Premio Harambee 2020: insegnare alle mamme per salvare i bambini

Per la festa della donna pubblichiamo questa notizia dell'Osservatore Romano sul premio Harambee 2020. La vincitrice di quest'anno, Irene Kyamummi, è un medico ugandese impegnata, tra le altre cose, in un progetto di prevenzione per mamme e bambini. L'articolo è disponibile anche nell'edizione cartacea del giornale, in edicola l'8 marzo 2020.

In mezzo ai campi da tè, sulle colline del monte Kenya, c’è un dispensario rurale dove medici e infermieri lavorano in solidarietà per assistere i bambini più vulnerabili della zona. Il nome di quel dispensario è Kimlea Clinic ed è lì che la dottoressa Irene Kyamummi, ugandese, dopo aver lavorato al Mulago Hospital, il più grande ospedale pubblico dell'Uganda con 1.500 posti letto, ha deciso di impegnarsi nella lotta alla tubercolosi, aiutando attraverso vari progetti, non solo in Kenya, più di 5.000 bambini negli ultimi anni.

Per questo, lo scorso giovedì, a Madrid Irene Kyamummi è stata insignita del Premio Harambee 2020 per la promozione e l’uguaglianza della donna africana: grazie al Child Health Project (Chep) a sostegno dei bambini più vulnerabili di Kampala (Uganda), migliaia di piccoli stanno ricevendo cure e assistenza in adeguate case pediatriche.

Irene destinerà i proventi del premio nel contrasto alla mortalità infantile e nei programmi tesi all’educazione sanitaria

Irene destinerà i proventi del premio, sponsorizzato dai Laboratorios René Furterer, nel contrasto alla mortalità infantile e nei programmi tesi all’educazione sanitaria rivolte a scuole e famiglie. Dopo gli studi all’Università di Makerere, la giovane dottoressa (classe 1983), ha fin da subito iniziato ad occuparsi della cura dei più piccoli: una cura a 360°, comprendente, oltre all’assistenza medica, corsi di formazione di competenze professionali per infermieri e operatori sanitari, e, soprattutto, corsi di formazione per le ragazze e le madri delle più povere comunità locali.

«I bambini vanno ancora a scuola, ma molte ragazze abbandonano la scuola elementare, il che determina la mancanza di autostima e la possibilità di un qualsiasi riconoscimento sociale. Tutti i minorenni subiscono le disperate condizioni di vita delle baraccopoli, ma per le ragazze è ancora più dura» ha sottolineato Kyamummi.

Sullo stesso fronte Irene conduce tenacemente la sua battaglia anche in Kenya: con il progetto TB-Child, pensato per i piccoli affetti da tubercolosi, è stata garantita assistenza ad oltre 5.000 bambini della zona di Limuru. L’obiettivo, attualmente, è proprio di replicare il traguardo anche nelle regioni dell’Uganda. Il progetto Chep prevede anche la continua assistenza sanitaria di base e l’educazione su norme igieniche elementari, in particolare, rivolte alle mamme.

con il progetto TB-Child, pensato per i piccoli affetti da tubercolosi, è stata garantita assistenza ad oltre 5.000 bambini della zona di Limuru

Un progetto che si muove oggi in un contesto, quello ugandese, in cui nel 2019 la mortalità, nel primo anno di vita, è stata di 55 bambini ogni 1.000 nascite, con picchi allarmanti nelle periferie delle baraccopoli.

Operativamente le attività prevedono anche frequenti visite mediche nelle scuole, indispensabili, in considerazione della stretta correlazione evidenziata tra diritto alla salute e all’istruzione, tra condizioni al limite della sopravvivenza ed emarginazione. Un punto, questo, su cui Irene intende condurre una vera campagna di sensibilizzazione, avendo precedentemente maturato, nella sua esperienza al Mulago Hospital in Kenya, la consapevolezza dell’importanza dell’educazione sanitaria: «La maggior parte dei piccoli che ho assistito, non sapevano di essere malati» ha spiegato la dottoressa durante la premiazione.

«Questo perché le loro famiglie non sanno quando e come recarsi dal medico del villaggio». Molti, poi, soffrono di malnutrizione o di malattie anche facilmente curabili, ma, per mancanza di trattamenti tempestivi adeguati, non riescono a superare le loro patologie. Sarebbe fondamentale riuscire a trasferire il progetto Chep in Uganda, come nelle intenzioni di Irene, perché qui più della metà della popolazione è infantile, per un totale di 23 milioni di persone e, nelle zone rurali, 3 bambini su 10 al di sotto dei 5 anni soffrono di malnutrizione e due milioni di gravi disturbi della crescita.

«Nella mia terra la sopravvivenza si misura in litri d’acqua»

Altro tema posto all’attenzione dei giurati è stato quello della difficoltà di portare assistenza in luoghi del mondo in cui la mancanza d’acqua determina condizioni igieniche ai limiti della sopravvivenza. «Nella mia terra la sopravvivenza si misura in litri d’acqua» sono state le parole con cui Irene ha voluto trasmettere tutto il peso della situazione attuale. Ulteriore passo in questa direzione sarà l’attivazione di un dispensario: «Con l’aiuto di Harambee — ha detto Kyamummi — potremo centralizzare il lavoro: ripongo molta fiducia in questo processo, perché, agevolando il trattamento dei pazienti, si impedirà che molti bambini accedano alle cure quando è ormai tardi».

A sottolineare l'importanza del ruolo femminile a beneficio di tutta la comunità e la necessità che le loro iniziative abbiano spazio e seguito in ambito collettivo e sociale, la dottoressa ha dedicato il premio alle tante donne impegnate in famiglia e per il paese, nonostante la mancanza di mezzi: «In Africa c’è il più alto tasso di imprenditorialità femminile al mondo: riconoscere pubblicamente il contributo e la presenza delle donne, anche nella dimensione economica, agevolerebbe la loro crescita anche in termini di autostima» ha concluso Irene.

Oltre a questo speciale riconoscimento, Harambee Africa International ha attivato il programma di borse di studio Guadalupe

Oltre a questo speciale riconoscimento, Harambee Africa International ha attivato il programma di borse di studio Guadalupe, in nome della beata Guadalupe Ortiz de Landázuri, ricercatrice e insegnante di chimica che, in vita molto si spese per la formazione delle donne. Fino al 2028 dieci borse di studio all’anno saranno riservate alla permanenza di giovani africane presso centri di ricerca internazionali.

La prima di queste è stata vinta dalla fisica Coumba Niang, professoressa all’Università di Dakar (Senegal), che potrà così proseguire i suoi studi sulla variabilità stagionale del sistema monsonico, determinanti per migliorare lo stile di vita delle popolazioni dell’Africa occidentale, ciclicamente colpite dalle precipitazioni.

Clicca qui per leggere l'articolo sul sito dell'Osservatore Romano

di Silvia Camisasc​a

Osservatore Romano