Tema 36. La preghiera del Padre Nostro

Con la preghiera del Padre Nostro, Gesù vuole rendere consapevoli i suoi discepoli della loro condizione di figli di Dio. Conseguenze importanti del senso della filiazione divina sono la fiducia e l'abbandono filiale nelle mani di Dio. Il Padre Nostro è il modello di ogni preghiera: chiediamo tutto ciò che possiamo rettamente desiderare, nell'ordine in cui dobbiamo desiderarlo.

1. Gesù ci insegna a rivolgerci a Dio come Padre

La prima parola del Padre Nostro, "Padre", è la più importante, perché ci insegna a rivolgerci a Dio come Padre: «Pregare il Padre è entrare nel suo mistero, quale egli è, e quale Figlio ce lo ha rivelato: L'espressione Dio-Padre non era mai stata rivelata a nessuno. Quando lo stesso Mosè chiese a Dio chi fosse, si sentì rispondere un altro nome. A noi questo nome è stato rivelato nel Figlio: questo nome, infatti, implica il nuovo nome di Padre (Tertulliano, De oratione, 3)»[1].

Insegnando il Padre Nostro, Gesù rivela inoltre ai suoi discepoli che sono stati resi partecipi della sua condizione di Figlio: «Mediante la rivelazione di questa preghiera i discepoli scoprono una loro speciale partecipazione alla figliolanza divina, della quale l’apostolo Giovanni dirà nel Prologo del suo Vangelo: “A quanti... l’hanno accolto (e cioè: a quanti hanno accolto il Verbo che “si fece carne”), Gesù ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12). A ragione perciò, secondo il suo stesso insegnamento, essi pregano: “Padre nostro”»[2].

Gesù Cristo distingue sempre tra "Padre mio" e "Padre vostro"[3]. Di fatto, quando prega non dice mai "Padre nostro". Questo vuol dire che la sua relazione con Dio è del tutto esclusiva: è sua e di nessun altro. Con la preghiera del Padre nostro, Gesù vuole rendere consapevoli i suoi discepoli della loro condizione di figli di Dio, ribadendo allo stesso tempo la differenza tra la filiazione naturale e la nostra filiazione divina adottiva, che si riceve come un dono gratuito di Dio.

La preghiera del cristiano è la preghiera di un figlio di Dio che si rivolge al suo Padre Dio con fiducia filiale, «indicata nelle Liturgie d'Oriente e di Occidente con una felice espressione tipicamente cristiana: parrhésia, vale a dire semplicità schietta, fiducia filiale, gioiosa sicurezza, umile audacia, certezza di essere amati. (Cfr. Ef 3,12; Eb 3,6; 4,16; 10,19; 1 Gv 2,28; 3,21; 5,14)»[4]. Il termine parrhesia indicava originariamente il privilegio della libertà di parola del cittadino greco nelle assemblee popolari ed è stato adottato dai Padri della Chiesa per esprimere l’atteggiamento filiale del cristiano verso Dio suo Padre.


2. Il Padre Nostro è la preghiera della filiazione divina e fraternità cristiana

Quando chiamiamo Dio Padre Nostro riconosciamo che la filiazione divina ci unisce a Cristo, «primogenito fra molti fratelli»[5] in una vera e propria fraternità soprannaturale. La Chiesa è questa nuova comunione tra Dio e gli uomini[6].

Pertanto, la santità cristiana, pur essendo personale e individuale, non è mai individualista o egocentrica: «se preghiamo in verità il “Padre nostro”, usciamo dall'individualismo, perché ne siamo liberati dall'Amore che accogliamo. Il “nostro” dell'inizio della Preghiera del Signore, come il «noi» delle ultime quattro domande, non esclude nessuno. Perché sia detto in verità, (Cfr. Mt 5,23-24; 6,14-16) le nostre divisioni e i nostri antagonismi devono essere superati»[7].

La fraternità che proviene dalla filiazione divina si estende pure a tutti gli uomini, perché tutti sono in qualche modo figli di Dio in quanto sue creature e sono chiamati alla santità: «Sulla terra non c'è che una razza: quella dei figli di Dio»[8]. Il cristiano deve quindi sentirsi partecipe del compito di avvicinare l'intera umanità a Dio.

La filiazione divina ci sprona all'apostolato che è una manifestazione necessaria della filiazione e della fraternità: «Prima di ogni altra cosa, devi pensare agli altri, a coloro che ti sono vicini, stimandoli per quello che sono: figli di Dio, con tutta la dignità di questo titolo meraviglioso.
Con i figli di Dio dobbiamo comportarci come figli di Dio: il nostro amore deve essere abnegato, quotidiano, ricco di mille sfumature di comprensione, di sacrificio silenzioso, di donazione nascosta»[9].

Conseguenze importanti del senso della filiazione divina sono la fiducia e l'abbandono filiale nelle mani di Dio. San Josemaría diceva che «un figlio si può comportare con suo padre in diverse maniere. Bisogna rendersi conto che il Signore, volendoci suoi figli, ci ha ammessi a vivere nella sua casa, in mezzo al mondo: ha voluto che fossimo della sua famiglia, che tutte le cose sue fossero nostre e le nostre sue, che lo trattassimo con tanta familiarità e fiducia da chiedergli, come fa il bambino, la luna!»[10].

L'abbandono filiale, che non è conseguenza della lotta ascetica personale (anche se a volte la presuppone), consiste nel lasciarsi guidare da Dio. È un abbandono attivo, libero e consapevole di un figlio. Da questo atteggiamento prende origine un modo concreto di vivere la filiazione divina (che non è l'unico, né è un percorso obbligato per tutti) chiamato "infanzia spirituale": consiste nel riconoscersi non solo come un figlio, ma come un bambino piccolo, un bambino che dipende in tutto da Dio. San Francesco di Sales lo spiega così: «Se non diventerete come bambini piccoli, non entrerete nel regno del Padre mio" (Mt 10,16). Finché il bambino è piccolo, si mantiene in grande semplicità; conosce solo la madre; ha un solo amore, la madre; una sola aspirazione, il grembo della madre; non desidera altro che sdraiarsi in questo dolce riposo. L'anima perfettamente semplice non ha che un unico amore, Dio; e in questo unico amore, un'unica aspirazione, quella di riposare nel seno del Padre celeste, e qui stabilire il suo riposo, come un figlio amoroso, lasciando ogni cura interamente a Lui, non cercando altro che di rimanere in questa santa fiducia»[11]. Pure san Josemaría consigliava di seguire il cammino dell'infanzia spirituale: «Se sarete bambini non avrete dispiaceri: i bambini dimenticano subito i loro guai per tornare ai giochi abituali. —Pertanto, abbandonandovi, non avrete di che preoccuparvi, giacché riposerete nel Padre»[12].


3. Le sette domande presenti nella preghiera del Padre Nostro

Nel Padre Nostro, l'invocazione iniziale, «Padre nostro che sei nei cieli», è seguita da sette richieste. «Le prime tre domande hanno come oggetto la Gloria del Padre: la santificazione del Nome, l'avvento del Regno e il compimento della Volontà divina. Le altre quattro presentano a lui i nostri desideri: queste domande riguardano la nostra vita per nutrirla e guarirla dal peccato, e si ricollegano al nostro combattimento per la vittoria del Bene sul Male»[13].

Il Padre Nostro è il modello di ogni preghiera, come insegna san Tommaso d'Aquino: «La preghiera del Padre Nostro è perfettissima... nella Preghiera del Signore non solo vengono domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell‘ordine in cui
vanno desiderate: per cui questa preghiera non solo insegna a chiedere, ma altresì plasma tutti i nostri affetti»[14].

Prima domanda del Padre Nostro: Sia santificato il tuo nome

Nessuna creatura può accrescere la santità di Dio. Quindi «il termine “santificare” qui va non già nel suo senso causativo (Dio solo santifica, rende santo), ma piuttosto nel suo senso estimativo: riconoscere come santo, trattare in una maniera santa […]. Fin dalla prima domanda al Padre nostro, siamo immersi nell'intimo mistero della sua Divinità e nel dramma della salvezza della nostra umanità. Chiedergli che il suo Nome sia santificato ci coinvolge nel Disegno che [egli] “nella sua benevolenza aveva... prestabilito”, “per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Cfr. Ef 1,9.4)»[15]. Pertanto nella prima domanda si chiede che la santità divina risplenda e aumenti nella nostra vita: «Chi potrebbe santificare Dio, dato che è lui che santifica? Ma ispirandoci a quelle parole: ”Siate santi perché io sono santo” (Lv 20, 26), chiediamo che santificati dal battesimo noi perseveriamo in quello che abbiamo cominciato ad essere. E questo, lo chiediamo ogni giorno. È necessario santificarci ogni giorno, perché ogni giorno cadiamo; dobbiamo purificare i nostri peccati con una santificazione continuamente rinnovellata... Ricorriamo dunque alla preghiera affinché resti in noi tale santità»[16].

Seconda domanda del Padre Nostro: Venga il tuo regno

La seconda domanda esprime la speranza che giunga un tempo nuovo in cui Dio sarà riconosciuto da tutti come un Re che colmerà di benefici i suoi sudditi: «Questa richiesta è il “Marana tha”, il grido dello Spirito e della Sposa: “Vieni, Signore Gesù”.[17] Nella Preghiera del Signore si tratta principalmente della venuta finale del Regno di Dio con il ritorno di Cristo (Cf. Tt 2,13)»[18]. D'altra parte il Regno di Dio è già stato inaugurato in questo mondo con la prima venuta di Cristo e l'invio dello Spirito Santo: «Il Regno di Dio... è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo»[19]. Gli ultimi tempi, nei quali siamo, sono quelli dell'effusione dello Spirito Santo. Pertanto è ingaggiato un combattimento decisivo tra "la carne» e lo Spirito[20]: «Solo un cuore puro può dire senza trepidazione alcuna: “Venga il tuo Regno”. Bisogna essere stati alla scuola di Paolo per dire: “Non regni più dunque il peccato nel nostro corpo mortale” (Rm 6,12). Colui che nelle azioni, nei pensieri, nelle parole si conserva puro, può dire a Dio: “Venga il tuo Regno!” (San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses mystagogicæ, 5, 13)»[21]. In definitiva, nella seconda domanda esprimiamo il desiderio che Dio possa effettivamente regnare in noi con la grazia, che si estenda ogni giorno di più il suo Regno sulla terra e che alla fine dei tempi Egli possa regnare pienamente su tutti in Cielo.

Terza domanda del Padre Nostro: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.

La volontà di Dio è che «tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità»[22]. Gesù ci insegna che non si entra nel Regno dei cieli con le parole, ma «facendo la volontà del Padre mio che è nei cieli»[23]. Pertanto, con questa domanda «chiediamo al Padre nostro di unire la nostra volontà a quella del Figlio suo per compiere la sua Volontà, il suo Disegno di salvezza per la vita del mondo. Noi siamo radicalmente incapaci di ciò, ma, uniti a Gesù e con la potenza del suo Santo Spirito, possiamo consegnare a lui la nostra volontà e decidere di scegliere ciò che sempre ha scelto il Figlio suo: fare ciò che piace al Padre (Cfr. Gv 8,29)»[24]. Quando diciamo nel Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra», non intendiamo dire «che Dio farà ciò che vuole, ma che noi saremo in grado di fare ciò che Dio vuole»[25]. D'altra parte, l'espressione «come in cielo così in terra» esprime il desiderio che la volontà di Dio si compia in noi che siamo ancora sulla terra così come si è compiuta negli angeli e nei beati in Cielo.

Quarta domanda del Padre Nostro: Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Questa domanda esprime l'abbandono filiale dei figli di Dio, perché «il Padre, che ci dona la vita, non può non darci il nutrimento necessario per la vita, tutti i beni “convenienti”, materiali e spirituali»[26]. Il senso cristiano di questa quarta richiesta «riguarda il Pane di Vita: la Parola di Dio da accogliere nella fede, il Corpo di Cristo ricevuto nell'Eucaristia (Cfr. Gv 6,26-58)»[27]. L’espressione quotidiano, «intesa nel suo significato temporale, è una ripresa pedagogica di “oggi”, (Cfr. Es 16,19-21) per confermarci in una confidenza “senza riserve”. Intesa in senso qualitativo, significa il necessario per la vita e, in senso lato, ogni bene sufficiente per il sostentamento (Cfr 1 Tm 6,8)»[28].

Quinta domanda del Padre Nostro: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

In questa nuova domanda prima di tutto riconosciamo il nostro peccato: «torniamo a lui, come il figlio prodigo (Cfr. Lc 15,11-32), e ci riconosciamo peccatori davanti a lui, come il pubblicano (Cfr. Lc 18,13). La nostra richiesta inizia con una “confessione”, con la quale confessiamo ad un tempo la nostra miseria e la sua misericordia»[29]. Ma questa richiesta non sarà accolta se prima non avremo soddisfatto una condizione: perdonare chi ci offende. Il motivo è il seguente: «questo flusso di misericordia non può giungere al nostro cuore finché noi non abbiamo perdonato a chi ci ha offeso L'Amore, come il Corpo di Cristo, è indivisibile: non possiamo amare Dio che non vediamo, se non amiamo il fratello, la sorella che vediamo (Cfr. 1 Gv 4,20). Nel rifiuto di perdonare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, il nostro cuore si chiude e la sua durezza lo rende impermeabile all'amore misericordioso del Padre»[30].

Sesta domanda del Padre Nostro: Non abbandonarci alla tentazione

Questa domanda si collega alla precedente (“rimetti a noi i nostri debiti”) perché il peccato è una conseguenza del libero consenso alla tentazione. Pertanto «chiediamo al Padre nostro di non “indurci” in essa […] (di) “non permettere di entrare in” (cfr. Mt 26, 41) (di) “non lasciarci soccombere alla tentazione”[...]. Noi gli chiediamo di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato. Siamo impegnati nella lotta “tra la carne e lo Spirito”. Questa richiesta implora lo Spirito di discernimento e di fortezza»[31]. Dio ci dà sempre la sua grazia per superare le tentazioni: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare»[32] ma per vincere la tentazione è sempre necessario pregare: «il combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera. E per mezzo della sua preghiera che Gesù è vittorioso sul Tentatore, fin dall'inizio (Cfr. Mt 4,11) e nell'ultimo combattimento della sua agonia (Cfr. Mt 26,36-44). Ed è al suo combattimento e alla sua agonia che Cristo ci unisce in questa domanda al Padre nostro […]. Questa richiesta acquista tutto il suo significato drammatico in rapporto alla tentazione finale del nostro combattimento quaggiù; implora la perseveranza finale. «Ecco, Io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante” (Ap 16,15)»[33].

Settima domanda del Padre Nostro: E liberaci dal male

L'ultima domanda si trova nella preghiera sacerdotale di Gesù al Padre: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno»[34]. In questa petizione, «il Male non è un'astrazione; indica invece una persona: Satana, il Maligno, l'angelo che si oppone a Dio. Il “diavolo” [dia-bolos, colui che “si getta di traverso”] è colui che “vuole ostacolare” il Disegno di Dio e la sua “opera di salvezza” compiuta in Cristo»[35]. Inoltre, «chiedendo di essere liberati dal Maligno, noi preghiamo nel contempo per essere liberati da tutti i mali, presenti, passati e futuri, di cui egli è l'artefice o l'istigatore»[36], soprattutto dal peccato, l'unico vero male[37], e dalla sua pena, che è la dannazione eterna. Gli altri mali e tribolazioni possono essere trasformati in beni, se li accettiamo unendoci alle sofferenze di Cristo sulla croce.

Manuel Belda


Bibliografia di base

- Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2759-2865.


Letture raccomandate

- Francesco, Catechesi sul Padre Nostro. Queste sono le catechesi tenute dal Santo Padre durante le 16 udienze generali del mercoledì tra dicembre 2018 e maggio 2019.

- Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, traduzione di Chicca Galli e Roberta Zuppet, Rizzoli, Milano, 2007.

- San Josemaría, Omelie Il rapporto con Dio e Verso la santità, in Amici di Dio, nn. 142-153 e 294-316.


[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2779.

[2] San Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 1-VII-1987, n. 3.

[3] Cfr. Gv 20,17.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2778.

[5] Rm 8,29.

[6] Cfr. Catechismo, n. 2790.

[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2792.

[8] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 13.

[9] Ivi, n. 36.

[10] Ivi, n. 64.

[11] San Francesco de Sales, Conversaciones espirituales, n. 16, 7, en Obras Selectas de San Francisco de Sales, vol. I, p. 724, Traduzione nostra.

[12] San Josemaría, Cammino, n. 864.

[13] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2857.

[14] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, II-II, n. 83, 9.

[15] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2807.

[16] San Cipriano, De dominica oratione, n. 12.

[17] Ap 22,20.

[18] Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2817-2818.

[19] Rm 14,17.

[20] Cfr. Gal 5,16-25.

[21] Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2819.

[22] 1 Tm 2,3-4.

[23] Mt 7,21.

[24] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2825.

[25] San Cipriano, De dominica oratione, n. 14.

[26] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2830.

[27] Ivi, n. 2835.

[28]Ivi, n. 2837.

[29] Ivi, n. 2839.

[30] Ivi, n. 2840.

[31] Ivi, n. 2846.

[32] 1 Cor 10,13.

[33] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2849.

[34] 1 Gv 17,15.

[35] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2851.

[36] Ivi, n. 2854.

[37] Cfr. san Josemaría, Cammino, n. 386.