I novant'anni delle donne dell'Opus Dei su Famiglia Cristiana

In questo articolo, pubblicato su Famiglia Cristiana viene ripercorsa la storia fondazionale dell'Opus Dei a partire dai 90 anni della sezione femminile dell’Opus Dei.

«Dalla santità della donna dipende in gran parte la santità delle persone che le stanno accanto. Questo ha sempre ritenuto san Josemaría, con la ferma convinzione che "la donna è chiamata ad apportare alla famiglia, alla società civile, alla Chiesa, qualche cosa di caratteristico che le è proprio e che soltanto lei può dare" (Colloqui, n. 87)».

Così monsignor Fernando Ocáriz, Prelato dell’Opus Dei, citando il fondatore, si rivolge ai fedeli della Prelatura in una lettera datata 5 febbraio 2020. Quest’anno, il 14 febbraio 2020, la sezione femminile dell’Opus Dei, Prelatura personale della Chiesa cattolica, compie novant’anni di vita. La storia dell’Opus Dei e del suo fondatore, San Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975) è significativa sotto vari punti di vista e, con l’occasione di questo anniversario, vale la pena ripercorrerla.

La Fondazione dell'Opus Dei

San Josemaría Escrivá de Balaguer nacque a Barbastro, nella provincia di Huesca in Spagna, il 9 gennaio 1902. Figlio di José, commerciate di tessuti, e Dolores, ebbe cinque fratelli: Carmen (1899-1957), Santiago (1919-1994) e altre tre sorelle più giovani che morirono in tenera età. Tutti i figli ricevettero una profonda educazione cristiana. A causa di un rovescio economico, nel 1915 gli Escrivá furono costretti a trasferirsi a Logroño (provincia di La Rioja, Spagna settentrionale), più di 200 chilometri a ovest rispetto da Barbastro, dove il padre trovò un altro lavoro. In questa città, una mattina del rigido inverno del 1918, il giovane Josemaría notò alcune orme di piedi scalzi lasciate sulla neve da un frate carmelitano. Questo episodio lo colpì e lo portò a chiedersi: «Altri fanno tanti sacrifici per Dio e per il prossimo: e io, non sarò capace di offrigli nulla?». Furono le prime avvisaglie della sua vocazione: intuì che Dio gli stava chiedendo qualcosa, anche se a quell’epoca non riusciva capire esattamente cosa. Per assecondare meglio il volere di Dio, decise di farsi sacerdote. Venne ordinato il 28 marzo 1925 nella chiesa di San Carlo a Saragozza. Iniziò il suo ministero in alcune parrocchie rurali e poi, nella primavera del 1927, con il permesso dell'arcivescovo, si trasferì a Madrid, dove intraprese gli studi di diritto e continuò il suo lavoro di sacerdote, soprattutto assistendo molte delle persone più povere e indigenti che abitavano nelle borgate e visitando i malati incurabili e i moribondi negli ospedali.

Fu proprio a Madrid che, il 2 ottobre 1928, divenne chiaro al giovane sacerdote quello che Dio gli chiedeva e fondò l’Opus Dei (in italiano “Opera di Dio”), un’istituzione che ha lo scopo di contribuire alla missione evangelizzatrice della Chiesa incoraggiando nei fedeli cristiani di tutte le condizioni sociali uno stile di vita coerente con la fede in tutte le circostanze oneste in cui si trovano a vivere, attraverso la santificazione delle realtà quotidiane (la famiglia, gli affetti, il lavoro, il riposo…). Due anni dopo, il 14 febbraio 1930, mentre stava celebrando la Santa Messa, nel momento della comunione, il giovane sacerdote capì che Dio voleva che nell’Opus Dei ci fossero anche donne. Prese questa decisione contro la sua volontà: inizialmente San Josemaría era contrario alla presenza femminile all’interno dell’Opus Dei ma si rese conto che Dio aveva altri progetti. Alcuni anni dopo affermò che, se non vi fossero state donne nell’Opus Dei, l’istituzione sarebbe stata “monca”.

Donne e uomini normali, santi in mezzo al mondo

L’Opus Dei nasce alla fine degli anni Venti del XX secolo, epoca straordinaria e tragica allo stesso tempo. La Chiesa è alle prese con la nascita e la diffusione di ideologie totalitarie che nel giro di pochi anni avrebbero insanguinato l’Europa e il mondo; la Spagna in particolare è alla vigilia di una sanguinosa guerra civile che si scatenerà soprattutto contro la Chiesa, mietendo parecchie vittime, soprattutto tra i sacerdoti e religiosi. In questo contesto storico, un giovane sacerdote, all’epoca non ancora trentenne, in virtù dell’ispirazione divina ricevuta il 2 ottobre 1928, inizia a predicare a tutti che alla perfezione cristiana, cioè alla santità, sono chiamati tutti i fedeli di ogni ordine e grado. Tutti nella Chiesa, nessuno escluso (sacerdoti, laici, religiosi, ognuno nel suo ambito), hanno l’obbligo di santificarsi e di fare apostolato, cioè di far conoscere Cristo agli altri. Ogni situazione umana onesta può e deve diventare materia di santità. Il lavoro, la vita familiare, l’amore umano, i rapporti di amicizia, il divertimento, il riposo, ogni situazione umana, purché moralmente lecita, può e deve essere ricondotta a Dio perché non c’è ambito umano buono che a Dio non interessi. Tutti i cristiani, insomma, possono salvarsi l’anima non nonostante il loro vivere nel mondo, ma in virtù del loro vivere nel mondo. Questa chiamata universale alla santità può realizzarsi senza la necessità di cambiare stato di vita (cioè senza che sia necessario prendere i voti) se questa non è la volontà di Dio sulla singola persona. Contro il pericolo del male che c’è nel mondo, e che ognuno si porta dentro, la Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, fornisce a tutti i fedeli i mezzi soprannaturali necessari (sacramenti, preghiera, formazione dottrinale) per poter crescere nella vita interiore e vincere nella lotta quotidiana contro i propri difetti. Mancano ancora più di trent’anni all’inizio del Concilio Vaticano II, che farà propri questi aspetti riproponendoli a tutta la cristianità, e queste considerazioni, solo apparentemente banali ed oggi ormai acquisite dalla gran parte dei fedeli, sono per quei tempi «rivoluzionarie». Il fatto che ogni cristiano possa trovare Dio non solo partecipando alle funzioni religiose ma anche, per esempio, svolgendo con impegno e onestà il proprio mestiere e vivendo le virtù umane e soprannaturali, è un qualcosa che «rompe gli schemi» rispetto ad una certa concezione miope e limitata della vita cristiana. Questi concetti, molti chiari e vissuti quotidianamente dai cristiani dei primi tempi, con il passare dei secoli si erano in una certa misura “appannati” e la riflessione teologica e la prassi pastorale si erano concentrati su altri aspetti del Vangelo.

Nel 1928, nell’ambito del Diritto canonico, ancora non esisteva una figura giuridica capace di accogliere una realtà come l’Opus Dei. Non si tratta solo di una questione riservata agli addetti ai lavori: nella Chiesa ogni istituzione, per poter vivere correttamente il proprio carisma, ha bisogno di un’adeguata configurazione giuridica. La nuova realtà era profondamente differente dalle congregazioni religiose o dalle semplici associazioni di fedeli all’epoca esistenti. Sarà poi il Concilio Vaticano II che, all’interno del Decreto Presbyterorum ordinis, prevederà l’istituzione delle Prelature personali, realtà analoghe e complementari alle diocesi e che possono essere create per l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di particolari gruppi sociali in certe regioni o nazioni o in tutto il mondo. Nel corso degli anni, l’Opus Dei riceverà varie approvazioni giuridiche a livello diocesano e dalla Santa Sede, fino al 28 novembre 1982, quando verrà eretta in Prelatura personale da parte di San Giovanni Paolo II.

Le donne, colonne della società... e della Chiesa

Dal mese di febbraio del 1930, San Josemaría iniziò quindi a diffondere il messaggio della santificazione della vita ordinaria anche alle donne che seguiva spiritualmente. Le condizioni storiche e sociali del tempo erano molto diverse da quelle attuali: erano poche le donne che avevano un loro lavoro professionale e che studiavano all’università e, in generale, avevano comunque poche possibilità di azione nella società e nella vita pubblica. La prima donna a chiedere l’ammissione all’Opus Dei nel 1937 fu Lola Fisac (1909-2005) che conobbe San Josemaría e l’Opus Dei grazie alle lettere che il fondatore scriveva a suo fratello. Tra le prime donne che seguirono San Josemaría vi erano anche Nisa González Guzmán, all’epoca 33 anni, che chiese l’ammissione all’Opus Dei nel 1941; Encarnita Ortega, giovane poco più che ventenne, dal carattere solare, ottimista ed entusiasta; e anche Guadalupe Ortiz de Landázuri (1916-1975), insegnante e ricercatrice di Scienze Chimiche, prima fedele laica della Prelatura ad essere beatificata il 18 maggio 2019.

San Josemaría non nascose mai la sua ammirazione per il ruolo della donna nella Chiesa e nella società e mise in guardia sia le donne sia gli uomini dal contrapporre gli impegni familiari a quelli professionali. Soprattutto incoraggiò sempre tutti ad acquisire la necessaria formazione umana e professionale, anche in tempi nei quali le donne non erano su questi aspetti adeguatamente considerate. All’interno del libro Colloqui, che raccoglie sette interviste che il fondatore dell’Opus Dei concesse tra il 1966 e il 1968 a varie testate internazionali, parlando del ruolo della donna nella società, San Josemaria afferma che «La donna è chiamata ad apportare alla famiglia, alla società civile, alla Chiesa, qualche cosa di caratteristico che le è proprio e che solo lei può dare: la sua delicata tenerezza, la sua instancabile generosità, il suo amore per la concretezza, il suo estro, la sua capacità di intuizione, la sua pietà profonda e semplice, la sua tenacia... La femminilità non è autentica se non sa cogliere la bellezza di questo insostituibile apporto e non ne fa vita della propria vita».

In particolare, sul ruolo delle donne all’interno della Chiesa, il fondatore dell’Opus Dei mise in guardia contro il pericolo del clericalismo, in linea con quanto oggi ricorda spesso papa Francesco, chiarendo ad esempio la modalità corretta con la quale il genio femminile può contribuire alla crescita delle strutture ecclesiastiche, contributo che San Josemaría considerava “imprescindibile”: «Voglio […] far notare» diceva «che c'è chi vorrebbe imporre una riduzione ingiustificata di tale collaborazione; e mi preme rilevare che il comune cristiano, sia uomo o donna, può svolgere la propria missione specifica, anche quella che gli spetta all'interno della struttura ecclesiale, solo a condizione di non clericalizzarsi, di continuare cioè ad essere secolare, ad essere persona che con normalità vive nel mondo e partecipa alle vicende del mondo».