Tema 6. L’essere umano, immagine di Dio

L’essere umano è l’unica creatura capace di conoscere e di amare al di là di ciò che è materiale e finito. Se Dio ci ha creati con uno spirito è perché noi lo potessimo conoscere e amare: la creazione dell’essere umano a immagine di Dio comporta la possibilità di una relazione di comunicazione reciproca. L’essere umano, essendo immagine di Dio e partecipando di Lui, che è Amore, è un essere capace di amore.

1. L’essere umano creato a immagine di Dio

Il libro della Genesi ci dice che «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò»[1].

Si tratta indubbiamente di una rivelazione della massima importanza. Dopo la creazione del mondo materiale, del mondo vegetale e del mondo animale, Dio crea - qui non prendiamo in considerazione il mondo degli angeli - la creatura umana. C’è una distinzione netta e radicale tra gli esseri non umani e gli esseri umani: solo quelli umani sono immagine di Dio; rispecchiano di Dio molto più che il semplice essere stati creati da Lui; partecipano della divinità di Dio in una maniera superiore alla natura non umana, anche se logicamente questa somiglianza non annulla la distinzione tra la natura umana e la natura divina. «La persona umana, creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e spirituale. Il racconto biblico esprime questa realtà con un linguaggio simbolico, quando dice che “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7)»[2].

Questa posizione intermedia dell’essere umano, tra il mondo materiale-animale e la divinità, può essere negata dai due estremi. Nel primo caso, l’uomo si erge in signore assoluto di se stesso e di tutta la creazione; nel secondo caso, si ritiene che l’essere umano sia un semplice prodotto dell’evoluzione animale, per quanto complessa si concepisca, privato di spiritualità e di libertà.

Tuttavia, per evitare questi due errori e accettare più facilmente questa verità di fede basta riflettere sull’esperienza che abbiamo del nostro modo di essere.

Da un lato, sono evidenti molte limitazioni che dimostrano e costituiscono la nostra finitezza: per esempio, non riusciamo a fare tutto quello che vorremmo (sia per ostacoli esterni, sia per ostacoli interni); ci succedono molte cose che non controlliamo, non vogliamo, né prevediamo; viviamo in un flusso di tempo e di avvenimenti che non possiamo invertire né fermare. Ecco, dunque, che la nostra finitezza è evidente.

Però, d’altra parte, non sono meno evidenti certi aspetti della nostra vita che sfuggono a questa finitezza, che in qualche modo la rendono permeabile e la aprono all’infinito. Tanto per cominciare, constatiamo il fatto sorprendente che, pur essendo esseri finiti, noi lo sappiamo o ne abbiamo consapevolezza; infatti, se sappiamo di essere finiti, è perché il nostro intelletto oltrepassa in qualche modo il limite della finitezza personale. Inoltre, riguardo alle limitazioni che abbiamo indicato, è vero che non otteniamo molte delle cose che vorremmo, ma possiamo concepirle e desiderarle anche nel caso in cui si tratti anche di propositi impossibili da realizzare; necessariamente ci succedono anche cose incontrollabili, alle quali possiamo sempre opporre resistenza o prendere una posizione interiore nei loro confronti; il tempo passa veramente per noi e in noi in un modo forzatamente irreversibile, ma viviamo sempre in un continuo e permanente “ora” dal quale possiamo contemplare e dare senso al passato e in certo qual modo al futuro.

In definitiva, siamo indubbiamente creature finite e, fra l’altro, viviamo in un mondo materiale finito; però avvertiamo anche la capacità di prendere le distanze o distaccarci dai condizionamenti della finitezza. Questa capacità è possibile solo agli esseri spirituali, ed è questo che ci fa simili a Dio, Spirito infinito e assoluto.

Una certa teoria umanista sostiene l’idea di un essere umano spirituale, ma con uno spirito finito - più o meno illuminato -, che non sia né immagine di Dio né, pertanto, orientato a Lui. Una simile concezione è problematica sia teoricamente, perché la natura di uno spirito consiste nel partecipare dell’assoluto e tendere ad esso; sia praticamente, perché l’esperienza personale e storica dimostra che rompere la relazione con Dio finisce con l’annacquare la dignità della persona umana. «Non esistono altre vie. Sulla terra sono possibili solo due modi di vivere: o si vive vita soprannaturale o vita animale»[3].


2. L’essere umano, immagine di Dio: creato dall’amore, creato per amare

Il fatto che «Dio creò l’uomo a sua immagine» implica anche due affermazioni fondamentali: che siamo stati creati dall’amore e che siamo stati creati per amare.

In primo luogo, se Dio è perfetto e assoluto, non ha necessità di niente e di nessuno. Da quanto si è detto sin qui si deduce che Dio è assolutamente trascendente e libero; vale a dire, che non ha creato il mondo né l’uomo per necessità, ma in pienissima libertà. La creazione è un dono gratuito di Dio: in altre parole, tutta la creazione è opera del suo amore. Dobbiamo respingere la frequente tentazione di sottoporre Dio, o la Volontà di Dio, alla nostra logica o alle nostre condizioni.

In secondo luogo, se Dio ci ha creato a sua immagine è per intrattenere con l’uomo una eventuale relazione. In altre parole, se Dio ci ha fatto capaci di conoscere e di amare ben oltre ciò che è materiale e finito, se ci ha creato con uno spirito, è perché lo conoscessimo e lo amassimo. «Di tutte le creature visibili, soltanto l’uomo è “capace di conoscere e di amare il proprio Creatore” (Gaudium et Spes, 12); è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (Gaudium et Spes, 24); soltanto l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità»[4].

Da un altro punto di vista, si può dire che la creazione dell’uomo a immagine di Dio implica la possibilità di una relazione di comunicazione reciproca. Però l’iniziativa di tale comunicazione, se si riferisce all’intimità, può provenire solamente da Dio, perché la conoscenza naturale umana non può, per se stessa, accedere all’intimità di Dio (in realtà, né a nessun’altra intimità se questa non gli si apre). Ed è questo ciò che effettivamente Dio ha fatto: Dio ci si è rivelato, ci ha comunicato la sua natura più intima. Ebbene, questa profonda rivelazione ci viene nella maniera più esplicita attraverso san Giovanni: «Dio è Amore»[5].

Questo significa che l’essere umano, essendo immagine di Dio e partecipando di Lui, che è Amore, è un essere capace di amore: questa è la sua essenza e la sua definizione più profonda, quella che determina ciò che egli è e può arrivare ad essere, «perché ognuno è ciò che è il suo amore»[6]; ed è capace di amore perché, essendo creato dall’Amore, ha già ricevuto questo amore, è stato amato per primo: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi»[7]; «noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo»[8]. Per questo tutto il dinamismo della vita morale, le virtù, è informato dall’amore, dalla carità. «La carità ordina gli atti delle altre virtù al fine ultimo, e per questo motivo dà alle altre virtù la forma. Pertanto si dice che è forma delle virtù»[9].


3. Le dimensioni dell’essere umano, immagine di Dio: intelligenza, volontà, affetti

Definire l’uomo come un essere che ama o che è capace d’amore può essere ambiguo in funzione di che cosa s’intende per amore, termine troppo ampio e diverso nell’uso che se ne fa oggi. In generale si può dire che l’amore è un desiderio, o almeno lo contiene; però l’essere umano può desiderare in diverse maniere (può essere egoista o altruista), a diversi livelli della sua natura (sensibile o spirituale) e, inoltre, in direzioni molto diverse tra loro (verso realtà inferiori o superiori all’uomo stesso, verso oggetti in sé buoni o cattivi, ecc.), che caratterizzano tale desiderio in modi differenti e, di conseguenza, definiscono il soggetto stesso che desidera. La luce della fede ci indica che il modo di amare più appropriato all’essere umano, immagine di Dio, è amare come ama Lui.

Amare come Dio o amare spiritualmente significa, in sintesi, amare liberamente in e con verità. In altre parole, significa innalzare l’affettività al livello in cui la ragione discerne in essa verità o falsità, convenienza o scorrettezza, aprendo o dirigendo l’amore verso l’altro; cosa che, evidentemente, si può fare soltanto in modo libero o volontario. Si tratta, allora, di mettere in gioco le tre dimensioni fondamentali dell’essere umano in quanto spirito: l’intelligenza o il logos, che discerne il tipo di amore e lo apre ad altre persone; la volontà, che decide liberamente come rispondere a questa conoscenza permeata dall'amore; e l’affettività che nella sua forma più profonda e più alta corrisponde in senso proprio all’amore.

È chiaro che spesso constatiamo in noi un livello non spirituale in cui mancano lucidità, libertà o autentico amore. Quello che bisogna fare, allora, è integrare queste tre dimensioni umane al loro livello superiore o spirituale; senza cedere, pertanto, a riduzionismi che in fondo presuppongono una concezione dell’essere umano come un essere esclusivamente materiale, animale o socialmente gregario.

Su questo piano spirituale intelligenza e amore vanno di pari passo in modo armonioso e simultaneo. «Non c'è l'intelligenza e poi l'amore: ci sono l'amore ricco di intelligenza e l'intelligenza piena di amore»[10]. Eros e àgape, che spesso sono stati radicalizzati e posti in opposizione tra loro (come amore di concupiscenza e amore di benevolenza, amore ascendente e amore discendente, amore possessivo e amore oblativo, amore per se stesso e amore dell’altro, ecc.), si integrano elevandosi e purificandosi. «In realtà eros e àgape - amore ascendente e amore discendente - non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere. Anche se l'eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente - fascinazione per la grande promessa di felicità - nell'avvicinarsi poi all'altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell'altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà “esserci per” l'altro. Così il momento dell'àgape si inserisce in esso; altrimenti l'eros decade e perde anche la sua stessa natura. D'altra parte, l'uomo non può neanche vivere esclusivamente nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono»[11].


4. La socievolezza dell’essere umano, immagine di Dio

Dio, nel rivelarci la sua essenza come amore, ci ha rivelato inoltre qualcosa su come ama; e non solo su come ama le creature umane, ma su come ama in se stesso. Dio ama in modo interpersonale; Dio è Trino, una Trinità di persone che si conoscono e si amano reciprocamente. Allora noi, se siamo immagine di Dio, siamo chiamati ad amare in questo modo e abbiamo già in noi una traccia o partecipazione di questo amore interpersonale.

Questa dimensione dell’amore, l’amore all’altro, si può intravedere nell’esperienza naturale sia dell’amore che dell’esperienza dell’altro in quanto altra persona. Per un verso, se l’amore è desiderio, muove, è movimento; ed è naturale che tragga il soggetto fuori da sé verso ciò che è superiore, verso altre persone. Per un altro verso, l’esperienza autentica che abbiamo degli altri non è semplicemente l’esperienza di altri “oggetti” ai quali possiamo rispondere se ne abbiamo voglia; è piuttosto l’esperienza di altri “soggetti” che dai quali ci sentiamo interpellati sin dall’inizio e che ci richiedono una risposta. A sua volta, questa scoperta naturale appare rafforzata dalla verità di fede che andiamo considerando, l’essere umano come immagine di Dio. In effetti, se l’altro è immagine di Dio, amare l’altro vuol dire amare l’immagine di Dio, amare qualcuno che Dio ama, amare Dio stesso.

Pertanto, l’amore è un amore essenzialmente interpersonale: «Perché piena di verità, la carità può essere dall'uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è “logos” che crea “dia-logos” e quindi comunicazione e comunione. [...] La verità apre e unisce le intelligenze nel logos dell'amore: è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità»[12]. Ecco perché il Nuovo Testamento presenta uniti i comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo[13], in modo che l’uno porta all’altro: l’amore a Dio porta all’amore al prossimo e l’amore al prossimo porta all’amore a Dio. «Se ami tuo fratello, è necessario che ami l’amore stesso. Ebbene, l’“amore è Dio”, dunque è necessario che colui che ama il proprio fratello ami anche Dio»[14].

È su questi profondi presupposti antropologici ed etici che si fonda la socievolezza umana, e non solo su una questione fattuale di necessaria e utile convivenza in comunità. E per questo motivo la socievolezza si alimenta dell’amore e in primo luogo si compone delle relazioni e delle comunità propriamente amorose: la famiglia e l’amicizia. Solamente attraverso la socializzazione, il contatto con altri, l’essere umano cresce e si sviluppa nella natura che gli è propria: «Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza “se non attraverso un dono sincero di sé” (Gaudium et spes, n. 24). E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri»[15].

Ne abbiamo conferma nello stesso Vangelo: «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre»[16]. Da tutto questo si ricavano ricche conseguenze per la famiglia come cellula di base della società. «Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione. L'amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano»[17]. Succede lo stesso nell’amicizia - «vi ho chiamato amici»[18] -: essa si nutre dell’amore di Dio e genera comunanza. «Per la grazia che Egli ci dona, siamo elevati in modo tale che siamo veramente suoi amici. Con lo stesso amore che Egli riversa in noi, possiamo amarlo, estendendo il suo amore agli altri, nella speranza che anch’essi troveranno il loro posto nella comunità di amicizia fondata da Gesù Cristo»[19].

Sergio Sánchez-Migallón


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 355-368.


[1] Gen 1, 27.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 362.

[3] San Josemaría, Amici di Dio, n. 200.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 356.

[5] 1 Gv 4, 8 e 16.

[6] Sant’Agostino, Commento alla Prima Lettera di san Giovanni, trattato 2, n. 14.

[7] 1 Gv 4, 10.

[8] Ivi 4, 19.

[9] San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 23, a 8.

[10] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 30.

[11] Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 7.

[12] Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 4.

[13] Cfr. Mt 22, 40; 1 Gv 4, 20 e 21; ecc.

[14] Sant’Agostino, Commento alla Prima Lettera di san Giovanni, trattato 9, n. 10.

[15] Papa Francesco, Enciclica Fratelli tutti, n. 87.

[16] Mt 12, 50.

[17] San Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 11.

[18] Gv 15, 15.

[19] Papa Francesco, Christus vivit, n. 153.