e appassionata. Ora può essere se stessa. Perché uno dei grandi drammi dell’impurità sta nel convincersi di non poter essere amati per chi veramente si è e, di conseguenza, cercare, per essere amati, di vendere un falso modo di essere. Ma questa è una cosa impossibile, semplicemente perché l’amore non ha prezzo. O è libero oppure non è. Per questo, quando si finisce in questo ricatto, prima o poi questa falsità sfuma e ci lascia il retrogusto di essere stati ingannati.

Meravigliarsi davanti a ogni cuore

Affinché cresca l’amore, affinché metta radici, è opportuno fargli spazio, a volte con fatica, perché la santa purezza “è una rosa che fiorisce soltanto tra le spine”[2]. Forse per questo a volte abbiamo timore di rischiare l’amore e tentiamo di renderlo sicuro. Infatti, il cuore che diventa impuro rinuncia a coltivare l’amore negli spazi in cui lo possiamo trovare. Non vuole rischiare di soffrire e preferisce, in maniera tirannica e irrispettosa, crearsi un proprio spazio di comodità. A volte, questa motivazione ha una componente di compensazione, forse di capriccio, o di rabbia nascosta. Qualche volta può sembrare di avere raggiunto l’amore, quando in realtà stiamo utilizzando l’altra persona, anche se in modo virtuale: la obbligo ad “amarmi”, la costringo per farmi sentire “prezioso” o “preziosa”. Di fronte alla promessa dell’amore senza condizioni che ci offre il Signore, il peccato è una farsa che ci spinge verso la solitudine.

Di fronte a questo, la soluzione non è chiudersi, scoraggiarsi, o pensare che questo tipo di amore sia impossibile. Piuttosto, bisogna cercare l’amore che Dio ha seminato là dove stiamo, specialmente nelle persone e nei nostri rapporti umani. In tal senso, san Josemaría ci invitava ad amare gli altri stendendo “generosamente il nostro cuore sul pavimento, per consentire agli altri di camminare sul soffice, e così risulti loro più gradevole la lotta ascetica”[3]. Questo può essere uno dei frutti – tra tanti altri – della santa purezza: rendere più amabile la vita degli altri. Non si tratta soltanto di evitare il peccato personale, ma di raggiungere un modo di guardare e di relazionarsi che aiuti a far sì che tutti si sentano amati a immagine dell’amore di Dio. L’anima pura si prende cura della vulnerabilità propria e altrui, si presenta con eleganza, cerca di farsi amare liberamente. È vero che il nostro cuore, messo sul pavimento, corre il rischio di essere calpestato, però questa è l’unica forma divina di amare e di ricevere amore. La donna e l’uomo dal cuore puro sanno guardare gli altri senza tollerare che si corrompa l’immagine di Dio che sta in loro.

Pertanto, possiamo dire che Gesù ha rivoluzionato la libertà e l’amore. Ci invita a custodire l’intimità dei figli e delle figlie di Dio, anche nei nostri sguardi e nei pensieri. Vuole che partecipiamo della meraviglia che egli stesso prova davanti alla dignità di ogni cuore. L’intimità è terra sacra che il cristiano non ardisce calpestare.

Parte della nostra missione

Uno dei compiti della santa purezza è custodire – in noi e negli altri – qualcosa di prezioso agli occhi di Dio, e la migliore difesa di questo tesoro è essere innamorato. È vero, poi, che il desiderio di vivere un amore pulito richiederà di tornare molte volte a ricominciare. Farsi perdonare e lasciarsi amare sono manifestazioni di una umiltà capace di comprendere che la santa purezza e l’amore degli altri sono un dono.”Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte”[4]. Nella confessione ci lasciamo amare come in nessun altro momento. Chi si lascia perdonare apre la porta all’amore più libero ed è capace di rispondere – già ha cominciato a farlo – con un amore uguale a quello che riceve.

Inoltre, si dovrà tener conto di un’altra possibile difficoltà: che, qualche volta, anche senza pensarci, ricevere qualcosa gratuitamente ci può arrecare vergogna. Non ci pare possibile che qualcosa di così grande sia un regalo. Preferiamo molte volte pensare di averlo guadagnato con le nostre proprie forze perché ciò ci rende autonomi, ci permette di esercitare un certo potere; non vogliamo dipendere da altri in qualcosa di così importante. Al contrario, chi ha imparato a lasciarsi amare è convinto di “non poter sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono”[5]. Per quanto grandi possiamo diventare, tutto è sempre frutto di un dono previo: “Egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19).

In ogni modo, la santa purezza è necessaria per svolgere qualunque missione apostolica. L’evangelizzazione si compie gratuitamente. Se il nostro cuore non è puro, non potremmo comprendere una donazione nella quale molte volte i frutti non arrivano quando noi li pianifichiamo, ma quando lo decide Dio. L’affetto vero e puro, nucleo di qualsiasi missione evangelizzatrice, non impone le proprie ragioni, non esige risposta, non passa fattura per quello che offre; non distingue tra persone, non evita gli oppositori e non si stanca di chi non risponde subito. Tanto meno ricatta né rimprovera. In una parola, il vero affetto è fedele.

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Come sempre, basta guardare Gesù per imparare a essere amati. Non c’è lezione più magistrale di quella che ci offre l’eucarestia. Lì, Gesù non si impone. Nessuno è più paziente di lui. Nessuno desidera con tanta forza di essere amato, però, nello stesso tempo, nessuno lo dice così a bassa voce, come un sussurro appena percettibile. Sa che la nostra libertà è un grande regalo suo, e non vuole comprometterla per nessun motivo al mondo. Nessuno, come fa Gesù, dà tanto valore alla nostra fragilità e alla dignità che racchiude. Per questo, nel nostro desiderio di crescere in questa virtù, a Dio è assai gradito che noi gli offriamo ognuno dei nostri passi, compresi gli inciampi e le cadute. Il dolore di Dio può essere causato soltanto dalla nostra sofferenza e dalla solitudine nella quale essa ci confina. Possiamo davvero imitare san Josemaría nel suo desiderio di offrire alla Vergine il meglio che aveva: “Io, la Madre di Dio e Madre mia la incorono con le mie miserie purificate, perché non posseggo pietre preziose né virtù. Coraggio!”[6].

Diego Zalbidea


[1] Santa Teresa del Bambino Gesù, Lettera 105 a Celina.

[2] Santo Curato d’Ars, Omelia sulla Penitenza

[3] San Josemaría, Amici di Dio, n. 228.

[4] Francesco, Udienza, 29.1.2020.

[5] Benedetto XVI, Enc. Deus Caritas est, n. 7.

[6] San Josemaría Forgia, n. 285.