Su MISNA - 3 ottobre 2002

Intervista a mons. Javier Echevarría pubblicata per MISNA (Missionary Service News Agency), un'agenzia giornalistica specializzata nel diffondere notizie e servizi di approfondimento e reportage sul Sud del mondo e che ha come fonte privilegiata le migliaia di missionari(e) disseminati in questi paesi. Il Prelato dell'Opus Dei commenta che “la presenza del sud del mondo sarà numerosa e significativa” nella canonizzazione di Josemaría Escrivá.

Domenica 6 ottobre il Papa proclamerà santo monsignor Josemaría Escrivá, che fondò l’Opus Dei il 2 ottobre 1928 a Madrid e morì settantatreenne il 25 giugno 1975 a Roma, dove abitò per 30 anni. Abbiamo intervistato il suo successore alla guida dell’Opera, monsignor Javier Echevarría Rodríguez, vescovo titolare di Cilibia e Prelato dell’Opus Dei. A lui, madrileno di 70 anni e già assiduo collaboratore di Escrivá accanto al primo vescovo prelato, monsignor Álvaro Del Portillo, abbiamo chiesto un bilancio dell’attività dell’Opera, presente in oltre 60 nazioni d’ogni continente, specie nel sud del mondo e nel dialogo interreligioso ed interetnico. L’Opus Dei, come è noto, è composta in grande maggioranza di laici, uomini e donne, d’ogni ceto sociale. Un enorme problema, specie tra popoli che più soffrono fame e sottosviluppo, è dato dall’intolleranza e dalla negazione dei diritti umani, unite ai rigurgiti di estremismi religiosi. Quale contributo è stato dato – abbiamo chiesto a mons. Echevarría - per superare ciò, laddove la convivenza è più difficile?

"Ho potuto vivere accanto al beato Josemaría Escrivá un episodio molto significativo, che conferma ciò che lei dice. In Kenya, negli anni Cinquanta, poco prima dell’indipendenza del Paese, alcune donne dell’Opus Dei decisero di avviare una scuola per segretarie di azienda. Il fondatore, va ricordato, limitava il suo intervento a ciò che era strettamente necessario e in questo caso pose una sola condizione: il centro educativo doveva essere interrazziale, interconfessionale ed intertribale. Era una decisione senza precedenti. Si dovettero infrangere pregiudizi e barriere di ogni genere. Quelle donne, però, non cedettero e l’impossibile divenne realtà. Poco tempo dopo, i fatti dimostrarono che la convivenza tra persone di diverso credo e di etnie differenti non soltanto è possibile, ma è necessaria per superare l’intolleranza. Giacché ho citato questo episodio, vorrei osservare che un elemento fondamentale nel processo di superamento di antagonismi ancestrali è proprio la formazione della donna: è la donna che sostiene la famiglia e qualifica la società, anche perché in famiglia si imparano la solidarietà, la comprensione e la convivenza".

Quali solidarietà vengono stimolate dall’Opus Dei– nata nell’occidente europeo - tra il nord e il sud del nostro pianeta, specie con i Paesi d’Africa, che risultano i più travagliati dall’Aids, da guerre interminabili e da tante miserie? "

“L’attività più importante della Prelatura è quella che svolge personalmente ognuno dei suoi fedeli, liberamente e responsabilmente, nel proprio ambiente, a seconda delle proprie possibilità. I fedeli africani dell’Opus Dei, che grazie a Dio sono già diverse migliaia, innanzitutto si sforzano, come gli asiatici, gli americani, gli europei e quelli dell’Oceania, di vivere la fede con coerenza. L’impegno personale, d’altra parte, li stimola a promuovere, gomito a gomito con colleghi ed amici, dei progetti destinati a risolvere le necessità materiali e spirituali delle popolazioni a cui appartengono. Soffrono per i problemi legati all’Aids, alla povertà, alle rivalità tribali e cercano di fare tutto il possibile per eliminarli. Come cristiani, infatti, si sentono chiamati a santificarsi in mezzo al mondo: quel mondo specifico che è l’Africa, con le sue luci e le sue ombre".

Ma, come iniziative proprie, che cosa promuove l’Opus Dei in Africa?

"Oltre all’impegno di ciascuno, la Prelatura dell’Opus Dei promuove in Africa numerose iniziative, principalmente in ambito educativo e sanitario: ospedali, università, scuole, centri di formazione professionale per la donna".

E da quanto tempo opera in questo continente?

"Dal 1957 un buon numero di fedeli dell’Opus Dei, originari di vari Paesi – racconta il Prelato - hanno deciso di trasferirsi in Africa: per svolgervi la propria attività professionale e servire gli abitanti come medici, veterinari, infermiere, maestri di scuola, agronomi. Tutti, uomini e donne, hanno diffuso lo spirito che anima l’Opus Dei, la santificazione del lavoro professionale. Oggi sono molti gli africani che servono in questo modo i loro concittadini. Poiché, a mio modo di vedere, sono il lavoro professionale e l’attività apostolica degli africani stessi, non di quelli che vengono da fuori, la misura autentica delle speranze di un continente che ha davanti prospettive tanto ampie e promettenti, se si lavora con forte impegno. Vorrei aggiungere che l’Africa può apportare molto all’Europa con la sua apertura alla trascendenza, con l’allegria che gli africani manifestano nella vita quotidiana, anche nelle difficoltà, con la loro comunicativa e la stima per i valori buoni della famiglia e dell’amicizia, con la signorilità che sanno dimostrare come riflesso della dignità umana, con il loro modo di vivere il tempo"

Quali i principali criteri che guidano oggi le vostre iniziative? E’ possibile un primo bilancio, ad un quarto di secolo dalla scomparsa del fondatore dalla scena terrena? Quali le realtà più caratterizzanti?

"Come soleva dire monsignor Josemaría Escrivá, tutto il mondo è terra di missione. Pertanto, ovunque la Chiesa è chiamata ad una intensa attività apostolica. In Africa, tra le iniziative avviate in questi 45 anni di presenza nel continente dai fedeli dell’Opus Dei, assieme a molte altre persone anche non cristiane, menzionerei il Centro medico Monkole, a Kinshasa in Congo: è un ospedale che svolge una vasta attività sanitaria a favore di persone che mancano persino dell’essenziale, e che ha già diverse altre sedi nel Congo. Vorrei anche citare la Lagos Business School, in Nigeria, che si dedica alla formazione di imprenditori africani, offrendo loro una buona preparazione nella gestione d’impresa e, al tempo stesso, sviluppando la loro sollecitudine per le necessità della intera comunità sociale. Infatti, per promuovere lo sviluppo e combattere la povertà e la corruzione, c’è bisogno di una buona formazione morale, anche nella dottrina sociale della Chiesa, assieme ad una solida formazione imprenditoriale".

E tra le iniziative più recenti?

"Ora, alla vigilia della canonizzazione di monsignor Escrivá, non posso dimenticare il progetto ‘Harambee 2002’, un fondo destinato a sostenere programmi educativi in Africa, creato con i donativi dei fedeli che partecipano alla proclamazione della santità del nostro fondatore, e di tutte le persone e gli enti che vorranno collaborare. ‘Harambee 2002’ è una sintesi delle idee fondamentali che prima ricordavo: quel che importa sono le persone e, in questo caso, gli africani, che devono essere gli artefici del progresso in Africa. Per questo motivo, l’educazione diventa un elemento imprescindibile dello sviluppo, giacché apre le porte al lavoro e al progresso, sia materiale che spirituale. L’educazione è un modo, se così posso esprimermi, di seminare speranza. Il progetto ‘Harambee 2002’ vuole apportare un granello di sabbia a questo impegno collettivo. E in questo contesto - nota monsignor Echevarría – mi pare giusto che ricordiamo tutti con gratitudine le migliaia di missionari e missionarie che da secoli si sono dedicati generosamente ad attività educative, spendendo tutta la loro vita al servizio degli altri. Quanto amano l’Africa e come li amano gli africani!".

Quale presenza, infine, si potrà prevedere, dal sud del mondo, alla solenne cerimonia di piazza san Pietro?

"Mi rallegra poter dire che la presenza del sud del mondo sarà numerosa e significativa. Verranno a Roma persone da 84 Paesi. Molti anche dall’Africa, dopo grandi sforzi e sacrifici. So di persone che stanno facendo risparmi da molto tempo per potersi pagare il viaggio. E il 6 ottobre, in piazza san Pietro, ci saranno anche diversi cori africani. In realtà, però, la maggior parte delle persone del sud del mondo che vorrebbero venire non potranno farlo. Perciò il Comitato organizzatore della Canonizzazione sta lavorando con particolare impegno per quelli che non saranno a Roma. Grazie all’inestimabile aiuto del Vaticano, delle istituzioni italiane e di tutti i mezzi di comunicazione, in molti Paesi del mondo milioni di persone potranno seguire la cerimonia per televisione, per radio o Internet. Approfitto di questa occasione per ringraziare, di tutto cuore, per l’aiuto generoso di tante persone, anche da parte di chi sarà lontano e non potrà esprimere la sua gratitudine. E’ impossibile citare tutti perché l’elenco sarebbe troppo lungo. Posso però assicurare che prego per ciascuno di loro".

MISNA // Federico Mandillo