Il segreto della gioia

Conchita Tomé proviene da Ciudad Rodrigo, località spagnola in provincia di Salamanca. Ci racconta la sua esperienza maturata nell’Opus Dei nel corso di trent’anni.

Qual è il segreto della tua gioia?

Un’amica giapponese e buddista mi bombardava sempre con le stesse domande. Mi diceva: “Perché sei sempre così allegra, così felice, così contenta? La vita ti sorride continuamente; non hai problemi, sofferenze o difficoltà?

Un giorno le ho risposto che mi sentivo una persona molto fortunata, perché la mia vita non dipendeva da circostanze esterne, che peraltro possono avere un certo peso su di me; ma è comunque piena perché so che si può trovare la gioia in mezzo al dolore, se lo considero in una dimensione diversa da quella puramente umana, grazie al significato che Dio gli dà.

La tua gioia ha un’origine remota?

Mia nonna, quando si accorse che ero tanto entusiasta , mi diceva: “Se sei cambiata tanto, dev’essere opera di Dio”.

Provengo da un paese nei pressi di Ciudad Rodrigo, alla frontiera con il Portogallo. Ho avuto un’infanzia felice e molto affetto dai miei genitori, che erano generosi e buoni cristiani. Per potersi sposare essi dovettero superare molte difficoltà e situazioni ardue; ecco perché mio padre mi disse: “Figlia mia, l’unica cosa che io voglio è che tu sia felice; io ti appoggerò sempre e non mi opporrò alle tue decisioni. Voglio solo che tu sia felice”.

Dopo, che strada hai percorso?

Ciudad Rodrigo

Avevo quindici anni quando sono andata a studiare a Madrid, con il desiderio di frequentare l’Università. Invece la mia vita ha avuto una svolta di 180° quando ho conosciuto un’amica della mia famiglia che era Numeraria Ausiliare dell’Opus Dei. Sono rimasta colpita dal suo livello umano e professionale, dalla sua allegria e dal servizio disinteressato che prestava agli altri.

In realtà mi trovo qui per motivi familiari: mio padre è morto repentinamente a sessant’anni senza essere stato mai malato, e mia madre, che è figlia unica, ha subito sei operazioni difficili e dolorose, e la sua salute non è più buona.

In seguito ho cominciato a frequentare l’ambiente di una amministrazione domestica di una Residenza Universitaria, finché ho deciso di restare ad abitarci e di imparare le attività proprie del lavoro di casa. Ho frequentato per cinque anni la Scuola Alberghiera e Turistica e, grazie all’esempio delle donne che ho conosciuto, che ha lasciato in me una traccia profonda, ho chiesto l’ammissione all’Opera.

Ora fai con piacere il lavoro di casa?

Credo che sia importante aggiungere a quanto ho detto finora che in vita mia non avevo mai lavato un piatto, né preso in mano un ago, né ero mai entrata in cucina con il desiderio di imparare. Tutte queste cose mi sembravano adatte a persone che non avevano mire intellettuali; io, invece, leggevo sempre e credevo di non aver tempo per le faccende domestiche. Come mi sbagliavo!

Come ha reagito la tua famiglia?

Mia nonna, per esempio, all’inizio non capiva la mia vocazione all’Opus Dei come Numeraria Ausiliare; però, quando si accorse che ero tanto entusiasta e appassionata nel preparare un piatto, nel sorprendere i commensali con un dessert o nell’arredare una sala da pranzo, mi diceva: “Se sei cambiata tanto, dev’essere opera di Dio”.

Sei soddisfatta della tua nuova occupazione?

Oggi posso dire che è stato molto gratificante aver lavorato in diverse residenze universitarie, aver formato per anni molte alunne delle scuole alberghiere, mettendole anche in condizione di insegnare ad altre. Erano ragazze che venivano da tutta la Spagna e ho potuto imparare molto da loro, mentre ci divertivamo con numerosi eventi sportivi e culturali, con gite, gare, ecc...

E ora sei ritornata dalle tue parti?

"Questa situazione, che per molti sarebbe un dramma, per me è un’occasione per essere felice e non la cambierei per nient’altro al mondo".

Io avevo sempre sognato di fare grandi viaggi all’estero, cominciare il lavoro apostolico in altri paesi, dare un aiuto dove più fosse necessario, e alla fine sono “atterrata” a Salamanca.

In realtà mi trovo qui per motivi familiari: mio padre è morto repentinamente a sessant’anni senza essere stato mai malato, e mia madre, che è figlia unica, ha subito sei operazioni difficili e dolorose, e la sua salute non è più buona. Inoltre ho due fratelli malati e mia nonna, che ci ha sempre guidati e aiutati, è pressoché invalida.

Non avevi sognato di viaggiare?

Certamente. Però ora credo che Dio voglia che io faccia l’Opus Dei proprio qui e perciò, quando arriva il freddo inverno, penso molto alle persone dell’Opus Dei che stanno in Russia, nei Paesi del nord, nel Kazakistan..., dove c’è molto più freddo. Lo stesso mi succede quando nella Piazza Grande di questa città incontro tanti studenti di tutte le razze e nazionalità, e prego per loro, per le loro famiglie e per il loro Paese.

Veduta di Salamanca

La tua non potrebbe sembrare un vita piuttosto insignificante?

Questa situazione, che per molti sarebbe un dramma, per me è un’occasione per essere felice e non la cambierei per nient’altro al mondo. Nei fine settimana mi occupo della mia famiglia, cerco di portare loro un raggio di luce e di speranza con il mio sorriso, e loro sono molto contenti e orgogliosi di me e della mia vita.

Ho imparato da san Josemaría a vedere la mano amorevole di Dio dietro ogni situazione. Convivere con il dolore e la malattia mi ha fatto diventare più paziente e più comprensiva, mi ha dotato di maggiore sensibilità verso gli altri, di uno spirito sportivo e di buon umore da trasmettere agli altri per aiutarli.

Le mie amiche universitarie, le padrone di casa, il conducente dell’autobus, le mie amiche immigrate..., tutti dicono che fa piacere vedermi sempre contenta, e i più non sanno il perché. Io invece so che questa forza mi viene da Dio e da tutti quelli che pregano per me.