Molto umani, molto divini (IX): Il dono di guardare con Dio

Alcune virtù che preparano a essere anime contemplative nella vita di tutti i giorni.

Osservare con attenzione e amore la realtà: questa visione trova d’accordo molti pensatori, scienziati e artisti, che hanno coltivato l’arte della contemplazione. Scoprire la ricchezza di verità e di bellezza che c’è dietro a tutto ciò che esiste, anche dove non lo si immagina; spogliarsi delle smanie di controllare ogni cosa per godere di ciò che si ha a portata di mano, soprattutto le piccole cose. Perché mai, se conviene semplicemente guardare in un determinato modo, a volte tutto ci sembra tanto complicato? Imparare a farlo ci fa particolarmente piacere perché sappiamo che, se tutto il creato merita la contemplazione degli uomini, molto più lo merita il suo Creatore, nella cui infinita bellezza si riflettono tutte le meraviglie conosciute.

Siamo stati creati da Dio per la contemplazione; essa sarà perfetta nella vita futura, quando vedremo il Creatore faccia a faccia e, in lui, comprenderemo chiaramente e godremo di ogni cosa. Tuttavia, lo ricordava san Josemaría, siamo chiamati già ora, in ogni istante, ogni giorno, a «vedere Dio in tutte le cose della terra: nelle persone, in quello che accade, in tutto ciò che è grande e in ciò che sembra piccolo, in quello che ci fa piacere e in quello che consideriamo doloroso»1. Vogliamo che tutto diventi lode, gratitudine, riparazione e richiesta. Non guardiamo Dio “malgrado” il trambusto quotidiano, ma proprio attraverso di esso, usandolo come trampolino per arrivare in cielo.

Allora si farà strada in noi ciò che san Tommaso d’Aquino definiva una «semplice intuizione della verità che procede dall’amore»2. È un modo di guardare la realtà che non dipende dall'istruzione ricevuta né dal lavoro che si fa: è alla portata di tutti, in ogni momento, perché è dovuto all’amore ricevuto da Dio che impregna il nostro sguardo. Tutti i santi, tanto diversi fra loro, dotti e meno dotti, dedicati ad attività assai varie, hanno visto crescere nella loro vita questa vicinanza con il creatore. Perciò forse la prima cosa che dovremmo tenere presente è ciò che dice il Catechismo della Chiesa: la contemplazione è un dono3. Non è una cosa che possiamo ottenere soltanto con la nostra volontà, a forza di programmazioni o strategie. Ai doni di Dio, prima di ogni altra cosa, dobbiamo disporci, pronti ad accoglierli, e per fare questo occorre coltivare alcune virtù che preparino il terreno.

Il coraggio di aprire la porta

«Ecco: sto alla porta e busso – ci dice il Signore –. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20). Nella cappella del Keble College dell’Università di Oxford c’è un quadro intitolato «La luce del mondo» che rappresenta questa scena dell’Apocalisse. Gesù appare vestito da re, con una lanterna che apporta luce nella casa, mentre bussa pacatamente alla porta. Si notano a terra le cattive erbe che sono cresciute perché la porta era chiusa da molto tempo.

Il Signore, per regalarci una vita contemplativa, ci chiede di aprire la porta del nostro cuore ogni giorno, come in quella pittura della metà del XIX secolo. La reazione di Adamo ed Eva, i nostri progenitori, dopo la perdita della loro innocenza, fu proprio quella opposta: nascondersi e ostinarsi a chiudere la porta per evitare lo sguardo di Dio… Tutti noi, loro discendenti, conserviamo un po’ di questa tendenza. È forse un timore infondato per quanto potrà chiederci, la paura di sentirci condizionati, la probabilità di perdere l’effimero controllo della nostra vita. O magari, semplicemente, preferiamo una comoda inerzia che ci mantenga lontani dal piano spirituale, dato l’impegno che comporta l’essere pronti a ricevere un dono siffatto.

«Si ripete, in qualche modo, la scena di Betlemme, ogni giorno. Può darsi che – non con la bocca, ma con i fatti – anche noi qualche volta abbiamo detto: non est locus in diversorio, non c’è albergo per Te nel mio cuore. Ah, Signore, perdonami!»4. A parte altri ostacoli, che a volte ci possono apparire più difficili da affrontare, come la scarsezza di tempo, l’asprezza, la dispersione o la propria indegnità, questi strani dubbi nei confronti di Dio altro non sono che la cattiva erba che occorre estirpare per poter aprire la porta del nostro cuore, e in tal modo condividere lo sguardo con il nostro Creatore.

L’umiltà e il distacco che ci rendono leggeri

«L’orazione contemplativa […] non può essere accolta che nell’umiltà e nella povertà»5. Questo comporta, prima di tutto, il difficile compito di accettare serenamente la verità su noi stessi e sugli altri. Non possiamo disporci a ricevere il dono di osservare le cose come fa Dio se continuamente indossiamo una maschera, se pensiamo che siano per gli altri o se ricopriamo la realtà con una nostra fantasia, per quanto buona essa possa sembrare. Il linguaggio di Gesù è sempre semplice e profondo, guarda le cose così come sono, sempre con misericordia, mentre noi assai spesso siamo piuttosto complicati, superficiali o giudichiamo con superbia quello che ci sta attorno.

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”» (Gv 4, 10), dice Gesù alla samaritana. Anche, in un altro momento chiede all’apostolo Filippo: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto?» (Gv 14, 9). L’umiltà ci aiuta anche a riconoscere quanto poco sappiamo del Signore e del suo modo di regnare nel mondo. «A cinquant’anni di distanza, mi ritrovo come un bambino che balbetta. Comincio e ricomincio»6, diceva san Josemaría nella sua preghiera, poco prima di andarsene in cielo. Se eviteremo la tendenza a voler padroneggiare tutto con la scarsa luce del nostro criterio, Dio potrà rivelarci ciò che nasconde ai sapienti e ai dotti (cfr. Mt 11, 25).

D’altra parte, per essere contemplativi dobbiamo usare i beni terreni in modo che ci aiutino ad aderire a quelli eterni, e non viceversa. Un cuore che non si attacca ai beni materiali è idoneo a quelli spirituali, è leggero e pronto a iniziare il volo verso Dio, privilegia i doni della grazia. Gesù, creatore e Signore del mondo, visse distaccato da tutto in un semplice villaggio. Trascorse l’inverno al freddo e l’estate al caldo, dispose di scarsi beni, dei quali aveva grande cura. Alla fin fine, si tratta di non riporre nelle cose terrene l’amore che soltanto Dio merita.

Tuttavia, se la povertà favorisce la contemplazione, succede anche il contrario dato che entrambe si alimentano a vicenda. «Quando contempliamo – spiega papa Francesco– , scopriamo negli altri e nella natura qualcosa di molto più grande della loro utilità […]. Come hanno insegnato tanti maestri spirituali, il cielo, la terra, il mare, ogni creatura possiede questa capacità iconica, questa capacità mistica di riportarci al Creatore e alla comunione con il creato […]. Chi contempla in questo modo prova meraviglia non solo per ciò che vede, ma anche perché si sente parte integrante di questa bellezza; e si sente anche chiamato a custodirla»7. Al posto della logica di prenderci tutto per noi stessi, possiamo coltivare la meraviglia e la cura per gli altri: questa è la logica di Dio, che contempla amorevolmente la sua creazione.

Cercare la benedetta solitudine per pregare

Il fondo del mare alberga molte meraviglie, invisibili dalla riva: coralli, piante, pesci, tutto in molteplici forme e colori; conchiglie, perle, e anche tesori o pezzi archeologici di grande valore. Per accedere a tutto questo, i sommozzatori inseriscono nel loro equipaggiamento una cintura con lastre di piombo. Lungi dall’essere un impedimento, questo attrezzo dà loro sott’acqua un peso capace di bilanciare la tendenza del corpo a galleggiare e ritornare in superficie. Analogamente, ognuno di noi ha bisogno di un peso interiore per nuotare nel mare della contemplazione di Dio, lontano dalla superficie e dalle distrazioni.

Affinché l’anima riesca a contemplare la natura invisibile di Dio, san Gregorio Magno sosteneva che il primo gradino è imparare a raccogliersi in se stessi8. I vangeli ci mostrano spesso Gesù che prega in luoghi tranquilli e isolati. Se il Figlio di Dio sentiva la necessità di stare da solo con suo Padre, quanto più ne avremo bisogno noi. Dovremo superare la paura del silenzio e cercare «quella benedetta solitudine che è tanto necessaria per tenere in moto la vita interiore»9. Nel XVI secolo una coppia di sposi spagnoli chiese a san Pietro di Alcántara di insegnare loro a dialogare con Dio. Tra i suoi consigli, il mistico castigliano disse che «se il tempo per la preghiera è breve, si spenda tutto per tenere a freno l’immaginazione e acquietare il cuore; e quando è ormai quieto, si termini la preghiera proprio quando sarebbe stata più necessaria»10. Perciò è sempre bene compiere i nostri atti di pietà senza fretta, con un tempo sufficiente, evitando di arrivare con «i sensi desti e l’anima addormentata»11.

Una dieta per gustare le cose ordinarie

La tecnologia ci offre oggi un accesso rapido a un’infinità di informazioni e una veloce comunicazione. Sappiamo bene che questi vantaggi, quando abbassiamo la guardia, diventano una cattiva compagnia per il nostro dialogo con Dio. Se i sensi si abituano soltanto a queste velocità e a questi stimoli, mentre un altro impegno richiede un diverso ritmo mentale, è facile cadere nella dispersione. Si cercano, allora, continui sostegni affettivi per sentirsi bene, al di fuori della sobrietà ordinaria, dalla quale si rifugge quasi inconsapevolmente. Questo atteggiamento può anche riguardare gli altri perché, lo spiega santa Faustina Kowalska, «le anime meno raccolte (superficiali) vogliono che le altre siano simili a loro, perché costituiscono per loro un rimorso continuo»12.

Per disporci meglio alla preghiera può essere utile una sana dieta digitale, come del resto fanno gli atleti che vogliono percorrere lunghe distanze: saper fare a meno in alcuni periodi della settimana dei dispositivi elettronici; imparare a contemplare serenamente la natura, un paesaggio, un’opera d’arte; leggere un buon libro o vedere un buon film, evitando che la minima cosa ci interrompa… Tutte queste sono attività che richiedono un certo impegno delle nostre potenze. Comunque esse offrono in cambio la ricompensa di scoprire ambiti più profondi della realtà, esercitano il nostro sguardo a ricevere, come dono, una sempre maggiore vicinanza con Dio.

Lungo il percorso, in ogni caso, non dobbiamo scoraggiarci. Ciò che più fa piacere a Dio dei nostri minuti di preghiera è la buona volontà di tenergli compagnia, la nostra semplice presenza e la nostra vicinanza, come quella di un bambino piccolo con i suoi genitori. Stimolati da questo atteggiamento filiale, potremo avere il coraggio di superare ogni preoccupazione dovuta a un apparente silenzio e alla solitudine della preghiera. Nessun accorgimento che potremmo adottare nel pregare può sostituire l’impulso genuino di trattare Dio a tu per tu, la decisione libera e discreta di dirgli «ti voglio bene» insostituibile, che nessun altro può dire al nostro posto.


1  San Josemaría, Meditación, 25-XII-1973.

2  Cfr. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 180, a.3; a. 6.

3  cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2713.

4  San Josemaría, cit. in S. Bernal, Appunti per un profilo del Fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 1977, p. 359.

5  Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2713.

6  San Josemaría, cit. in S. Bernal, Appunti per un profilo del Fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 1977, p. 357.

7  Papa Francesco, Udienza, 16-IX-2020.

8  San Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, II, 5, 9.

9  San Josemaría, Cammino, n. 304.

10 San Pietro di Alcántara, Trattato dell’orazione e della meditazione, XII, 6.

11 San Josemaría, Cammino, n. 368.

12 Santa Faustina Kowalska, Diario, n. 147.

Pablo Edo