Un viaggio verso la conversione

Soulino Sphabmixay era ancora bambino quando la sua famiglia fu costretta a fuggire dal Laos. La vittoria della rivoluzione comunista li condusse in Spagna, dove arrivarono nel 1980 come rifugiati politici. Questo lungo viaggio fu il modo scelto da Dio per avvicinarlo alla fede.

Sebbene il tuo battesimo sia avvenuto soltanto quando avevi 13 anni, già nel Laos avevi avuto qualche contatto con il cristianesimo. Com’è stato quel primo incontro con la fede?

Nel Laos c’era una scuola cattolica chiamata Notre Dame. Anche se lì ho ricevuto soltanto alcune nozioni di base sul cristianesimo, considero questa esperienza fondamentale per il mio successivo battesimo. La bontà e la profonda fede di quelle monache è rimasta incancellabile nella mia memoria di bambino. Peraltro, un Dio personale, un Dio che moriva sulla Croce, era per me qualcosa di sorprendente, che mi colpì profondamente.

Eri ancora alunno di quella scuola quando siete stati costretti ad andar via dal Paese. Potresti raccontarci questo episodio?

In un primo momento siamo fuggiti soltanto mio padre, mio fratello e io. Abbiamo attraversato il fiume Mekong con la speranza di ricevere asilo in Thailandia e di riuscire a far venire con noi più tardi mia madre e mia sorella. Siamo stati un mese in prigione e poi i militari thailandesi ci hanno portato in un campo profughi. Da lì mio padre inviò alcune persone con l’incarico di far venire mia madre e mia sorella, che erano ancora nel Laos. E grazie a Dio in questa avventura, tragica avventura, nessuno di noi è morto: tutta la famiglia si è salvata.

E da lì in Spagna...

Una volta ottenuto il ricongiungimento, mio padre ha chiesto all’ONU di andare in un Paese che ci accogliesse. Il quel momento la Spagna si era offerta di ricevere alcune famiglie del sud-est asiatico. Così abbiamo fatto un colloquio con un funzionario dell’ambasciata e più tardi ci siamo trasferiti nella penisola iberica con altre cinquanta famiglie, tutte del Laos. Siamo partiti da Bangkok diretti a Santiago di Compostella, ma la nostra prima residenza è stata Bayona.

In Galizia siamo rimasti due mesi, da aprile a giugno 1980, ricevendo lezioni intensive di castigliano. Alla fine ci hanno trasferiti a Palencia. Lì il Signore avrebbe portato a compimento il lavoro iniziato qualche tempo prima nella scuola Notre Dame nel Laos.

Per far questo si sarebbe servito come strumento di un sacerdote che impartiva corsi di formazione professionale nella scuola che frequentavate. Come avete conosciuto don Florentino?

Mio fratello e io frequentavamo le ultime classi della scuola dell’obbligo al Ramón Carande. Un giorno ci ha visto da lontano, si è avvicinato e siamo rimasti un po’ a parlare. Si è interessato alla nostra storia e ha preso l’impegno di parlare con i miei genitori; così lo abbiamo invitato a casa nostra. Un po’ per volta si è guadagnato la fiducia e l’affetto di tutta la famiglia. I suoi modi amabili di trattarci e l’aiuto materiale che ci prestava – una volta ci ha regalato persino una stufa – lo hanno reso degno della fiducia di mio padre, che acconsentì che insegnasse la dottrina cattolica a mio fratello e a me.

Che cosa ricordi di quella catechesi?

Andavamo due volte la settimana. Ci insegnava il catechismo e leggevamo la Bibbia. Abitualmente ci faceva riflettere sul libro dell’Esodo, perché si trattava di un’esperienza del popolo d’Israele analoga a quella che stavamo vivendo noi. Ci faceva notare quanto era buono Dio, perché ci aveva fatto uscire da un Paese in guerra e ci aveva condotto in Spagna, uno stato democratico e pacifico. Ci ha regalato due Bibbie perché le leggessimo e questo ci ha aiutato ad aprire a poco e poco gli occhi. Due anni dopo abbiamo chiesto di essere battezzati. Mio fratello aveva quindici anni e io tredici.

Come è avvenuto il tuo incontro con l’Opus Dei?

È stato poco dopo il mio battesimo. In quel periodo stavo frequentando la terza media nella scuola dei claretiani e avevo due compagni che mi hanno invitato a studiare in un centro giovanile che s’ispirava agli insegnamenti di san Josemaría. Mi hanno parlato anche delle attività che vi si svolgevano. Mi hanno convinto e sono andato; ma oltre la dottrina – che naturalmente ricevevo – ho scoperto un grande affetto.

Poi, poco tempo dopo aver conosciuto l’Opera, ho avuto l’opportunità di incontrare don Álvaro del Portillo, prelato dell’Opus Dei, durante un incontro avvenuto ad Aldebarán. Gli ho domandato come potevo perseverare nell’amore di Dio e mi ha risposto con molta simpatia e affetto. Per la mia famiglia quella è stata una grande esperienza e credo fermamente che tanto san Josemaría che il suo successore a capo dell’Opus Dei intercedano per me dal Cielo.

Che conclusione trai dalla tua vicenda personale?

Penso che dietro a tutto questo ci sia Dio , perché noi ci sentivamo perduti in un paese straniero, con una cultura e una lingua molto diverse dalle nostre. Tuttavia abbiamo conosciuto il cristianesimo grazie alla scuola di Notre Dame, e questo ci ha aiutato molto. Inoltre, grazie alle monache, avevamo imparato la scrittura occidentale, importantissima per leggere la Bibbia e il Catechismo. Ora mi rendo conto che dietro a tutto questo c’è stato il Signore, e anche dietro alla nostra fuga in Spagna. Io penso che Dio sia un essere tenero, che non s’impone, ma che si propone un po’ per volta. L’ho scoperto così, senza alcuna idea di diventare cattolico e senza cercare l’Opus Dei. Ma Egli stava dietro questo cammino, mi andava guidando, mi portava per mano come un bambino piccolo.