Carissimi: Gesù mi protegga le mie figlie e i miei figli!
È arrivato settembre e la Chiesa, Madre e Maestra, ci invita ad approfondire i frutti della redenzione. Il giorno 14, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, ci ricorda che il santo legno su cui il Signore offrì la sua vita per la salvezza del mondo, è un trono di trionfo e di gloria: Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me [1]. Nella festa successiva, memoria di Maria ai piedi della Croce, ci viene mostrato con forza che la Santissima Vergine, nuova Eva, associata a Cristo, nuovo Adamo, collaborò eccelsamente alla salvezza delle anime. Contemplando con fede la Croce, scorgiamo come «lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace» [2].
Queste feste liturgiche ci interrogano anche sulla nostra risposta quotidiana al mistero del dolore, quando si presenta nella nostra vita. A volte, tuttavia, noi uomini consideriamo “successi” ciò che soddisfa i sensi e il proprio io, mentre riteniamo “fallimenti” le contrarietà, ciò che non va come avremmo desiderato, quanto provoca sofferenza al corpo o all’anima. Cerchiamo di superare questa logica fuorviante, perché, come scriveva san Josemaría, il successo o il fallimento sono della vita interiore. Il successo consiste nel ricevere con serenità la Croce di Gesù, nello stendere le braccia aperte perché, per Gesù come per noi, la Croce è un trono, è l’esaltazione dell’amore; è l’apice dell’efficacia redentrice, per condurre le anime a Dio, per guidarle nel nostro stile laicale: col rapporto personale, con l'amicizia, con il lavoro, con la parola, con la dottrina, con la preghiera e con la mortificazione [3].
Osservando la fuga dalla Croce, che purtroppo notiamo in tanti ambienti, possiamo domandarci, con il Papa: Il mio cammino cristiano, che ho iniziato nel battesimo, come va? È fermo? (…) Mi fermo davanti alle cose che mi piacciono: la mondanità, la vanità – tante cose, no? – o vado sempre avanti, facendo concrete le beatitudini e le opere di misericordia? (…) La via di Gesù è tanto piena di consolazioni, di gloria e anche di croce, ma sempre con pace nell’anima[4].
Tra le opere di misericordia che stiamo cercando di praticare con più impegno durante questo Anno giubilare, ve n’è una che è al tempo stesso corporale e spirituale. Mi riferisco alla cura dei malati e degli anziani: non si esaurisce nel sovvenire alle necessità materiali, ma ha sempre un versante spirituale: aiutarli anche a scoprire, nella sofferenza o nella solitudine, una occasione continua di unirsi a Cristo in Croce.
Occuparsi dei malati è stata una costante della vita terrena di Gesù: uno dei segni della sua condizione messianica, come afferma san Matteo: Egli ha preso le nostre infermità / e si è caricato delle malattie [5]. Gli evangelisti ce lo hanno ripetuto tante volte. Talvolta era qualcuno a chiedere la grazia per sé o per qualche persona cara: il centurione di Cafarnao lo supplica per il suo servo malato; alcuni amici gli calano innanzi un paralitico; Marta e Maria insistono perché venga in fretta a Betania a restituire la salute al loro fratello, gravemente malato; Bartimeo lo richiama con le sue grida, mentre Gesù passa da Gerico, pregandolo di avere pietà e di guarire la sua cecità… In altri momenti è Gesù a prendere l’iniziativa, come quando, sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati [6]; o quando trovò un paralitico accanto alla Piscina Probatica e gli chiese: Vuoi guarire?[7]; oppure, quando ridiede vita al figlio della vedova di Nain [8].
Spesso la folla portava con sé parenti o amici malati fin dove si trovava il Maestro. San Matteo ci racconta che Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio di Israele[9].
I miracoli del Signore non pretendevano, logicamente, di guarire solo le malattie del corpo ma anche di infondere la grazia nelle anime, come dimostra la guarigione del cieco dalla nascita. Alla domanda dei discepoli che pensavano – in accordo con l’opinione del tempo – che la cecità di quell’uomo fosse la conseguenza dei peccati, Gesù rispose: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio [10].
Il libro degli Atti, in diverse occasioni, traccia per noi un quadro dell’azione della Chiesa primitiva. Scrive san Luca: Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli (…), tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro [11].
Il dolore e la malattia possono avvicinare a Dio, se li si accoglie con spirito soprannaturale. Ma possono anche allontanarcene, se portano alla ribellione. Nostro Padre aveva ben sperimentato, sia nella propria vita, sia nella storia dell’Opera, l’efficacia del dolore fisico o morale unito alla Croce del Signore. Con gratitudine a Dio e a innumerevoli persone che accoglievano le sue richieste, diceva che sin dall’inizio abbiamo contato sulla preghiera di molti malati, che offrivano le loro sofferenze per l’Opus Dei [12]. Anche oggi, l'attività apostolica trova una solida base nella generosità di persone malate che cercano di trasformare la loro sofferenza in preghiera per la Chiesa, per il Papa, per le anime.
Dobbiamo aiutare tutti gli ammalati con attenzione e gratitudine: con affetto, con la cura materiale e spirituale. Supplichiamo Dio di concedere loro la salute, se è un bene per la loro anima; altrimenti, perché sappiano affrontare con gioia la malattia, gli acciacchi della vecchiaia, qualsiasi tipo di pena patiscano; ma sempre con la gioia soprannaturale di chi sta collaborando all’applicazione dei meriti redentori di Cristo.
In Croce, quindi, con fedeltà. In Croce, con gioia; il Signore non potrebbe gradire una dedizione senza gioia: hilarem enim datorem diligit Deus (2 Cor9, 7), Dio ama chi dona con gioia. Sulla Croce, in sereno riposo: perché noi non abbiamo paura della vita e non abbiamo paura della morte; non temiamo neppure Dio, che è nostro Padre [13]. Nello stesso tempo, con il profondo senso di umanità che lo caratterizzava, il nostro fondatore ripeté: Quando il dolore fisico può essere tolto, lo si toglie. Ci sono già abbastanza sofferenze nella vita! E quando non lo si può togliere, lo si offre [14].
Per comprendere questo atteggiamento così cristiano, dobbiamo inquadrare le cose con lo sguardo del Buon Pastore. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani (…). Penso alla fede salda di quelle madri ai piedi del letto del figlio malato che si afferrano ad un rosario anche se non sanno imbastire le frasi del Credo; o a tanta carica di speranza diffusa con una candela che si accende in un’umile dimora per chiedere aiuto a Maria, o in quegli sguardi di amore profondo a Cristo crocifisso [15].
Quando siamo malati, o in qualsiasi modo sofferenti, bisogna farlo presente a chi ci sta accanto, andare dal medico e accettare le sue indicazioni, per porre quanto prima i rimedi opportuni. Così si evita la psicosi da malato. Quante volte ho sentito dire da san Josemaría che, come nessuno è santo in questo mondo, così non c'è chi sia sempre sano! Tutti possiamo ammalarci, anche gravemente, e proprio questo deve spingerci ad abbandonarci fiduciosamente nel Signore e in chi può esserci di sostegno.
Figlie e figli miei, facciamo nostre con gratitudine queste raccomandazioni del nostro santo fondatore, perché fare le opere di Dio non è una bella frase: significa corrispondere all’invito di spendere la propria vita per Amore. Bisogna morire a se stessi per rinascere a vita nuova. Tale è l’obbedienza di Gesù, usque ad mortem, mortem autem crucis: propter quod et Deus exaltavit illum (Fil, 2, 8), e per questo Dio lo esaltò. Quando si obbedisce alla volontà di Dio, la Croce è Risurrezione, esaltazione. È così che si compie in noi, momento per momento, la vita di Cristo; è così che potremo dire serenamente di aver vissuto cercando di essere buoni Figli di Dio, di essere passati per questa terra facendo il bene, nonostante tutta la nostra miseria e gli errori personali, per quanto numerosi [16].
Non dimentichiamo di rivolgere il nostro sguardo all’esempio del carissimo beato Álvaro che seppe amare con gioia la salute e la malattia. Nel ricordarlo il giorno 15, anniversario della sua nomina come successore di san Josemaría, diciamogli che ci sostenga, tutte e tutti.
So che avete pregato per le vittime del terremoto in Italia e per quelle causate da tante altre calamità: facciamo crescere questa fraternità universale.
Fra tre giorni, in questo santuario mariano di Torreciudad, conferirò l’ordinazione sacerdotale a sei diaconi, Aggregati della Prelatura. Pregate per loro e per i sacerdoti del mondo intero, per il Papa e per i vescovi, perché lo Spirito Santo ci ricolmi tutti dei suoi doni e ci renda santi. Lo stesso giorno 4, ci uniremo alla gioia della Chiesa per la canonizzazione della beata Teresa di Calcutta, che tanto apprezzò l’Opera.
Con tutto il suo affetto, vi benedice
vostro Padre
Javier
Torreciudad, 1° settembre 2016.
©Praelatura Sanctae Crucis et Operis Dei
[1] Gv 12, 32.
[2] BENEDETTO XVI, Omelia, 14-IX-2008.
[3] SAN JOSEMARÍA, Lettera 31-V-1954, n. 30.
[4] PAPA FRANCESCO, Omelia a Santa Marta, 3-V-2016.
[5] Mt 8, 17; cfr. Is 53, 4.
[6] Mt 14, 14.
[7] Gv 5,- 6.
[8] Cfr. Lc 7, 11-15.
[9] Mt 15, 29-31.
[10] Gv 9, 3.
[11] At 5, 12-15.
[12] SAN JOSEMARÍA, Note di un incontro informale senza data (AGP, P01, XII-1981, p. 9).
[13] SAN JOSEMARÍA, Lettera 31-V-1954, n. 30.
[14] SAN JOSEMARÍA, Note di un incontro informale, 1-I-1969.
[15] PAPA FRANCESCO, Esort. apost. Evangelii gaudium, 24-XI-2013, n. 125.
[16] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 21.