Carissimi, Gesù mi protegga le mie figlie e i miei figli!
Nel mio recente viaggio in vari Paesi del Centro America ho potuto constatare, ancora una volta, la benedetta unità dell’Opera. Dobbiamo continuare a sorprenderci della misericordia che Dio ha nei nostri confronti. Nostro Padre, riferendosi al 14 febbraio del 1930 e al 14 febbraio del 1943, disse una volta: «Non per caso il Signore ha voluto che queste due manifestazioni della sua bontà coincidano in una stessa data. (...) Chiedete al Signore che vi insegni ad amare l’unità dell’Opera come Egli l’ha voluta fin dal primo momento» (14-II-1958).
Il Signore, durante l’Ultima Cena, pregò per coloro che sarebbero diventati i suoi discepoli: «Ut omnes unum sint» (Gv 17,21); perché tutti siano una sola cosa. Non si tratta soltanto dell’unità di una organizzazione umanamente ben strutturata, ma dell’unità che dà l’Amore: «come Tu, Padre, sei in me e io in Te» (Ibíd.). I primi cristiani ne sono un esempio evidente: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32).
Proprio perché è conseguenza dell’amore, questa unità non è uniformità, ma comunione. È una unità nella diversità, manifestata nella gioia di convivere con le differenze, imparare ad arricchirci con gli altri, a stimolare attorno a noi un ambiente di affetto. Gesù ha affermato che tale unità è condizione di efficacia nella trasmissione del Vangelo: «Perché il mondo creda» (Gv 17,21). Una unità, dunque, che non ci rinchiude in un gruppo, ma che – come parte della Chiesa – ci prepara a offrire la nostra amicizia a tutte le persone in questa magnifica missione di evangelizzare.
Sforziamoci con rinnovato impegno di vivere l’unità: cominciando con coloro che stanno più vicini a noi. Allora, con la grazia di Dio, fonte di questa unità, potremo superare gli ostacoli che si presentano nel nostro cammino.
Con tanto affetto vi benedice,
vostro Padre
Roma, 14 febbraio 2019