Benedetto Ippolito // Avvenire
Mercoledì scorso Papa Francesco ha accolto i fedeli a San Pietro nella sua prima udienza generale, un importante appuntamento pubblico e un’occasione solenne d’incontro con la città e il mondo. Non stupisce che, nel pieno della Settimana Santa, egli abbia concentrato il suo discorso sul significato del cammino che ha condotto Gesù sul Calvario verso la Croce e la Risurrezione. Papa Bergoglio ha rilevato che Dio non solo non è rimasto ad attendere passivamente l’uomo, ma ha parlato in prima persona a tutti, portando misericordia e perdono direttamente ai grandi e ai piccoli.
Un esempio divino che è traccia eterna e apertura di una strada che porta liberamente all’amore e al dono di sé nella “logica della Croce”, accogliendo misteriosamente al suo interno anche il dolore e la morte. Affascinante è stata, in questa linea, la meditazione sull’essenzialità del tempo pasquale: “Il Signore si dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita e uscire incontro agli altri, portando la luce e la gioia della fede”.
L’esortazione ha acquisito un significato specifico al termine dell’incontro quando il Papa, salutando gli astanti, ha rivolto un benvenuto particolare agli universitari presenti che partecipavano all’incontro internazionale promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Francesco ha citato un passaggio della famosa omelia del 1967 di san Josemaria Escrivà, Amare il mondo appassionatamente,in cui si sollecitava “a servire Dio e tutti gli uomini in mezzo alle cose più materiali della terra”.
Si tratta di un punto cruciale che porta al centro della vita e della predicazione del fondatore dell’Opus Dei. Il sacerdote spagnolo, santificato nel 2002 da Giovanni Paolo II, non soltanto, infatti, ha proclamato senza sosta il valore pienamente cristiano della vita ordinaria, ma ha anche sostenuto l’essenzialità del distacco dalle cose materiali e la centralità della povertà in spirito per raggiungere la piena e completa identificazione con Cristo.
La chiamata universale alla santità esige una testimonianza diretta dell’amore di Dio nel comportamento quotidiano, un fare virtuoso che si traduce, prima di tutto, nell’acquisire una condotta che non ammetta separazioni tra la vita interiore e la vita familiare, professionale e sociale. Da questo punto di vista, si comprende facilmente che uscire dal proprio egoismo e aprirsi lealmente al prossimo sono requisiti indispensabili anzitutto per quei laici e quei sacerdoti secolari che sono “naturalmente” inseriti nel mondo.
San Josemaria Escrivà sembra echeggiare papa Francesco anche in Cammino – suo capolavoro ascetico – osservando che l’unico modo per essere apostolo è “amare e praticare la povertà di spirito, contentandosi di quello che basta per trascorrere la vita con sobrietà e temperanza”.
D’altra parte, il protrarsi attuale della crisi economica sta realmente diminuendo per tutti il benessere e le aspettative materiali. E senza un cambiamento culturale del rapporto personale con la ricchezza il rischio concreto è essere assaliti dal pessimismo e dalla disperazione.
Per questo, lo stile di Papa Francesco, la sua rinuncia a qualsiasi forma di sfarzo inutile, è stato accolto con tanto favore dalla gente, come una specie di vero e proprio riscatto. Davanti al dissolversi delle certezze economiche siamo tutti chiamati insomma a un maggiore impegno e a una maggiore sobrietà; ma siamo ancor più sollecitati a riscoprire gli aspetti necessari alla nostra felicità umana, riposti nell’amore di Dio e del prossimo.
Il Papa ha spiegato, nell’Omelia d’inizio pontificato, che l’unico potere legittimo di cui dispone l’uomo è il servizio. Dio, infatti, ha accettato la Passione, Morte e Resurrezione di suo Figlio per salvare l’umanità. Perciò, come ricordava San Josemaria Escrivà, per noi “non c’è altro amore che l’Amore”.