Il primato della preghiera sull’azione

"È necessario parlare con Dio". Questo è il titolo dell'articolo di Ferdinando Cancelli su "L'Osservatore Romano" del 16 novembre, che offriamo qui di seguito.

«Massimamente utili nella Chiesa di Gesù non sono i cosiddetti uomini pratici e neanche i puri banditori di teorie, bensì i veri contemplativi» scriveva sull’Osservatore Romano nel 1985 nei giorni del decimo anniversario del transito di San Josemaría Escrivá il suo primo successore, monsignor   Álvaro del Portillo. Il tema della contemplazione, di quella «frequentazione» con Dio che secondo San Josemaría porta a «conoscerlo e a conoscersi» è stato centrale anche in una recentissima omelia di monsignor Javier Echevarría, terzo prelato dell’Opus Dei, pronunciata sabato 5 novembre nella basilica di sant’Eugenio a Roma in occasione dell’ordinazione diaconale di 35 futuri sacerdoti.

Mi è molto cara un’immagine che ritrae i tre prelati insieme sulla soglia della piccola chiesa di san Dunstan a Canterbury nell’estate del 1958: lo sguardo intenso di San Josemaria, al centro, esprime bene la sua tempra ma anche don Álvaro e don Javier ci guardano diritto negli occhi e sembrano quasi anticipare quello che, in grande comunione con Benedetto XVI, ci dicono ad una sola voce oggi: è necessario parlare con Dio. «Ma di che cosa? - si chiedeva San Josemaría citato nell’omelia per i diaconi da monsignor Echevarría - Di che cosa? Di Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazioni quotidiane, debolezze!» 

Chi sperimenta nella preghiera come Dio «è presente e agisce nel mondo e nella nostra vita», per usare alcune parole di Benedetto XVI, si troverà meravigliato dagli effetti che ne derivano: «saremo più sereni e contenti» - ha detto monsignor Echevarría - «saremo più attenti al servizio degli altri» e «eseguiremo meglio il nostro lavoro». Quest’ultimo aspetto, quello del «miglioramento della qualità tecnica del lavoro stesso» derivante dalla «presenza di Dio nell’ambito lavorativo», come evidenziava già nel 1985 monsignor del Portillo, sembra pienamente da riscoprire anche tra coloro che si dichiarano credenti.

I tre prelati sembrano suggerire di provare ad innescare un circolo virtuoso: lavorare sempre alla presenza di Dio aiuta a bandire «ogni pressapochismo, ogni leggerezza, qualsiasi trascuratezza o dilettantismo» e a trasformare il lavoro in un «servizio vivo e concreto al Corpo vivente di Cristo», quasi un’opera da contemplare per riandare, purificati, ancora a Dio e ai fratelli. «La contemplazione - continuava monsignor del Portillo - modifica l’azione ogniqualvolta questa non fosse all’altezza della dignità personale o di quella superiore dei figli di Dio» e tende a renderla perfetta, si tratti di un lavoro manuale ripetitivo o di una prestazione intellettuale raffinata; infatti «serve solo lo strumento che, per quanto modestissimo, sa rendersi adatto allo scopo».

Sarebbe un errore grossolano, ancor più nel nostro momento storico, trascurare questo insegnamento. Di fronte a un’attivismo forsennato e disumano perchè lontano da Dio, la vera proposta cristiana è sempre stata sconvolgente: il primato dell’orazione sull’azione.

Madre Teresa di Calcutta ci fornisce la chiave per capire meglio questo primato: tutto ciò che ha fatto «nel bel mezzo della strada», come direbbe San Josemaría, aveva un motore segreto, acceso e silenziosamente rombante nel cuore della notte: la preghiera di fronte al suo Gesù eucaristia. Chissà che anche la nostra notte, se impiegata così, non porti all’alba di un giorno davvero nuovo e forse inatteso. 

 

    Ferdinando Cancelli // L' Osservatore Romano