Tema 34. Il nono e il decimo comandamento

Il nono e il decimo comandamento si riferiscono agli atti interiori che corrispondono ai peccati contro il sesto e il settimo comandamento. I peccati interni possono deformare la coscienza. La lotta contro i peccati interni fa parte dello sforzo cristiano di amare con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze. Purezza di cuore significa permeare di santità il nostro sentire.

«Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo»[1].

«Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore»[2].


1. Il nono e decimo comandamento invitano a santificare il mondo interiore

Dalle parole che Gesù pronuncia rispondendo alla domanda su comandamento più importante della Legge si capisce che la vita morale non è semplicemente una serie di atti esteriori ma qualcosa di più profondo: «amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza»[3]. La santità, che è sempre un dono di Dio, non è necessariamente una vita senza peccati gravi ma una vita piena di amore di Dio; un amore che richiede un ordine e un'armonia interiori impossibili da ottenere per l'uomo senza la grazia e che invece si percepiscono nelle persone sante. La corrispondenza a questo dono di Dio è alla nostra portata; tanti nostri fratelli e sorelle nella fede sono stati in grado di far fruttificare questa grazia con i loro sforzi personali: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque»[4].

Quest’ordine e quest’armonia interiore definiscono la cosiddetta "purezza di cuore", elogiata da Gesù nel Discorso della Montagna e che ci permette anche di essere più aperti al prossimo:

«Per questa strada entriamo nella relazione con il prossimo che, a partire dall’amore che Dio mostra in Gesù Cristo, è una chiamata alla bellezza della fedeltà, della generosità e della autenticità.

Ma per vivere così – cioè nella bellezza della fedeltà, della generosità e dell’autenticità – abbiamo bisogno di un cuore nuovo, inabitato dallo Spirito Santo […] dono di desideri nuovi (cfr. Rm 8, 6). Desiderare secondo lo Spirito, desiderare al ritmo dello Spirito, desiderare con la musica dello Spirito (…) Ecco cos’è il Decalogo per noi cristiani: contemplare Cristo per aprirci a ricevere il suo cuore, per ricevere i suoi desideri, per ricevere il suo Santo Spirito»[5].

L'affetto per le persone e per i beni materiali è buono in sé ma richiede un ordine che tenga conto del bene globale della persona e si concretizza nel cristiano in un amore per Dio che coinvolge tutta la persona: la sua intelligenza, il suo cuore e il resto delle sue facoltà. I beni materiali, pur essendo indispensabili come mezzi, non sono in grado di soddisfare l'aspirazione all'infinito del cuore umano, che è creato per Dio e non si accontenta del benessere materiale. Questo benessere, quando non è integrato nella vita secondo lo Spirito Santo, può ottundere l'intelligenza e il cuore e rendere difficile amare veramente gli altri e riconoscere i loro bisogni.


2. Il nono e decimo comandamento parlano dei “peccati interni”

Il nono e il decimo comandamento si riferiscono agli atti interiori che corrispondono ai peccati contro il sesto e il settimo comandamento e che la tradizione morale include nei peccati interni. In positivo essi comandano di vivere la castità (il nono) e il distacco dai beni materiali (il decimo) nei pensieri e nei desideri, secondo le parole del Signore: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» e «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»[6].

La prima domanda a cui bisogna rispondere è se ha senso parlare di peccati interni; in altre parole, perché un esercizio dell'intelligenza e della volontà che non si traduce in un'azione esterna riprovevole viene qualificato negativamente?

La risposta non è ovvia perché negli elenchi di peccati che si trovano nel Nuovo Testamento riguardano soprattutto atti esteriori (adulterio, fornicazione, omicidio, idolatria, stregoneria, litigi, ira, ecc.) Tuttavia in questi stessi elenchi anche alcuni atti interni (invidia, concupiscenza, avidità) sono menzionati come peccati[7].

Gesù stesso spiega che è dal cuore dell'uomo che provengono «i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie»[8]. E nell'ambito specifico della castità insegna «che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore»[9]. In questi testi si dà un’importante acquisizione per la morale perché ci fanno capire come la radice delle azioni umane, e quindi della bontà o cattiveria di una persona, si trova nei desideri del cuore, in ciò che la persona "vuole" e sceglie. Il male dell'omicidio, dell'adulterio, del furto non risiede principalmente nella fisicità dell'azione o nelle sue conseguenze (che pure giocano un ruolo importante), quanto piuttosto nella volontà (nel cuore) dell'omicida, dell'adultero, del ladro, cioè dell’agente che scegliendo quella particolare azione la sta volendo: egli si determina in una direzione contraria all'amore del prossimo e quindi anche all'amore di Dio.

La volontà si dirige sempre a ciò che percepisce come un bene ma a volte si tratta di un bene apparente, qualcosa che in una situazione concreta non si può ordinare al bene della persona nel suo complesso. Il ladro vuole qualcosa che considera un bene ma il fatto che questo oggetto appartenga a un'altra persona rende impossibile che la scelta di tenerselo possa essere ordinata al suo bene come persona o, in altre parole, al fine della sua vita. In questo senso, non è necessario l'atto esterno per determinare la volontà in senso negativo. Chi decide di rubare un oggetto, anche se poi non può farlo a causa di un evento imprevisto, ha agito male. Ha realizzato un atto interiore volontario contro la virtù della giustizia.

La bontà e la cattiveria della persona si danno nella volontà e quindi a rigore dovremmo usare queste categorie per riferirci ai desideri (voluti, accettati) e non ai pensieri. Quando si parla di intelligenza si usano altre categorie, come vero e falso. Quando il nono comandamento proibisce i "pensieri impuri" non si riferisce alle immagini o al pensiero in sé, ma al movimento della volontà che accetta il godimento disordinato che una certa immagine (interna o esterna) provoca in essa[10].

I peccati interni sono stati tradizionalmente suddivisi in:

- cattivi pensieri: sono la rappresentazione immaginaria di un atto peccaminoso senza l'intenzione di compierlo. Può diventare un peccato mortale se si tratta di materia grave ed è ricercata o se si acconsente al piacere che ne deriva;

-Desiderio malvagio: desiderio generico e interiore di un'azione peccaminosa in cui una persona prova piacere. Non coincide con la chiara intenzione di compierla (che implica sempre una volontà effettiva) anche se in non pochi casi la si compirebbe se non ci fossero dei motivi che frenano la persona (come le conseguenze dell'azione, la difficoltà di compierla, ecc;)

-Piacere peccaminoso: è il compiacimento deliberato per un'azione malvagia già compiuta da se stessi o da altri. Rinnova in qualche modo il peccato nell'anima.

I peccati interni sono meno gravi dei corrispondenti peccati esterni, poiché l'atto esterno manifesta generalmente una volontarietà più intensa. Tuttavia di fatto sono molto dannosi, soprattutto per le persone che cercano il rapporto e l'amicizia con Dio, perché:

-sono più facili da commettere, perché basta il consenso della volontà; e le tentazioni sono di solito più frequenti;

-si presta loro meno attenzione perché, a volte per ignoranza e a volte per una certa complicità con le passioni, non vengono riconosciuti come peccati, almeno veniali, se il consenso era imperfetto.

I peccati interni possono deformare la coscienza, ad esempio quando si consente a un peccato veniale interno in modo abituale o con una certa frequenza, anche se si vuole evitare il peccato mortale. Questa deformazione può portare a manifestazioni di irritabilità, mancanza di carità, spirito critico, rassegnazione alle frequenti tentazioni senza combatterle con tenacia, ecc[11]. In alcuni casi, può addirittura portare a non riconoscere i peccati interni, mascherandoli con “ragioni irragionevoli” che finiscono per confondere sempre di più la coscienza. Di conseguenza è facile che cresca l'amor proprio, che sorgano inquietudini, l'umiltà e la contrizione sincera diventino più difficili e che si possa scivolare in uno stato di tiepidezza.

La lotta contro i peccati interni che poco a poco affina la sensibilità morale e migliora l’equilibrio all'interno della persona, non ha nulla a che vedere con gli scrupoli, che sono un'ipertrofia della sensibilità interiore e possono diventare un vero e proprio disturbo psichico.

La lotta contro i peccati interni fa parte dell'impegno del cristiano per amare con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze. In quest'àmbito ci aiutano:

-la frequenza ai sacramenti, che ci danno o accrescono la grazia e ci guariscono dalle nostre miserie quotidiane;

-la preghiera, la mortificazione e il lavoro, sinceramente orientati a Dio;

-l'umiltà (che ci permette di riconoscere le nostre miserie senza disperarci per i nostri errori) e la fiducia in Dio, sapendo che Lui è sempre pronto a perdonarci;

- la sincerità con Dio, con noi stessi e nella direzione spirituale, con un accurato e profondo esame di coscienza.


3. Il nono e decimo comandamento invitano alla purificazione del cuore

Questi due comandamenti illuminano i meccanismi interiori che sono alla base di ogni peccato[12]. In positivo, essi invitano ad agire con intenzione retta, con un cuore puro. Per questo hanno un grande importanza, perché non si fermano a considerare le azioni dall’esterno, ma vanno alla sorgente da cui queste azioni scaturiscono.

Queste dinamiche interiori sono fondamentali nella vita morale cristiana, nella quale i doni dello Spirito Santo e le virtù infuse si modulano sulle disposizioni della persona. Per questo motivo, bisogna focalizzarsi in modo particolare sulle virtù morali in quanto disposizioni della volontà e degli altri appetiti in ordine alla realizzazione del bene. Su questa base è possibile correggere una certa caricatura della vita morale intesa come lotta per evitare il peccato, scoprendo invece l'immenso panorama positivo che si dischiude davanti all’uomo e in particolare davanti al cristiano quando ci si impegna a crescere nelle virtù per purificare il cuore.

Questi due comandamenti si riferiscono specificamente ai peccati interni contro le virtù della castità e della giustizia, che si riflettono bene nel testo della Sacra Scrittura che parla di «tre tipi di smodato desiderio o concupiscenza: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita (1 Gv 2, 16)»[13].

Ogni uomo scopre in sé alcune tendenze disordinate che la tradizione morale riassume con il termine concupiscenza. Il Catechismo lo spiega parlando di «opposizione della «carne» allo «spirito» (...) conseguenza della disobbedienza del primo peccato»[14]. Dopo il peccato originale nessuno è esente dalla concupiscenza, ad eccezione di Nostro Signore Gesù Cristo e della Beata Vergine.

La concupiscenza, pur non essendo di per sé peccato, inclina al peccato e lo genera quando non si sottomette alla ragione illuminata dalla fede con l'aiuto della grazia. Se si dimentica che la concupiscenza esiste, è facile pensare che tutte le tendenze che si sperimentano siano "naturali" e che non ci sia nulla di male ad assecondarle. Molti si rendono conto che si tratta di un errore per esempio quando considerano ciò che accade come conseguenza di un impulso alla violenza, perché si comprende che è qualcosa di negativo che deve essere evitato. Tuttavia, nell'àmbito della castità, non è altrettanto facile riconoscere che gli stimoli "naturali" sono spesso inappropriati. Il nono comandamento ci aiuta a capire che non è così e che la concupiscenza ha oscurato la natura; così che ciò che viene vissuto come naturale è spesso conseguenza del peccato e deve essere dominato. Lo stesso si potrebbe dire del desiderio smodato di ricchezze, o cupidigia, a cui si riferisce il decimo comandamento.

È importante conoscere questo disordine causato in noi dal peccato originale e dai nostri peccati personali. Questa conoscenza:

- ci spinge a pregare: solo Dio ci perdona il peccato originale, che ha dato origine alla concupiscenza; e, allo stesso modo, solo con il suo aiuto riusciremo a superare questa tendenza disordinata; la grazia di Dio guarisce la nostra natura dalle ferite del peccato (oltre a elevarla all'ordine soprannaturale);

-ci insegna ad amare tutto ciò che è stato creato, perché Dio lo ha fatto buono; sono i nostri desideri disordinati che rendono possibile l’uso malvagio dei beni creati.


4. La lotta per la purezza e la libertà del cuore aiutano a rispettare il nono e il decimo comandamento

Purezza di cuore significa avere una sensibilità che ci fa riconoscere e percepire ciò che è santo. Con l'aiuto di Dio e lo sforzo personale si diventa sempre più "puri di cuore”, con "pensieri" limpidi e desideri purificati. Questa purezza del cuore è una metafora della maggiore libertà del cuore di amare.

Per quanto riguarda il nono comandamento, il cristiano raggiunge questa purezza mediante la grazia di Dio, e con la virtù e il dono della castità, con la purezza dell'intenzione, con la purezza dello sguardo e della preghiera[15].

La purezza dello sguardo non si limita al rifiuto di guardare di immagini palesemente inappropriate ma richiede una purificazione dell'uso dei nostri sensi esterni che ci fa vedere il mondo e le altre persone con visione soprannaturale. È una lotta positiva che permette all'uomo di scoprire la vera bellezza di tutto il creato e, in modo particolare, la bellezza di coloro che sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio[16].

«La purezza esige il pudore. Esso è una parte integrante della temperanza. Il pudore preserva l'intimità della persona. Consiste nel rifiuto di svelare ciò che deve rimanere nascosto. E ordinato alla castità, di cui esprime la delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle persone e della loro unione»[17].

Per quanto riguarda i beni materiali, la società attuale incoraggia il consumismo e l'affermazione di sé con una forza tale da mettere in pericolo persino la stabilità della famiglia. Molte persone si rendono conto troppo tardi di aver incentrato la loro vita sulla professione, sul guadagno di denaro e sulla carriera, trascurando altri aspetti più importanti della loro esistenza: il rapporto con Dio e la famiglia.

L'importanza esagerata che si conferisce oggi al benessere materiale rispetto a molti altri valori non è un segno di progresso umano; è piuttosto una riduzione e uno svilimento dell'uomo, la cui dignità risiede nell'essere una creatura spirituale chiamata alla vita eterna come figlio di Dio[18].

«Il decimo comandamento esige che si bandisca dal cuore umano l'invidia»[19]. L’invidia è un peccato capitale. «Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui»[20]. Dall'invidia possono derivare molti altri peccati: odio, maldicenza, detrazione, disobbedienza, ecc. L'invidia è un rifiuto della carità. Per combatterla, dobbiamo vivere la virtù della benevolenza, che ci porta a desiderare il bene degli altri come manifestazione del nostro amore per loro. Anche la virtù dell'umiltà ci aiuta in questa lotta, perché non dobbiamo dimenticare che l'invidia spesso nasce dall'orgoglio[21].

Per poter amare con tutto il cuore e con tutte le forze è necessario un ordine interiore che è frutto della grazia e dalle virtù: non una semplice continenza che al massimo evita i peccati più gravi bensì l'armonia piena di pace propria delle persone sante.

Pablo Requena


Bibliografia di base

Catechismo della Chiesa Cattolica, 2514-2557.


Letture raccomandate

- San Josemaría, Omelia Perché vedranno Dio, in Amici di Dio, 175-189; Omelia Distacco, in Amici di Dio, 110-126.


[1] Dt 5, 21.

[2] Mt 5, 28.

[3] Mc 12, 30.

[4] Mt 25, 20.

[5] Francesco, Udienza, 28-XI-2018.

[6] Mt 5, 3-8.

[7] Cfr. Gal 5, 19-21; Rm 1, 29-31; Col 3, 5. San Paolo, dopo aver invitato ad astenersi dalla fornicazione, scrive: «che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio [...], Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione» (1 Ts 4, 3-7). Egli sottolinea l'importanza degli affetti che sono all'origine delle azioni e mostra la necessità della loro purificazione per la vita cristiana.

[8] Mt 15, 19.

[9] Ivi 5, 28.

[10] Si comprende così la differenza tra "sentire" e "acconsentire" quando ci si riferisce a una passione o a un movimento della sensibilità. Si può parlare di peccato solo quando si acconsente con la volontà (se c’è materia di peccato).

[11]«Sguazzi nelle tentazioni, ti esponi al pericolo, giochi con la vista e con l’immaginazione, parli di... scempiaggini. - E poi ti meravigli che ti assalgano dubbi, scrupoli, confusioni, tristezza e sconforto.
- Devi concedermi che sei poco coerente» (San Josemaría, Solco, 132).

[12]«Il decimo comandamento riguarda l'intenzione del cuore; insieme con il nono riassume tutti i precetti della Legge» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2534).

[13] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2514.

[14] Ivi, n. 2515.

[15] «Con la grazia di Dio ottiene questo: attraverso la virtù e il dono della castità, perché la castità permette di amare con cuore retto e indiviso; attraverso la purezza dell'intenzione, che consiste nel cercare il vero fine dell'uomo: con uno sguardo puro il battezzato si sforza di trovare e compiere la volontà di Dio in ogni cosa (cfr. Rm 12, 2; Col 1, 10); con la purezza dello sguardo esteriore e interiore; con la disciplina dei sensi e dell'immaginazione; con il rifiuto di ogni indulgenza nei pensieri impuri che spingono a deviare dalla via dei comandamenti divini: "la vista suscita la passione degli stolti" (Sap 15, 5); con la preghiera» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2520).

[16] «Gli occhi! Attraverso di essi entrano nell'anima molte iniquità. -Quante esperienze “alla David”!... Se custodite la vista avrete assicurato la custodia del cuore (San Josemaría, Cammino, 183). «Mio Dio!, trovo grazia e bellezza in tutto ciò che vedo: custodirò la vista in ogni momento, per Amore» (San Josemaría, Forgia, 415).

[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2521.

[18] Cfr. Lc 12, 19-20.

[19] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2538.

[20] Ivi, n. 2539.

[21] Cfr. Ivi, n. 2540.