«Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare» (Gv 21,7). Il discepolo amato aveva soltanto messo in parole ciò che vedeva con gli occhi della fede. E Pietro, «con lo stesso ardore con cui faceva molte altre cose, andò da Gesù»[1]. Il primo Papa accoglie l’indicazione di Giovanni a modo suo: con passione. Così si getta in acqua, benché la barca si trovi già vicina alla riva. Oggettivamente, quel tuffo era inutile; ma in quel momento Pietro aveva bisogno di manifestare così il suo amore per Gesù, la sua urgenza di parlargli. E non è difficile immaginare il sorriso del Signore, a metà tra il divertito e il commosso, davanti alla reazione di Pietro.
Favorire la personalità e l’iniziativa di ogni anima.
Questa scena cattura una dinamica fondamentale per un autentico accompagnamento spirituale: chi accompagna indica con discrezione, senza imporsi, dove crede di vedere il Signore; e chi è accompagnato si mette in cammino, per andare incontro al Signore. L’accompagnatore può offrire orientamento e sostegno, ma, in ultima analisi, è l’altro che deve discernere la volontà di Dio per la propria vita e compiere i passi necessari. In altre parole, nella direzione spirituale è essenziale favorire la responsabilità e l’iniziativa personale: aiutare ciascuno a sviluppare la propria vita di preghiera, a cercare risorse spirituali e a prendere le proprie decisioni.
Le persone crescono in maturità e in libertà quando si favorisce la loro responsabilità. E questo permette loro di amare di più e meglio. Il Padre ce lo ha ricordato in una delle sue lettere: «San Josemaría, riferendosi a coloro che ricevono i colloqui personali dei loro fratelli, scrive che “l’autorità del direttore spirituale non è potestà. Lasciate sempre alle anime una grande libertà di spirito. Pensate a quello che vi ho detto tante volte: perché ne ho voglia, mi sembra il motivo più soprannaturale di tutti. La funzione del direttore spirituale è quella di aiutare a far sì che l’anima desideri – che abbia voglia – di compiere la volontà di Dio. Non comandate, consigliate”. Con i consigli della direzione spirituale si fa in modo di assecondare l’azione dello Spirito Santo in ogni anima e di aiutarla a porsi davanti a Dio e davanti ai propri doveri con libertà e responsabilità personali perché, «nel creare le anime, Dio non si ripete. Ciascuno è fatto come è fatto, e bisogna trattare ciascuno così come Dio lo ha fatto e nel modo in cui Dio lo guida»[2].
Per favorire la responsabilità delle persone, conviene evitare di dare consigli immediati, anche quando le soluzioni sembrano evidenti. Questo accade in molti ambiti della vita: una persona ha bisogno di sostegno o di incoraggiamento, e invece riceve consigli… Sebbene a volte sia opportuno darli, è necessario soprattutto incoraggiare ciascuno a cercare le proprie risposte: «E tu che cosa pensi?»; «Perché non preghi su questo con calma e ne riparliamo un altro giorno?». In alcuni casi, l’accompagnamento spirituale consisterà nell’aiutare le persone ponendo domande che aprano nuovi orizzonti di discernimento: «Quali vantaggi e quali inconvenienti vedi nell’agire in questo modo?»; «Hai pensato se questo fa parte del cammino attraverso cui Dio ti ha condotto fin qui?». Approcci di questo tipo aiutano le persone a sviluppare la virtù della prudenza in tutte le sue dimensioni. Così, senza smettere di chiedere consiglio quando sia necessario, arriveranno anche alla piena maturazione di questa virtù, che comporta il saper giudicare e decidere rettamente[3]. Naturalmente, se una persona ha poca formazione nella vita morale o ascetica, sarà opportuno che chi accompagna spieghi e mostri il senso degli insegnamenti del Magistero rilevanti per la sua situazione. Oppure, se si ritiene che possa commettere un errore grave, conviene dirlo senza giri di parole. Tuttavia, l’obiettivo principale deve essere quello di guidare le persone verso una riflessione personale, invitandole a discernere, alla presenza di Dio, come il Vangelo illumini la loro vita e le loro sfide[4].
Quando una persona apre il suo cuore, accetta di porsi in una certa situazione di fragilità. Chi accompagna, da parte sua, deve imparare a «togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5)»[5]. In questo senso, è necessario avere grande rispetto per la dignità e l’intimità di ciascuno, evitando di fare domande per mera curiosità o di forzare conversazioni per le quali l’altro forse non è ancora pronto. Inoltre, chi accompagna non deve mai mostrarsi sorpreso da ciò che gli viene confidato, siano azioni, desideri o tentazioni. Anche persone con una buona formazione e con un autentico desiderio di Dio possono attraversare momenti di debolezza o di prova. Allo stesso modo, chi apre il proprio cuore non dovrebbe trattenersi dal dire qualcosa pensando che l’altro possa restarne sorpreso o turbato.
Un buon direttore spirituale sa esigere senza diventare opprimente, perché rispetta con pazienza i tempi delle persone. In questo senso può essere utile ricordare il passo di Isaia a cui san Matteo si riferisce parlando di Gesù nel suo Vangelo: «Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta» (Mt 12,20; Is 42,3). Un eccessivo accento su ciò che non va potrebbe infatti ostacolare l’accompagnamento. Per esempio, far notare a qualcuno un difetto può spingerlo a reagire e a cambiare, ma può anche provocare scoraggiamento o tristezza. Spesso è meglio aiutare le persone a prendere coscienza da sole delle cose, rimuovendo poco a poco gli ostacoli affinché vedano i problemi o riconoscano i difetti.
Lo sappiamo per esperienza: la persona stanca, ferma ai bordi del cammino, difficilmente riprende a muoversi solo perché qualcuno le grida incoraggiamenti da lontano; ciò che apprezza, e che davvero l’aiuterà a riprendersi, è una parola di conforto e qualcosa da mangiare o da bere. Allo stesso modo in cui non possiamo forzare una pianta a crescere più velocemente tirandola verso l’alto —perché così finiremmo per sradicarla— non possiamo accelerare lo sviluppo spirituale delle persone senza far loro del male. Le anime, «come il vino buono, migliorano col tempo»[6]. Per questo, «la formazione, durante l’intera vita (…), deve tendere in grande misura ad aprire orizzonti. Se invece ci limitassimo alla reciproca esigenza, potremmo finire per vedere soltanto ciò che non riusciamo a fare, i nostri difetti e i nostri limiti, dimenticandoci la cosa più importante: l’amore di Dio per noi»[7].
L’amicizia come accompagnamento spirituale
Le considerazioni precedenti si riferiscono in modo particolare alla pratica formale dell’accompagnamento spirituale, che nell’Opera avviene nella chiacchierata fraterna, con un laico o con un sacerdote, oppure nella confessione e in altre conversazioni con il sacerdote. San Josemaría ha sempre voluto evitare che chiamassimo queste persone i nostri «direttori spirituali». Questo approccio, relativizzando la figura della persona concreta, offre una diversità di prospettive che arricchisce la vita spirituale ed evita al tempo stesso eccessivi attaccamenti da entrambe le parti. In questo modo si previene anche il rischio di generare «direttori possessivi» e quei personalismi che spesso si trovano all’origine di alcuni casi di abuso di coscienza.
Ciononostante, l’accompagnamento spirituale può estendersi anche oltre questi ambiti formali. L’amicizia, intesa come l’amore benevolo che nasce tra persone con interessi o visioni affini, è una forma di accompagnamento indispensabile per la nostra vita. Quando l’interesse condiviso abbraccia la dimensione spirituale, l’amicizia diventa naturalmente una forma di accompagnamento spirituale. Il Padre lo ricordava scrivendo di san Basilio e san Gregorio Nazianzeno. «L’amicizia che strinsero in gioventù li unì per tutta la vita e ancor oggi condividono la festa nel calendario liturgico generale. San Gregorio racconta che “l’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù e vivere tesi alle future speranze”. La loro amicizia non soltanto non li distraeva da Dio, ma li avvicinava di più a Lui: “Indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù”»[8]. Un’amicizia aperta alle preoccupazioni spirituali è un contesto informale, ma autentico, di accompagnamento spirituale, perché in essa sono presenti tutti gli elementi di cui abbiamo parlato: apertura all’azione dello Spirito Santo, ascolto attento e valorizzazione della personalità e dell’iniziativa.
Molte persone che hanno incontrato Cristo e la Chiesa grazie a un amico o a un’amica descrivono l’aiuto ricevuto come un accompagnamento spirituale. Quasi senza rendersene conto, il loro amico li accompagnava passo dopo passo e li conduceva ad amare Gesù, fino al momento in cui hanno deciso di ricevere il battesimo o di diventare cattolici. Lo stesso accade a chi è tornato alla fede attraverso un’amicizia leale o a chi ha evitato di allontanarsi da Dio grazie alle parole di un amico. Così, l’«apostolato di amicizia e di confidenza»[9], come lo chiamava san Josemaría, si avvicina molto a ciò che conosciamo come accompagnamento spirituale: «Quelle parole lasciate scivolare proprio al momento giusto all’orecchio dell’amico che vacilla; quella conversazione orientatrice che hai saputo provocare così a proposito; e quel consiglio professionale che migliora il suo lavoro universitario; e la discreta indiscrezione che ti porta a suggerirgli orizzonti insospettati»[10].
La relazione simmetrica tra due persone amiche apre, d’altra parte, dimensioni meno accessibili nell’accompagnamento in senso stretto: condividere e sostenersi reciprocamente. Gli amici si scambiano esperienze e punti di vista, aiutandosi a vicenda ad affrontare le sfide della vita. Questo apre alcune strade, ma ne chiude anche altre. In una relazione di amicizia non posso aspettarmi che l’altro mi ascolti sempre, perché a volte sarà piuttosto lui ad avere bisogno di essere ascoltato. D’altro canto, i miei amici non sempre potranno consigliarmi adeguatamente sugli aspetti della vita spirituale o del mio cammino personale, perché forse non lo conoscono bene; la loro prospettiva potrà comunque certamente arricchirmi. Per queste ragioni, sebbene l’amicizia completi e arricchisca la direzione spirituale, di fatto non può sostituirla.
Nelle forme di accompagnamento spirituale formale, invece, la relazione tra le due persone è asimmetrica: solo una delle parti ha il compito di ascoltare e consigliare; un ruolo che non deve essere offuscato né invertito. Questa distinzione introduce dei limiti che aiutano la persona ad aprire il proprio cuore senza le interferenze emotive che potrebbero rendere difficile un approccio e un’obiettività adeguati. Facilita anche il fatto che la persona, dopo aver considerato la questione alla presenza di Dio, possa condividere aspetti intimi della propria relazione con Lui e con gli altri, comprese le radici dei propri peccati e le lotte più profonde. Ciò non significa, tuttavia, che la relazione tra chi guida e chi è accompagnato debba essere fredda e distaccata: pur mantenendo quell’asimmetria e quella distanza emotiva, da parte del direttore spirituale è necessario un vero affetto per le persone che accompagna, perché si può aiutare veramente solo quando si ama con l’amore di Colui che ci ha chiamati amici (cfr. Gv 15,15).
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«Portate un po’ del pesce che avete preso ora», dice il Signore (Gv 21,10). San Pietro, ancora bagnato per il suo tuffo nel lago, trascina a riva la rete carica di pesci. Dopo una meritata colazione, si allontana camminando con Gesù. Inizia allora, discepolo e Maestro, un dialogo intimo: preghiera? accompagnamento spirituale? Entrambe le cose, in divina armonia. Pietro, disarmato, rinnova la sua fedeltà al Signore. E il Signore, che non ha mai smesso di credere in lui, lo conferma nella sua missione: «Seguimi». Pietro si volta e chiede riguardo all’altro discepolo, che cammina più indietro. «Tu seguimi», insiste Gesù (cfr. Gv 21,19-22). Giovanni non ode ciò che si dicono: non è il suo compito. Come il Battista (cfr. Gv 3,27-30), gioisce nel sapere di aver favorito l’incontro.
Dancho Azagra
[1] San Beda il Venerabile, citato nella Catena aurea, Gv 21,1-11.
[2] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 9-01-2018, n. 10; le citazioni di san Josemaría sono tratte dalla Lettera 26, n. 38.
[3] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea VI, 13; San Tommaso, Summa Theologiae, II-II q. 47 a. 8 co.
[4] «Se la mia testimonianza personale può avere qualche interesse, posso dire che ho concepito il mio lavoro di sacerdote e di pastore di anime come un compito volto a porre ciascuno di fronte a tutte le esigenze della sua vita, aiutandolo a scoprire ciò che in concreto Dio gli chiede, senza porre alcun limite a quella santa indipendenza e a quella benedetta responsabilità personale che sono le caratteristiche proprie della coscienza cristiana» (San Josemaría, È Gesù che passa, n. 99).
[5] Francesco, Evangelii gaudium, n. 169.
[6] San Josemaría, Amici di Dio, n. 78.
[7] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 9-01-2018, n. 11.
[8] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 1-11-2019, n. 5. Le referenze interne sono di san Gregorio Nazianzeno, Sermone 43.
[9] San Josemaría, Solco, n. 192.
[10] San Josemaría, Cammino, n. 973.
