Meditazioni: Lunedì della 1ª settimana di Quaresima

Riflessioni per meditare nel lunedì della prima settimana di Quaresima. I temi proposti sono: Rinunciare al peccato è un guadagno; Per vedere Cristo negli altri; Il cielo a chi riceve tutto da Dio.

- Rinunciare al peccato è un guadagno

- Per vedere Cristo negli altri

- Il cielo a chi riceve tutto da Dio


– «I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore – canta il salmista; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi» (Sal 19, 9). Gioia per il cuore e luce per i nostri occhi: questi sono i frutti che il Signore ha preparato per noi se, durante questa Quaresima, ci disponiamo a convertirci a lui. Dio ci vuole felici: ce lo ricorda il primo punto del Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, per un disegno di pura bontà, ha liberamente creato l’uomo per renderlo partecipe della sua vita beata»[1].

Vogliamo chiedergli luce per non rimanere semplicemente alla superficie delle cose, delle persone, delle nostre attività. Convertirci significa guardare in un modo nuovo ciò che abbiamo già visto molte volte. Lo Spirito Santo è colui che può ripulire i nostri occhi e purificare il nostro cuore per amare meglio Dio e gli altri. La menzogna del nemico consiste nel farci sospettare che Dio ci chiede soltanto rinunce. Tuttavia, rinunciare al peccato è sempre un guadagno, un beneficio incalcolabile. «Il sacrificio è solo apparente: vivendo in questo modo [...], si libera di molte servitù e può assaporare per intero l’amore di Dio nell’intimo del cuore»[2].

«La Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E in ogni caso questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio “con tutto il cuore” (Gl 2, 12), di non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell’amicizia con il Signore [...]. La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito»[3].


«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25, 35). Gesù dice ai discepoli che quello è il comportamento di chi, alla fine, sarà annoverato tra i beati. San Paolo, a sua volta, scrive agli efesini: «Continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere» (Ef 1, 16). Dio ha detto chiaramente che ci aspetta in ogni persona con la quale ci troviamo; saperlo è già motivo sufficiente di gratitudine. Se ci apriamo alla sua grazia, impareremo a scoprire il volto dell’immagine divina in ogni anima, specialmente in quelli che hanno una necessità. Sapere che quel collega, quella amica o quel familiare non solamente è amato dal Signore, ma che inoltre egli è presente in essi, è uno stimolo per cercare lì il volto di Cristo. Coloro che noi frequentiamo sono per noi un dono di Dio.

Se poi questo fosse poco, Gesù Cristo ci ha promesso che egli stesso amerà gli uomini attraverso di noi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). Dio ci invita a portare affetto, comprensione e pace là dove ci troviamo. In questo impegno, un sorriso può già essere un buon inizio; molte volte quel gesto cambia la giornata a chi lo riceve. «Non dimenticarmi che a volte c’è bisogno di avere accanto volti sorridenti»[4], scrive san Josemaría. Per poter diffondere pace e gioia attorno a noi, prima dobbiamo averle in noi. In tal senso è importante essere molto sinceri con Dio, con noi stessi e con quelli che collaborano con noi. «Non dobbiamo aver paura di essere veritieri, di dire la verità, di sentire la verità, di conformarci alla verità. Così potremo amare [...]. L’ipocrita ha paura della verità. Si preferisce fingere invece di essere se stessi»[5]. Per dar da mangiare all’affamato, dar da bere all’assetato e accogliere il pellegrino, è importante, prima, avere pace interiore; vivere con una serenità che ci permetta di vedere Cristo negli altri.


«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25, 34). In un certo senso «il giudizio finale è già in atto, incomincia adesso nel corso della nostra esistenza. Tale giudizio è pronunciato in ogni istante della vita, come riscontro della nostra accoglienza con fede della salvezza presente e operante in Cristo, oppure della nostra incredulità, con la conseguente chiusura in noi stessi»[6]. Corriamo il rischio di prospettarci questo percorso come una coraggiosa lotta per ottenere che Dio ci ami, senza renderci conto che, in realtà, il suo amore è eterno e precedente a noi stessi. In tal modo si comprende meglio che «l’inferno consiste formalmente nel fatto che l’uomo non vuole ricevere nulla, vuole essere autonomo. È l’espressione della chiusura nel proprio io [...]. Viceversa, essere di lassù, quello che chiamiamo cielo, [...] è essenzialmente ciò che uno non ha fatto né può fare da se stesso»[7].

Agli antipodi di questo atteggiamento, ci sono i reclami dei due figli della parabola del padre misericordioso. Il più giovane richiede: «Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta» (Lc 15, 12). Il maggiore, da parte sua recrimina: «Tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici» (Lc 15, 29). Entrambi calcolano quello che credono di meritare, ma si sbagliano. Il piccolo, quando ritorna a casa pentito, neppure finisce di parlare che suo padre dice: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa» (Lc 15, 22-23). Al maggiore promette ancora di più: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15, 31). Allora imparano a ricevere e possono andare in cielo a ricevere per tutta l’eternità l’amore infinito di Dio. Col desiderio che Dio agisca nella nostra anima, possiamo unirci alla preghiera di san Josemaría: «Sì, o Signore, con l’aiuto della nostra Madre del Cielo saremo fedeli, umili, e non ci dimenticheremo che abbiamo i piedi di argilla e che tutto ciò che risplende in noi è tuo, è grazia, è la divinizzazione che ci concedi perché vuoi, perché sei buono»[8].


[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1.

[2] San Josemaría, Amici di Dio, n. 84.

[3] Papa Francesco, Messaggio, 18-X-2016.

[4] San Josemaría, Solco, n. 57.

[5] Papa Francesco, Udienza, 25-VIII-2021.

[6] Papa Francesco, Udienza, 11-XII-2013.

[7] Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana.

[8] San Josemaría, Lettera 2, n. 62c.