Un campo di lavoro in Romania

Lo scorso settembre un gruppo di studenti provenienti da diverse città italiane si è recato a Ponorel, sui Monti Apuseni, in Transilvania, per partecipare a un campo di lavoro. Mario Allora e Carlo Orecchia, studenti di liceo a Torino, raccontano la loro esperienza.

Che cos’è un campo di lavoro?

In realtà né noi né gli altri ragazzi sapevamo bene di cosa si trattasse. Sapevamo solo che vi avrebbero partecipato giovani di varie città italiane (Torino, Napoli, Brescia, Milano, Trieste) e che sarebbe stato molto faticoso ma molto bello, o almeno così ci avevano detto i ragazzi che vi avevano partecipato gli anni passati.  Dopo un viaggio di due giorni, lunghissimo ma reso quasi piacevole dall’allegria generale, appena arrivati siamo stati accolti da una cena a base di latte e frittelle; dopo esserci rifocillati abbiamo affrontato un serissimo problema: i posti letto. Nonostante il grandissimo senso dell’ospitalità che aveva la gente del posto, le casette a nostra disposizione erano decisamente troppo piccole per ospitarci. Dopo aver fatto entrare diciotto brande in tre stanze, ci sentivamo stanchi, ma piuttosto soddisfatti per l’impresa...

In che consisteva il campo di lavoro?

Eravamo divisi in gruppi, ciascuno con diversi incarichi. C’era chi scavava con le piccozze, chi raccoglieva la terra con le vanghe per metterla in secchi e carriole, poi svuotati altrove, chi trasportava pietre, chi ripuliva il letto di un fiume prosciugatosi, chi faceva il cemento con la betoniera… Tutti lavoravamo per lo stesso scopo: realizzare una grotta per una statua della Madonna a fianco di una chiesetta cattolica di rito greco.

Bisogna qui fare una doverosa precisazione sull’importanza di questo gesto. Durante gli anni della dittatura comunista la Chiesa di rito greco-cattolico è stata duramente perseguitata. Lo stesso non è accaduto alla maggioranza ortodossa, in cui i vescovi dissidenti furono sostituiti da altri fedelissimi al regime. Terminata la dittatura, a poco a poco i cattolici di rito greco hanno ricominciato a praticare pubblicamente il loro culto, ma con grandi difficoltà. Le loro chiese, infatti, erano state tutte sequestrate dallo stato, e solo una piccolissima parte restituita. Inoltre i doverosi lavori di restauro non potevano essere intrapresi per mancanza di denaro.

Un bel servizio per gli abitanti del posto...

Aiutare questa comunità a rinascere lavorando per abbellire e ristrutturare le loro chiese è un segno molto forte di unità ecclesiale. Ovviamente in un periodo di quindici, al massimo venti giorni, non si può cambiare radicalmente la situazione, ma il valore dell’azione è sempre stato pienamente percepito, con grande ammirazione da parte degli abitanti. Quando siamo arrivati a Ponorel quest’anno, il sacerdote del posto ci ha detto che tutta la valle sapeva del nostro arrivo. Ci sembrava un’esagerazione, ma poi ci siamo accorti che era la verità. Molte volte abbiamo incontrato persone del luogo che ci dicevano: ”Ah, voi siete quelli che sono venuti dall’Italia!” A me è capitato di imbattermi in una donna ortodossa che ha tirato fuori delle cartoline di Ravenna mandatele da sua figlia, sperando che riconoscessi il posto.  

Il parroco ci ha poi spiegato che per una persona che è sempre vissuta in un piccolo paesino vedere arrivare dei giovani dal “ricco occidente” che hanno pagato per lavorare attorno a una chiesa è veramente sorprendente, e fa piacere particolarmente ai greco-cattolici, che possono toccare con mano l’amore che la Chiesa di rito romano ha per loro.

Nei campi di lavoro si è sempre fatto ciò che il parroco ha ritenuto più utile: ridipingere l’esterno della chiesa, riassettare il cancello del cimitero, costruire un marciapiede per poter fare d’inverno le processioni sul cemento  (e non più in mezzo alla neve e al fango) e così via. L’anno scorso abbiamo iniziato a scavare nella collina a fianco della chiesetta per edificare la grotta per la Madonna, anche questo su richiesta del sacerdote, che voleva riavvivare la devozione dei fedeli per la Vergine.

E' stata dura?

Sembra un paradosso, ma la consapevolezza di lavorare per una cosa seria e importante mi ha reso molto più allegro del solito. In particolare non potrò dimenticare facilmente - dice Mario - quanto è stato bello faticare con ragazzi della mia età che si impegnavano per rendere la fatica degli altri piacevole. Quando, per esempio, dovevamo andare al fiume a prendere con due grossi secchi l’acqua per fare il cemento, ci alternavamo io, che non sono particolarmente forzuto, e altri due ragazzi più muscolosi. Ogni volta che toccava a me farlo, mi armavo di coraggio e pazienza e, quando mi vedevano tornare stanco, con un secchio per mano, mentre l’acqua strabordante mi bagnava le gambe, mi prendevano amichevolmente in giro per farmi ridere.

I momenti del giorno che più vi piacevano?

Quando due signore del posto, Lidia e Rodica, ci preparavano buone quantità di piatti locali… Ci sedevamo tutti attorno a un lungo tavolo all’aperto, coperto da un gazebo artigianale, e cercavamo di fare onore al buon cibo. In quei momenti di riposo dal lavoro ho potuto sperimentare quello che il mio tutor mi aveva sempre detto e a cui non avevo mai creduto: con le persone con cui hai lavorato è molto più facile fare amicizia. Parlavamo e scherzavamo su varie cose, ma ogni tanto lo spettacolo ci veniva dato dai polli che ruspavano attorno al nostro tavolo, in particolare dal gallo che comandava le galline a bacchetta e ogni tanto gonfiava il petto, alzava la cresta ed emetteva il noto “chicchirichì!” con una solennità ridicola. E’ incredibile come possa essere tanto divertente una cosa tanto semplice…

Insomma, il campo di lavoro in Romania è stata un’esperienza veramente al di sopra delle aspettative: abbiamo pregato, lavorato, stretto amicizie molto belle (ogni tanto sentiamo ancora alcuni di quei ragazzi su Facebook), e ci siamo portati a casa una lezione: la semplicità e l’allegria sono sinonimi di amore divino.