L’Africa può crescere e progredire da sé

María Jesús Otero è una infermiera nata a Valladolid, in Spagna, è numeraria dell’Opus Dei e ha vissuto per nove anni in Kenya e per più di venti in Uganda.

María Jesús Otero, 29 anni di impegno per l'Africa.

Oggi María Jesús lavora nel suburbio di Kampala, dove ha avviato l’esercizio di un ambulatorio mobile con la collaborazione di un gruppo di universitarie del Teemba Study Center. L'ambulatorio riceve donazioni dall’industria farmaceutica e da altre imprese, riuscendo così a svolgere un programma di visite e cure per la gente della zona.

Questa intervista è stata fatta durante un viaggio nel suo Paese natale.

Perché ha deciso di fare l’infermiera?

Perché rientra fra le cose che desideravo fare sin da quando ero molto piccola: aiutare gli altri.

E l’Africa?

È stato un ulteriore frutto del desiderio di aiutare. In Africa vivono milioni di persone che hanno molti più bisogni di noi e assai meno comodità. In Kenya e in Uganda, in concreto, come in tanti Paesi del mondo, il messaggio di san Josemaría ha contribuito a vivificare cristianamente tutta la società. Per esempio, in Kenya, quando arrivarono le prime donne dell’Opus Dei – prima che il Kenya raggiungesse l’indipendenza -, c’era una forte discriminazione razziale e sembrava impensabile la creazione di un Centro in cui studiassero insieme persone di razze diverse.

Eppure il Fondatore convinse le persone che stavano in Kenya a superare questa mentalità dominante, e grazie alla sua tenacia e alla sua fiducia negli africani, cominciarono a nascere diverse iniziative multirazziali a carattere educativo e assistenziale. “C’è solo una razza – soleva dire -: la razza dei figli di Dio”.

In quale situazione si vive in questi Paesi?

In molti Paesi europei si ha una visione dell’Africa esclusivamente negativa, lontana dalla realtà. È chiaro che sono società del Terzo Mondo, con una pessima situazione economica. Mancano di molte cose e alcune necessità di base non possono essere soddisfatte. Ma ciò non significa che le persone si sentano frustrate perché non posseggono certe cose, che sembrano invece indispensabili a quelli che vivono nei Paesi occidentali.

In molti Paesi d’Occidente si attribuisce un valore esagerato al “possedere” e molti si considerano infelici se non hanno determinati beni o determinati oggetti. Gli africani si muovono in base ad altri valori: hanno imparato a essere felici con quello che hanno e, inoltre, sanno condividerlo con gli altri. Ciò non vuol dire che abbiano un atteggiamento passivo, o che non cerchino di raggiungere nuove mete o che non si sforzino di progredire.

Uganda

È importante che l’Occidente capisca che bisogna aiutare gli africani a crescere e progredire da sé. In Africa c’è molta gente preparata, capace di portare avanti grandi progetti, che merita di essere appoggiata.

In questo senso si adopera Harambee, un progetto di aiuto all’Africa nato in occasione della canonizzazione di san Josemaría da parte di Giovanni Paolo II. Harambee aiuta molte istituzioni e molti programmi del continente di carattere educativo, medico, assistenziale, ecc.,.

Lei che tipo di lavoro svolge in Uganda?

Porto avanti diversi progetti per la formazione delle donne africane. Recentemente abbiamo creato una Scuola Alberghiera, nella quale le donne africane vengono abilitate a lavorare nel settore alberghiero, un settore in espansione perché il Paese è in crescita economica e si stanno aprendo le porte al turismo.

E in Kenya?

Ho lavorato con bambine, adolescenti e donne giovani. Con loro ho avviato vari progetti di volontariato basati sull’assistenza medica in diverse borgate con ambulatori mobili. Le studentesse di Medicina si occupavano di quelli che avevano maggiori necessità e li aiutavano per ciò che potevano.

Qualche volta ha corso dei pericoli?

Quando sono arrivata in Uganda, nel 1986, il Paese era in pace. In quanto ai pericoli... spesso le televisioni occidentali offrono un’immagine molto deformata di quelle nazioni e trasmettono solo immagini di miseria e di violenza. Ma la violenza è presente dappertutto.

È evidente che in Africa la povertà c’è, ma gli africani stanno facendo passi avanti e i moderni ritrovati tecnici cominciano a far parte della loro vita, come il cellulare, la televisione – che è presente in quasi tutte le case -, ecc.

Arrivano aiuti dagli altri Paesi?

Sì. La Scuola Alberghiera ha avuto inizio grazie a un aiuto venuto dall’Austria. Siamo anche in contatto con alcune famiglie spagnole che aiutano con borse di studio le ragazze che frequentano le lezioni della scuola e i bambini orfani a causa dell’Aids, per dare loro la possibilità di frequentare la scuola secondaria.

L’Aids è sempre un grave problema. Che cosa si può fare in questo campo?

Il primo obiettivo è quello di cambiare le linee di comportamento. In Uganda stiamo portando avanti un programma di educazione sessuale chiamato ABC, conosciuto in tutto il mondo per i buoni risultati che ha ottenuto.

Incoraggerebbe a compiere una “esperienza africana”?

Certamente; e alle persone che non hanno la possibilità di compiere questa esperienza dico di aiutare l’Africa anche dall’Europa, da dove si può fare tanto.