Tema 13. Passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo

Gesù accettò liberamente le sofferenze fisiche e morali inflitte dall’ingiustizia dei peccatori. La croce di Cristo è, soprattutto, la manifestazione dell’amore generoso della Trinità verso gli uomini, di un amore che ci salva. Il mistero della Croce, presente nei sacramenti, conduce a una vita nuova. Con la risurrezione di Gesù, Dio ha inaugurato la vita nuova, la vita del mondo futuro, e l’ha messa a disposizione degli uomini.

Tutti i misteri di Gesù sono causa della nostra salvezza. Con la sua vita santa e filiale sulla terra, Gesù riconduce all’amore del Padre la realtà umana che era stata deformata dal peccato originale e dai successivi peccati personali di tutti gli uomini. La riabilita e la riscatta dal potere del diavolo.

Tuttavia, soltanto con il suo mistero Pasquale (con la sua passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo accanto al Padre) si inaugura in modo definitivo la realtà della redenzione. Per questa ragione, si ribadisce con frequenza che il mistero della nostra salvezza proviene dalla passione, morte e risurrezione di Cristo, dal suo mistero pasquale. Non dimentichiamo però che, parlando con rigore, è la vita intera di Cristo, nella sua fase terrena e nella sua fase gloriosa che ci salva.


1. Passione e morte di Gesù Cristo

Il significato della Croce. Dal punto di vista storico, nostro Signore morì perché fu condannato a morte dalle autorità del popolo ebreo, che lo consegnarono al potere romano chiedendo che fosse giustiziato. La causa della sua condanna a morte è stata la dichiarazione da lui resa davanti alla suprema assemblea dei giudici (il Sinedrio) che egli era il Messia figlio di Dio, colui al quale Dio aveva dato il potere di giudicare tutti gli uomini. Questa dichiarazione fu giudicata blasfema e così il Sinedrio finì col decretare la sua morte.

È da notare che questa condanna di Gesù si colloca in continuità con la precedente storia della salvezza del popolo ebreo. Molte volte Dio aveva parlato al popolo di Israele per mezzo dei profeti[1]. Tuttavia, non sempre Israele aveva accolto con favore la parola di Dio. La storia di Israele è una storia di grandi gesta eroiche, ma anche di grandi ribellioni. Il popolo aveva abbandonato Dio più volte, dimenticando le leggi sante che aveva ricevuto da Lui. Per questo motivo i profeti erano stati costretti spesso a subire delle ingiustizie per compiere la missione che Dio aveva loro affidato.

La storia di Gesù conclude la storia di Israele, la storia di una vocazione universale. Arrivata la pienezza dei tempi, Dio inviò suo Figlio affinché, a compimento le sue promesse a Israele, definisse l’instaurazione del suo Regno nel mondo. Ma solo alcuni accettarono Cristo e lo seguirono; i capi del popolo, invece, lo rifiutarono e lo condannarono a morte. Mai gli uomini avevano rigettato Dio in modo così diretto, fino al punto di maltrattarlo in tutti i modi possibili. Comunque - e qui sta l’aspetto più misterioso della Croce - Dio non volle proteggere suo Figlio dalla cattiveria umana, ma lo diede nelle mani dei peccatori: «Dio ha permesso gli atti derivati dal loro accecamento al fine di compiere il suo disegno di salvezza»[2]. E Gesù, seguendo la volontà del Padre, «ha liberamente accettato la sua passione e la sua morte per amore del padre suo e degli uomini»[3]. Donò se stesso a questa passione e morte ingiuste. Confessò coraggiosamente la sua identità e la sua relazione con il Padre, benché sapesse che non sarebbe stata accettata dai suoi nemici. Fu condannato a una morte umiliante e violenta e in tal modo sperimentò nella sua carne e nella sua anima l’ingiustizia di quelli che l’avevano condannato. Non solo, ma in questa ingiustizia che subì e che accettò per noi, erano comprese anche tutte le ingiustizie e tutti i peccati dell’umanità, dato che ogni peccato non è altro che il rifiuto del progetto di Dio in Gesù Cristo, che raggiunge la sua più completa espressione nella condanna di Gesù a una morte così crudele. Come afferma il Compendio del Catechismo, «Ogni singolo peccatore, cioè ogni uomo, è realmente causa e strumento delle sofferenze del Redentore»[4].

Pertanto Gesù accettò le sofferenze fisiche e morali imposte dalla giustizia dei peccatori, e in esse di tutti i peccati degli uomini, di ogni offesa a Dio. Si può dire, metaforicamente, che “si caricò” i nostri peccati sulle sue spalle. Ma perché lo fece? La risposta che ha dato la Chiesa, servendosi di linguaggi diversi, ma con una ragione di fondo comune, è questa: lo fece per annullare o cancellare i nostri peccati per la giustizia del suo cuore.

Come ha cancellato, Gesù, i nostri peccati? Li ha eliminati accettando queste sofferenze, che erano frutto dei peccati degli uomini, in unione obbediente e amorevole con Dio suo Padre, con un cuore pieno di giustizia e con la carità di chi ama il peccatore, anche se questi non lo merita, di chi cerca di perdonare le offese per amore[5]. Forse un esempio aiuterà a capire meglio. Certe volte nella vita si presentano situazioni nelle quali una persona riceve offese da un’altra persona che ama. Nell’ambito familiare può succedere, per esempio, che una persona anziana e invalida sia di cattivo umore e faccia soffrire coloro che l’accudiscono. Quando c’è un amore sincero queste sofferenze si accettano con carità e si continua a cercare il bene della persona che offende. Le offese svaniscono quando trovano posto in un cuore giusto e pieno di amore. Gesù ha fatto qualcosa di simile, anche se in verità Egli è andato molto più in là, perché forse l’anziano dell’esempio merita l’affetto di quelli che lo accudiscono per le cose buone che ha fatto quando era più giovane. Però Gesù ci ha amato senza che noi lo meritassimo e non si è sacrificato per qualcuno che amava per qualche motivo particolare, ma per ogni persona, per tutte e per ciascuna: «Mi ha amato e si è dato per me», dice san Paolo, che aveva perseguitato con accanimento i cristiani. Gesù ha voluto offrire al Padre queste sofferenze, insieme con la propria morte, a nostro favore, affinché, sulla base del suo amore, noi potessimo ottenere sempre il perdono delle nostre offese a Dio: «per le sue piaghe noi siamo stati guariti»[6]. E Dio Padre, che sostenne con la forza dello Spirito Santo il sacrificio di Gesù, provò piacere per l’amore che colmava il cuore di suo Figlio: «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia»[7].

Così, nella vicenda storica della croce l’aspetto fondamentale non fu l’atto ingiusto di quelli che lo accusarono e lo condannarono, ma la risposta di Gesù, che in quella circostanza fu piena di rettitudine e di misericordia in quella situazione. Che fu allo stesso tempo un atto della Trinità: «Esso è innanzitutto un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza»[8].

La croce di Cristo è, soprattutto, la manifestazione dell’amore generoso della Trinità verso gli uomini, dell’amore che ci salva. In questo consiste essenzialmente il suo mistero.

Il frutto della Croce. È, soprattutto, l’eliminazione del peccato. Questo, però, non significa che non possiamo peccare o che ogni peccato ci venga perdonato automaticamente, senza che facciamo nulla da parte nostra. Forse è meglio spiegare questo punto con una metafora. Se durante una gita o mentre facciamo una passeggiata in campagna ci morde un serpente velenoso, ci daremo subito da fare per trovare un antidoto al veleno. Il veleno, come il peccato, ha un effetto distruttivo per il soggetto. La funzione dell’antidoto è quella di preservarci da questa distruzione che si sta avviando nel nostro organismo e questo lo può fare perché contiene in sé qualcosa che neutralizza il veleno. Orbene, la croce è “l’antidoto” del peccato. C’è in essa un amore che è presente proprio come reazione alle ingiustizie, alle offese, e questo amore sacrificato che sgorga nel cuore di Cristo, nella desolazione della Croce, è l’elemento capace di superare il peccato, di vincerlo e di eliminarlo.

Siamo peccatori, ma possiamo liberarci dal peccato e dai suoi effetti deleteri partecipando al mistero della Croce, desiderando prendere questo “antidoto” che Cristo ha creato in se stesso proprio dopo aver fatto esperienza del danno che produce il peccato e che ci viene somministrato attraverso i sacramenti. Il battesimo ci inserisce in Cristo e, nel farlo, cancella i nostri peccati; la confessione sacramentale ripulisce e ottiene il perdono di Dio; l’Eucaristia ci purifica e ci fortifica... Così, il mistero della Croce, presente nei sacramenti, ci conduce un po’ per volta verso quella vita nuova, senza fine, nella quale ogni male e ogni peccato non esisteranno, perché sono stati cancellati dalla croce di Cristo.

Vi sono anche altri frutti della Croce. Davanti a un crocifisso ci rendiamo conto che la croce non è solo un antidoto del peccato, ma rivela anche la potenza dell’amore. Gesù sulla croce ci insegna sin dove si può arrivare per amore a Dio e agli uomini, e così ci indica il cammino verso la pienezza umana, perché lo scopo dell’uomo consiste nell’amare veramente Dio e gli altri. È chiaro che arrivare a questa pienezza umana è possibile solo perché Gesù ci rende partecipi della sua risurrezione e ci dà lo Spirito Santo. Ma di questo parleremo più avanti.


2. Espressioni bibliche e liturgiche

    Abbiamo appena chiarito il significato teologico della passione e morte di Gesù. Questa riflessione, naturalmente, l’hanno fatta anche i primi cristiani, i quali hanno usato le categorie e i concetti di cui disponevano nella cultura religiosa del loro tempo e che sono quelli che troviamo nel Nuovo Testamento. Lì la passione e la morte di Cristo sono concepite come: A) sacrificio di alleanza; B) sacrificio di espiazione, di propiziazione e di riparazione per i peccati; C) atto di redenzione e di liberazione degli uomini; D) atto che ci giustifica e ci riconcilia con Dio.

    Vediamo questi diversi modi di presentare il significato della Passione e morte di Cristo, che incontriamo spesso nel leggere la Scrittura o nel partecipare alla Liturgia:

    A) Gesù, offrendo la sua vita a Dio sulla Croce, istituì la Nuova Alleanza, vale a dire, la nuova e definitiva modalità di unione di Dio con gli uomini che era stata profetizzata da Isaia[9], Geremia[10] ed Ezechiele[11]. È la Nuova Alleanza di Cristo con la Chiesa della quale facciamo parte mediante il Battesimo.

    B) Il sacrificio di Cristo sulla Croce ha un valore di espiazione, vale a dire, di pulizia e purificazione del peccato[12]. Ha anche un valore di propiziazione e di riparazione dal peccato[13], perché Gesù con la sua obbedienza aveva dimostrato al Padre l’amore e l’assoggettamento che noi uomini gli avevamo negato con le nostre offese. E in tal modo “si guadagnò” il cuore del Padre e riparò tali offese.

    C) La Croce di Cristo è atto di redenzione e di liberazione dell’uomo. Gesù pagò la nostra libertà al prezzo del suo sangue, vale a dire, delle sue sofferenze e della sua morte, e così ci riscattò dal peccato[14] e ci liberò dal potere del diavolo. Chiunque commette peccato diventa, in qualche modo, servo del diavolo.

    D) Soprattutto nelle lettere di san Paolo si legge che il sangue di Cristo ci giustifica, ossia ci restituisce la giustizia da noi perduta nell’offendere Dio e così ci riconcilia con Lui. La Croce, insieme con la Risurrezione di Cristo, è causa della nostra giustificazione. Dio ritorna ad essere presente nella nostra anima, perché lo Spirito Santo viene a dimorare nuovamente nei nostri cuori.


    3. La risurrezione di Gesù Cristo

      «Discese agli inferi». Dopo aver sofferto ed essere morto, il corpo di Cristo fu sepolto in un sepolcro nuovo, non lontano dal luogo dove lo avevano crocifisso. La sua anima, invece, «discese agli inferi», cioè, condivise lo stato nel quale si trovavano le persone giuste che erano morte prima di Lui. Esse non erano ancora entrate nella gloria del cielo, perché erano in attesa dell’arrivo del Messia Re, che avrebbe ottenuto la salvezza definitiva.

      La sepoltura di Gesù dimostra che morì veramente. La sua discesa agli inferi ebbe anche un effetto salvifico: aprì a quei giusti che aspettavano Cristo le porte del cielo, in modo che potessero godere della felicità eterna in Dio.

      «Risuscitò da morte». «Il terzo giorno» (dopo la sua morte) Gesù risuscitò a una vita nuova. La sua anima e il suo corpo, pienamente trasfigurati con la gloria della sua Persona divina, si unirono nuovamente. L’anima assunse di nuovo il corpo e la gloria dell’anima si comunicò totalmente al corpo. Per questo motivo «la Risurrezione di Cristo non è stata un ritorno alla vita terrena. Il suo corpo risuscitato è quello che è stato crocifisso e porta i segni della sua Passione, ma è ormai partecipe della vita divina con le proprietà di un corpo glorioso»[15].

      L’evento della Risurrezione di Cristo. Gesù risuscitò veramente. Gli Apostoli non poterono ingannarsi o inventare la risurrezione. In primo luogo, se il sepolcro di Cristo non fosse stato vuoto non avrebbero potuto parlare della risurrezione di Gesù; inoltre, se il Signore non fosse apparso diverse volte e a numerosi gruppi di persone, uomini e donne, molti discepoli di Cristo non avrebbero potuto accettare la sua risurrezione, come accadde inizialmente con l’apostolo Tommaso. Ancor meno avrebbero potuto dare la vita per una menzogna. Come dice san Paolo, se Cristo non fosse risuscitato, allora lui, Paolo, starebbe dando una testimonianza falsa su Dio: «che Dio ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato»[16]. San Paolo non aveva alcuna intenzione di fare qualcosa del genere. Era pienamente convinto della risurrezione di Gesù perché lo aveva visto risuscitato. In modo analogo, san Pietro risponde coraggiosamente ai capi di Israele: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. [...] E di questi fatti siamo testimoni noi»[17].

      Il significato teologico della Risurrezione. La risurrezione di Cristo fa un tutt’uno con la sua morte sulla Croce. Come con la passione e morte di Gesù Dio eliminò il peccato e riconciliò a sé il mondo, in modo simile, con la risurrezione di Gesù Dio inaugurò la vita nuova, la vita del mondo futuro, e la mise a disposizione degli uomini.

      Tutte le sofferenze fisiche e spirituali che Gesù ha subito sulla Croce, con la sua risurrezione si trasformarono in felicità e perfezione sia nel suo corpo che nella sua anima. Tutto in Lui è pieno della vita di Dio, del suo amore, della sua felicità, e questo durerà per sempre.

      Comunque non si tratta di qualcosa che vale soltanto per lui: vale pure per noi. Con il dono dello Spirito Santo, il Signore ci rende partecipi di questa vita nuova della sua risurrezione. Già qui sulla terra ci colma della sua grazia, la grazia di Cristo che ci rende figli e amici di Dio, e se siamo fedeli alla fine della nostra vita ci comunicherà anche la sua gloria; e così anche noi raggiungeremo la gloria della risurrezione.

      In tal senso, noi battezzati «siamo passati dalla morte alla vita», dalla lontananza da Dio alla grazia della giustificazione e della filiazione divina. Siamo figli di Dio molto amati in forza del mistero Pasquale di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione. Nel trascorrere questa vita di figli di Dio noi troviamo la pienezza della nostra umanità.

      L’ascensione di Cristo nei cieli. Con l’Ascensione ai cieli si conclude la missione di Cristo, il suo invio tra noi in carne mortale per operare la salvezza. Era necessario che, dopo la sua Risurrezione, Cristo prolungasse la sua presenza fra i discepoli per metterli a parte della sua vita nuova e per completare la loro formazione. Questa presenza termina il giorno dell’Ascensione. Tuttavia, benché Gesù ritorni in cielo con il Padre, rimane anche tra noi in vari modi, e soprattutto in modo sacramentale, nella Sacra Eucaristia.

      Seduto alla destra del Padre, Gesù continua il suo ministero di Mediatore universale della salvezza. «Il Signore regna con la sua umanità nella gloria eterna di Figlio di Dio e intercede incessantemente in nostro favore presso il Padre. Ci manda il suo Spirito e ci dà la speranza di raggiungerlo un giorno, avendoci preparato un posto»[18].

      Inoltre teniamo presente che la glorificazione di Cristo:

      A) Ci incoraggia a vivere con lo sguardo rivolto alla gloria del Cielo: «Cercate le cose di lassù»[19]; ci ricorda che qui non abbiamo una città stabile[20] e stimola in noi il desiderio di santificare le realtà umane.

      B) Ci spinge a vivere di fede, dato che sappiamo di essere in compagnia di Gesù Cristo, che ci conosce e ci ama dal cielo e che ci dà incessantemente la grazia del suo Spirito. Con la forza di Dio possiamo compiere l’evangelizzazione che ci è stata affidata: farlo conoscere a tutte le anime[21] e metterlo in cima a tutte le attività umane[22], in modo tale che il suo Regno sia una realtà[23]. Inoltre, Egli è sempre con noi dal Tabernacolo.


      4. L’attualità del mistero pasquale nella vita del cristiano

        Come abbiamo detto, la risurrezione di Gesù non è un semplice ritorno alla vita precedente, come fu per Lazzaro, ma è qualcosa di completamente nuovo e diverso. La risurrezione di Cristo è il passaggio a una vita che non è più sottoposta alla caducità del tempo, una vita immersa nell’eternità di Dio. Non si tratta di qualcosa che Gesù ha ottenuto solo per sé, ma anche per noi, per i quali è morto e risuscitato.

        Il mistero pasquale riverbera nella nostra vita quotidiana. Nella lettera ai Colossesi san Paolo scrive: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra»[24]. A proposito di queste parole di san Paolo, è interessante il commento che segue di Benedetto XVI: «A prima vista, leggendo questo testo, potrebbe sembrare che l'Apostolo intenda favorire il disprezzo delle realtà terrene, invitando cioè a dimenticarsi di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste. Il pensiero del “cielo” sarebbe in tale caso una specie di alienazione. Ma, per cogliere il senso vero di queste affermazioni paoline, basta non separarle dal contesto. L'Apostolo precisa molto bene ciò che intende per «le cose di lassù», che il cristiano deve ricercare, e «le cose della terra», dalle quali deve guardarsi. Ecco anzitutto quali sono «le cose della terra» che bisogna evitare: «Fate morire - scrive san Paolo - ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (3, 5-6). Far morire in noi il desiderio insaziabile di beni materiali, l’egoismo, radice di ogni peccato»[25].

        Si tratta, dunque, di far morire «l’uomo vecchio» per rivestirsi di Cristo e dei beni che Egli ha ottenuto per noi. Lo stesso san Paolo spiega quali sono questi beni: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro [...]. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto»[26]. Si vede che la ricerca dei beni del cielo non è un'evasione dal presente, che sarebbe solo un ostacolo per raggiungere la vita eterna; si tratta piuttosto di camminare con amore nella vita presente verso la vita eterna.

        Questo è possibile soltanto se si rinnova spesso la vocazione battesimale che abbiamo ricevuto da Cristo e che ci rende partecipi della sua vita e della sua grazia. Dobbiamo vivere di fede, avere fiducia in Dio e nella sua provvidenza, sperando da Lui che le nostre opere diano frutti buoni, vivendo la carità con tutti. Dobbiamo pregare e frequentare quelle sorgenti di grazia che sono i sacramenti. In tal modo quella che prima forse era stata una vita soggetta al peccato, prigioniera probabilmente di mille piccoli egoismi, diventa una vita santa, gradita a Dio. Ci andiamo trasformando mediante la grazia che ci fa santi e, nello stesso tempo, apportiamo anche il nostro granello di sabbia alla trasformazione del mondo secondo Dio, che avrà il suo compimento alla fine dei tempi. Però già qui, col nostro esempio e la nostra attività di cristiani diamo alla città terrena un volto nuovo che favorisca la vera umanità: la solidarietà, la dignità delle persone, la pace e l’armonia familiare, la giustizia e la promozione sociale, la cura dell’ambiente nel quale viviamo.

        «Noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l’uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato [...]. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verità e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana»[27].

        Antonio Ducay


        Bibliografia di base

        - Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 595-667.

        - Giovanni Paolo II, Catechesi sul Credo. 2. Credo in Gesù Cristo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992.


        Letture consigliate

        - Antonio Ducay, Jesús, el Hijo Salvador, Rialp, Madrid 2015 (in particolare, i capitoli V-VI).

        - Vicente Ferrer Barrientos, Jesucristo nuestro Salvador, Rialp, Madrid 2015.


        [1] Cfr. Eb 1, 1.

        [2] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 600.

        [3] Ivi, n. 609.

        [4] Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 117.

        [5] Cfr. Lc 22, 42; 23, 34.

        [6] Is 53, 5.

        [7] Rm 5, 20.

        [8] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 614.

        [9] Is 42, 6.

        [10] Ger 31, 31-33.

        [11] Ez 37, 26.

        [12] Rm 3, 25¸ Eb 1, 3; 1 Gv 2, 2; 4, 10.

        [13] Rm 3, 25¸ Eb 1, 3; 1 Gv 2, 2; 4, 10.

        [14] 1 Pt 1, 18.

        [15] Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 129.

        [16] 1 Cor 15, 14-15.

        [17] At 5, 29-30; 32.

        [18] Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 132.

        [19] Col 3, 1.

        [20] Eb 13, 14.

        [21] Cfr. Mt 28, 19.

        [22] Cfr. Gv 12, 32.

        [23] Cfr. 1 Cor 15, 25.

        [24] Col 3, 1-2.

        [25] Benedetto XVI, Udienza generale, 27-IV-2011.

        [26] Col 3, 12-14.

        [27] Benedetto XVI, Udienza generale, 27-IV-2011.