Misericordia. Andare incontro a chi è vicino

Un uomo aveva due figli… Con queste parole Gesù comincia a raccontare una delle sue parabole più celebri, quella del padre misericordioso, riportata nel capitolo 15 del Vangelo di Luca. Una riflessione di don Carlo De Marchi.

Di solito si chiama questa parabola con il nome del figlio più giovane, il figlio prodigo, che prima dilapida l’eredità di suo padre e poi ritorna dal paese lontano in cui si era andato a smarrire. Con sua grande sorpresa, il figlio trova che suo padre lo sta aspettando, gli corre incontro, lo abbraccia e organizza una festa per lui.

Si tratta forse del momento in cui Gesù afferma in modo più netto che la misericordia di Dio nei confronti dei nostri sbagli è infinita e incondizionata. Non esiste un peccato imperdonabile. E Dio non si stanca di perdonare i suoi figli (siamo noi, caso mai, che ci stanchiamo di chiedere perdono, come Papa Francesco ama ripetere). La vita cristiana significa “fare da figlio prodigo tutti i giorni e anche molte volte nel corso delle ventiquattro ore”, insegna l’esperienza personale di san Josemaría e di molti santi.

Ma si potrebbe dire che nelle nostre giornate è forse ancora più frequente l’esperienza del figlio maggiore, che non riesce a rallegrarsi per il ritorno del fratello e si rifiuta di entrare in casa e partecipare alla festa. A ben vedere, spesso il mio stato d’animo è assai simile al suo. Basta pensare al mio umore di ogni giorno, quando torno dai campi e resto imbottigliato sulla tangenziale, o a quando perdo la pazienza ricevendo una telefonata inopportuna, oppure a quando cerco vanamente il parcheggio mentre sono in ritardo per accompagnare un figlio dal dentista…

Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando… Perché allora non me ne va mai bene una? Nessuno mi capisce davvero. Possibile che mio marito non si renda mai conto di niente? Ma come ha fatto mia moglie a parcheggiare in questo modo? Ci mancava solo questa…! E tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici – e la lamentela del fratello maggiore si potrebbe esprimere nella “giaculatoria” romanesca che dice: mai ’na gioia! Me la prendo con tutto, con tutti e anche con Dio.

Il padre della parabola in effetti sembra cavarsela più facilmente con il figlio che viene da lontano, mentre fa molta fatica a convincere il fratello maggiore, che proprio non voleva entrare. Gesù dice che il padre uscì a supplicarlo, chiamandolo con grande affetto: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo… Capita anche a noi: in teoria sappiamo di essere figli di Dio, cerchiamo di comportarci da figli ma spesso non sentiamo la sua vicinanza paterna e affettuosa, qui e per me, oggi. Vorremmo anche noi avere un capretto e fare festa e ritrovare il buonumore, ma abbiamo paura di fare l’esperienza che “la festa si può organizzare, la gioia no” (Benedetto XVI).

Gesù non dice se alla fine il padre riesce a far ritrovare al figlio maggiore la gioia di vivere, ma in ogni caso la parabola ci suggerisce almeno due lezioni.

La prima è per quando chi tiene il muso e resta paralizzato sulla soglia di casa sono io. Il modo per sbloccarmi è non chiudermi fuori, ma ascoltare l’invito accorato di san Paolo: vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! Più che fare, la vita cristiana è lasciar fare. Lasciarmi voler bene da Dio e dalle persone che il Signore mi mette accanto, imparando a chiedere aiuto: alla grazia divina, magari con una buona confessione, e alla simpatia umana di un amico, al quale confido la mia stanchezza e chiedo semplicemente una mano e un po’ di ascolto. Dopo l’atto di umiltà di chiedere aiuto, è più facile riscoprire che nella mia vita in realtà c’è anche qualcosa di bello.

La seconda lezione è che è più facile accogliere una persona che ha fatto un grosso sbaglio e magari ci ha offeso personalmente, ma è umiliato e ci sta chiedendo scusa, piuttosto che andare incontro a chi sta accanto a noi e non riesce a farsi voler bene. Anzi, a esser sinceri spesso non ci dispiacerebbe veder partire una persona così per un paese lontano (augurio che a volte gli facciamo con una vecchia canzone di Alberto Sordi…).

Siamo abituati a pensare che il Vangelo chiede di accogliere chi viene da lontano, “i peccatori”, magari umiliati e pentiti. Invece siamo forse meno allenati a uscire incontro a chi è vicino e noioso. Al coniuge stanco che non riesce a dare il meglio di sé. Al genitore anziano, al figlio adolescente, alla sorella che non riesce a governare l’ansia per un esame e la contagia a tutta la famiglia. A chi la pensa in modo diverso da me, ma lavora nella mia stessa attività parrocchiale. A chi va a messa tutte le domeniche (o tutti i giorni), ma ha partecipato (oppure non ha partecipato) a questa o quella manifestazione politica. A chi scrive commenti provocatori e aggressivi sulla mia bacheca di facebook…

Vale proprio la pena chiedere al Signore il dono di “una carità affettuosa, che sappia accogliere tutti con un sincero sorriso abituale; che sappia comprendere le idee e i sentimenti degli altri” (san Josemaría). Una carità che rende capaci di dialogare non solo con i simpatici.

Bisogna essere molto misericordiosi per andare incontro a chi è antipatico e urtante. Misericordiosi come il Padre.

Don Carlo De Marchi