Meditazioni: Domenica della 17ª settimana del Tempo Ordinario (Ciclo A)

Riflessioni per meditare nella domenica della diciassettesima settimana del Tempo Ordinario (ciclo A). I temi proposti sono: Scoprire la propria vocazione; Indovinare la via; I frutti della fedeltà.

- Scoprire la propria vocazione

- Indovinare la via

- I frutti della fedeltà


Scoprire la propria vocazione

Una volta Gesù ha paragonato il Regno di Dio a un tesoro nascosto nel terreno. Un uomo, avendolo trovato, non ha esitato a vendere tutto quel che possedeva per comprare quel terreno. Spesso questa immagine è servita a illustrare, oltre la chiamata a seguire Cristo, l’esperienza di una chiamata più specifica che alcune volte Dio rivolge alle persone. A tutti noi il Signore ha riservato un tesoro che, per trovarlo, è necessario vendere tutto quanto possediamo. Tuttavia, sorge naturale una domanda: quando comincio a esplorare il terreno nel quale c’è un tesoro che mi aspetta? Che terreno conviene comprare? O più semplicemente: come posso scoprire la mia vocazione personale?

Per rispondere in modo adeguato, san Josemaría diceva che non è possibile «fornire formule prefabbricate, né metodi o regolamenti rigidi». Sarebbe come «voler costringere su binari l’azione sempre originale dello Spirito Santo»[1], che soffia dove vuole. Le vie per arrivare a Dio sono tanto numerose quanto le persone. Il Vangelo, tuttavia, ci mostra un tratto comune a coloro che sono interessati a scoprire il terreno in cui si trova il tesoro: un cuore inquieto. Nicodemo, dopo aver ascoltato gli insegnamenti di Gesù, si chiedeva se quell’uomo era il Messia; essendo pieno di dubbi e di incertezze, osò avvicinarsi a lui solo di notte per avere risposta. Il giovane ricco, da parte sua, restava insoddisfatto dell’esistenza apparentemente corretta che conduceva, e si avvicinò di corsa a Cristo per chiedergli che cosa gli mancava per avere la vita eterna.

Come tanti altri, essi erano cercatori: erano in attesa di un avvenimento che cambiasse la loro vita e la colmasse di significato. I santi avevano un’anima ardente e affamata, prima di scoprire la loro vocazione. Sognavano una piena intimità con Dio, anelavano di far crescere la Chiesa, puntavano a un’esistenza che mettesse a frutto i talenti ricevuti, desideravano alleviare le sofferenze del mondo... Essi seppero dare sfogo a queste inquietudini di cuore nel dialogo con Dio: «Che cosa mi vuoi dire? Che cosa significano questi desideri e queste inclinazioni che sento nel mio cuore?». Dio, mentre camminiamo, ci lancia segnali che, se li uniamo all’orazione, formano un disegno riconoscibile che ci può indicare il terreno col tesoro nascosto.


Indovinare la via

Una volta comprato il terreno, sorge un altro problema: come faccio a sapere che il tesoro trovato è il mio? In altri termini, qual è il mio cammino? L’inizio di una vocazione, come l’inizio di ogni progetto, di solito comporta una serie di dubbi. Dietro questi dubbi c’è un timore di non sapere con certezza che cosa avverrà in futuro, dove ci porterà questa strada, mai percorsa in precedenza. Inoltre, la consapevolezza della nostra fragilità personale ci fa pensare di non essere all’altezza di ciò che Dio ci chiede.

Non si tratta di un programma dettagliato nei minimi particolari. Dio ci ha donato un terreno, ma fa conto anche sulla nostra iniziativa, su ciò che noi pensiamo, vogliamo e facciamo. Vivere significa avventura, rischio, limitazioni; uscire dal piccolo mondo da noi controllato per sperimentare la bellezza di dedicare la nostra vita a qualcosa più grande di noi e che placa la nostra sete di felicità. Certamente è necessario riflettere sulle cose. È ciò che la Chiesa definisce tempo di discernimento. Comunque occorre tener presente che «il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamati per il bene dei fratelli»[2]. La vocazione comporta l’ampliamento delle nostre prospettive al di là del terreno conosciuto, quella zona chiamata anche di confort, di sicurezza individuale, per lanciarsi in un progetto che ci conduca per strade in cui si dà e si riceve ancora più amore.

«Sai che il tuo cammino non è chiaro – scriveva san Josemaría -. – E che non lo è perché, non seguendo Gesù da vicino, rimani nelle tenebre. – Che aspetti a deciderti?»[3]. Solo se scelgo il cammino posso percorrerlo, praticando quello che ho scelto. Ogni vocazione ha una dose di incertezza che Dio ha voluto per salvaguardare la nostra libertà, per far sì che noi facciamo il primo passo. Per vedere la stella, come i Re Magi, è necessario mettersi in cammino perché i progetti di Dio vanno sempre oltre le nostre aspettative, vanno più in là di noi stessi. Solo se confidiamo in lui, diventiamo capaci. All’inizio ognuno non può: ha bisogno di crescere. Ma per crescere deve credere: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5), con me potete far tutto.


I frutti della fedeltà

C’è una terza domanda da porsi quando già si possiede il tesoro dell’immagine che Gesù utilizza: che ne posso fare? Le ricchezze trovate offrono una grande quantità di possibilità per migliorare la propria vita e quella altrui. Allo stesso modo, la scoperta di una vocazione arricchisce la nostra esistenza, ci introduce in una felicità che supera le nostre aspettative e illumina anche le persone che Dio ha posto al nostro fianco.

A coloro che fanno crescere questo tesoro Dio ha promesso che li riceverà nel suo Regno: «Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25, 21). Tuttavia il Signore non aspetta il Cielo per premiare i suoi figli, ma già in questa vita li introduce in questa gioia divina con frutti di santità e di virtù, traendo il meglio da ogni persona e dai suoi talenti. Il dono principale che ci offre è Lui stesso, la sua amicizia e la sua presenza in noi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). «Il Signore ha voluto depositare in noi un tesoro ricchissimo – commentava san Josemaría -. [...] In noi dimora Dio, Nostro Signore, con tutta la sua grandezza. Nei nostri cuori c’è abitualmente il Paradiso»[4].

Possiamo portare da tutte le parti questo Paradiso che portiamo dentro di noi. «Nei nostri giorni, in cui si percepisce spesso una grave mancanza di serenità nella vita sociale, nel lavoro, all’interno della famiglia… diventa sempre più urgente che i cristiani siano, secondo l’espressione di San Josemaría, “seminatori di pace e di gioia”»[5]. Sappiamo per esperienza che questa pace e questa gioia non sono nostre. Per questo cerchiamo di coltivare la presenza di Dio nei nostri cuori, perché sia lui che ci soddisfi e comunichi i suoi doni a coloro che ci circondano. Santa Maria, che seppe mettere a frutto il tesoro della sua vocazione, ci aiuterà ad assaporare le cose grandi che Dio susciterà nella nostra vita e in quella degli altri con la nostra fedeltà nella ricerca di questo stesso tesoro.


[1] San Josemaría, Lettera 6-V-1945, n. 42.

[2] Papa Francesco, Gaudete et exsultate, n. 175.

[3] San Josemaría, Cammino, n. 797.

[4] Salvador Bernal, Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer. Appunti per un profilo del Fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 1977, p. 361.

[5] Mons. Fernando Ocáriz, Omelia, 12-V-2017.