"Un santo per amico". Sintesi del libro.

E' stato presentato a Roma il libro “Un santo per amico. Testimonianze sul beato Josemaría Escrivá" (Ed. Ares, pp. 400). Riportiamo una breve sintesi del libro.

“Sono nata a Badajoz (Estremadura) e appartengo alla Comunità delle Dame Apostoliche dal 1922 (...). Da allora ho dedicato la mia vita alla salvezza del maggior numero possibile di anime: seguendo la norma delle nostre Regole, ho cercato queste anime nei luoghi più poveri, più abbandonati dall'aiuto sociale e più lontani dal Signore”.

Asunción Muñoz (1894-1984) comincia così i suoi ricordi sul beato Josemaría Escrivá, che conobbe “nel 1927, quando fu nominato Cappellano del Patronato de Enfermos di Madrid”. La sua è una delle 28 testimonianze di altrettante personalità ecclesiastiche (vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose) raccolte nel volume Un santo per amico, appena pubblicato per i tipi delle edizioni Ares. Sono testimonianze di prima mano, scritte poco dopo la morte di Josemaría Escrivá (1975) da persone che lo hanno frequentato in Spagna tra il 1927 e il 1946, vale a dire agli esordi della sua traiettoria pastorale. Il libro mostra la reciproca stima tra i protagonisti dei vari ambienti ecclesiastici dell'epoca e il beato Josemaría.

“Capì molto bene il nostro spirito”, dichiara Asunción Muñoz, “anche se poi ha fondato l'Opus Dei, con un metodo molto diverso di cercare la santità. Avendolo conosciuto, questo si spiega facilmente poiché egli rispettava tutto ciò che era buono, grande, santo (...). Quando avevamo un malato difficile, che non voleva ricevere i Sacramenti, che stava per morire lontano dalla Grazia, lo affidavamo a don Josemaría con la sicurezza che ne avrebbe avuto cura e che, nella maggioranza dei casi, si sarebbe guadagnata la sua volontà e gli avrebbe aperto le porte del Cielo. Non ricordo un solo caso in cui abbiamo fallito nel nostro intento”. Più avanti prosegue: “Andavamo con qualche automobile che ci prestava qualche famiglia e ci avvicinavamo alle umili case di quei malati. Molte volte si doveva legalizzare la loro situazione, sposarli, risolvere problemi sociali e morali urgenti; aiutarli in molti aspetti. Don Josemaría si occupava di tutto, a qualunque ora, con costanza, con dedizione, senza la minima fretta, come chi sta adempiendo la propria vocazione, il proprio sacro ministero di amore”.

“L'immagine di Josemaría di quell'epoca che mi è rimasta impressa è quella di un sacerdote fuori del comune, un po' eccezionale”, scrive il Cardinale José María Bueno Monreal (1904-1987), allora giovane sacerdote e più tardi Arcivescovo di Siviglia. Fu nel settembre del 1928 che egli conobbe “Josemaría, come l'ho sempre chiamato da quel momento; a sua volta, Josemaría mi chiamava Pepe, che era l'appellativo familiare che usavano i miei”. Dell'amico Josemaría, oltre ai molti bei momenti trascorsi assieme, il Cardinale Bueno Monreal ricorderà in seguito i lineamenti della attraente personalità sacerdotale, in cui una spiccata visione soprannaturale si accompagnava a uno stile di condotta modesto e pacato — “Josemaría aveva una grande umiltà”, sottolinea il Cardinale — che gli faceva rifuggire già allora “ciò che poi, nel corso del Concilio, abbiamo chiamato "trionfalismo"”.

Fra José María Aguilar (1910-1992) entrò nell'Ordine dei Geronimiti nel 1941, dopo essere stato orientato spiritualmente per qualche tempo da don Josemaría. Al fondatore dell'Opus Dei è rimasto sempre molto riconoscente, come altri suoi confratelli, indirizzati anch'essi dal beato Josemaría Escrivá verso la vita religiosa: “Non solamente io devo la mia vocazione religiosa come Geronimita al Padre (come si era soliti chiamarlo), ma anche Juan Batanero, studente di Ingegneria civile dei trasporti (collega di Alvaro del Portillo), Bartolomé Rotger, architetto, e alcuni altri che ora non ricordo bene”.

Esperienze analoghe si sono verificate anche tra persone entrate poi in altri Ordini religiosi. Fra Hugo Quesada (1912-1995), per esempio, dopo aver seguito settimanalmente per alcuni anni la direzione spirituale di don Josemaría, un giorno si vide incoraggiato da lui a farsi certosino: “"Va'", mi disse, "perché lo Spirito Santo ti conduce per questa strada"”. Dalla Certosa di Mougères, in Francia, Fra Hugo dichiara inoltre di aver letto e meditato spesso Cammino, il libro più conosciuto di Josemaría Escrivá. “Attualmente, Cammino continua a farmi del bene nella mia vita nella Certosa”, scrive nella sua testimonianza.

Mons. Santos Moro Briz (1888-1980), Vescovo di Avila dal 1935, chiese all'amico Josemaría Escrivá di predicare “i corsi di esercizi spirituali per il clero che organizzammo alla fine della guerra civile. Erano momenti molto importanti per organizzare la diocesi, riunire il clero intorno al proprio Vescovo e unirlo in autentica fraternità (...). Io fui presente, com'è naturale, e come sintesi posso ripetere le stesse parole che dissi allora ai partecipanti: "Don Josemaría, quando parla, ferisce sempre; alcune volte con spada toledana e altre con bombe a mano". Così ho cercato di esprimere la forza che aveva la predicazione di quel giovane sacerdote che parlava di ciò che egli stesso viveva: delle virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, messe in pratica nelle piccole cose di ogni giorno”. Stando a quanto riferisce Mons. Moro, il beato Josemaría “fu sempre molto generoso, nonostante le indubbie difficoltà attraverso le quali dovette passare; per esempio, non volle mai ricevere alcuna remunerazione per i numerosissimi esercizi spirituali che dirigeva; anzi, come appare dalle lettere che mi scriveva da Burgos alla fine degli anni Trenta, non lesinava sforzi per inviarmi frequenti offerte di Messe per i miei amati sacerdoti di Avila che, in quelle difficili circostanze, si trovavano in ristrettezze”.

E' interessante anche la testimonianza di Mons. José López Ortiz (1898-1992), dell'Ordine di sant'Agostino, nominato Vescovo di Tuy-Vigo nel 1944. Conosceva il beato Josemaría dal 1924, e la sua amicizia con lui gli fece condividere specialmente la sofferenza provocata dagli attacchi che l'Opus Dei e la persona del fondatore subirono nei primi anni Quaranta. “Una volta”, scrive per esempio in un passo della sua testimonianza, “mi giunse un documento della Falange — il partito unico di Franco — nel quale lo si calunniava in maniera atroce. Mi sembrò doveroso portargli l'originale, che mi aveva lasciato un mio amico; gli attacchi erano così violenti che, mentre Josemaría leggeva quelle pagine davanti a me, con calma, non potei evitare che mi spuntassero le lacrime. Quando Josemaría terminò la lettura, vedendo la mia pena, scoppiò a ridere e mi disse con eroica umiltà: "Non preoccuparti, Pepe, perché tutto quello che dicono qui è, grazie a Dio, falso; ma se mi conoscessero meglio, avrebbero potuto affermare in verità cose ben peggiori, perché io non sono altro che un povero peccatore che ama alla pazzia Gesù Cristo". E invece di fare a pezzi quella congerie di insulti, mi restituì le carte affinché il mio amico le potesse riportare al ministero della Falange, dove le aveva prese: "Tieni — mi disse — e dalle a quel tuo amico perché le possa rimettere al loro posto, per evitare che perseguitino lui"”. Mons. López Ortiz conclude: “La sofferenza non gli toglieva né l'allegria né l'equanimità. Sapeva ringraziare il Signore per tutte le occasioni che incontrava di soffrire per Lui. La sua allegria aveva veramente radici a forma di croce, come era solito predicare di questa virtù”.