I Cattolici e la vita politica

Alla Pontificia Università della Santa Croce ha avuto luogo una tavola rotonda sui cattolici e la vita politica. All'atto sono intervenuti il cardinal Ratzinger, l'ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga e vari intellettuali.

Lo scorso 9 aprile si è svolta nell’Aula Höffner della Pontificia Università della Santa Croce una tavola rotonda su “L'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” a proposito della Nota dottrinale dallo stesso titolo pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 16 gennaio 2003 (www.vatican.va).

Per riflettere sul contenuto di quella Nota si sono riuniti il cardinale Joseph Ratzinger (Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 1981) e diversi politici e intellettuali come Francesco Cossiga, Giuseppe De Rita, Ernesto Galli della Loggia, Paolo Del Debbio e Ángel Rodríguez Luño.

L’atto è iniziato con un saluto del gran cancelliere dell’Università, monsignor Javier Echevarría, chi si è riferito alla politica come ad un cammino possibile di santità, come ha dimostrato l’esempio di san Tommaso Moro, patrono dei governanti e dei politici.

L’autonomia dei cattolici nella vita politica

“Il documento parla direttamente ai cattolici ma vuole fare pensare tutti, senza imporre niente”, ha esordito così il cardinale Joseph Ratzinger . Per il porporato bavarese “la politica appartiene alla sfera della ragione, che è ragione naturale e ragione comune a tutti”.

“Uno Stato laico - ha sottolineato - esclude la teocrazia e l'idea di una politica dettata dalla fede: la fede può illuminare la politica, ma non si può trasferire il campo politico dalla ragione alla fede”. La politica “va guidata dalla ragione e dalle virtù naturali della prudenza, la temperanza, la giustizia e la fortezza”.

Per il cardinale, l’impegno attivo dei cattolici in politica richiede di evitare due pericoli: sia “la ’teologizzazione’ della politica” che “’l’ideologizzazione’ della religione”. Questa distinzione delle due sfere - ha spiegato - è essenziale, appartiene da sempre alla tradizione del cristianesimo, e si ritrova già nelle parole di Cristo quando indica di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare.

“La giusta profanità o laicità della politica esclude l’idea di una teocrazia, di una politica determinata dal dettato della fede”, ma esclude anche “un positivismo ed un empirismo che mutila la ragione” ed “acceca i valori morali”.

“La mutilazione della ragione distrugge la politica, riducendola a un’azione puramente tecnica”, ha constatato il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, a sostegno del fatto che la politica fa parte della sfera della ragione comune, che permette di “conoscere i grandi valori che determinano le nostre scelte prudenziali”. Se invece dominano soltanto i criteri empirici e materialistici, la politica diventa “semplice strumento condizionato dal più forte”, dove viene esclusa la morale.

La fede, da parte sua, può “sanare una ragione ammalata”, ha riconosciuto Ratzinger, dato che “c’è un certo legame fra fede e ragione”. La fede “può illuminare la ragione ma non la sostituisce; non la aliena, ma l’aiuta a essere se stessa”.

“Nel frattempo - ha detto Ratzinger - i politici credenti possono illuminare la discussione politica con il loro atteggiamento, testimoniando la fede come presenza reale, contribuendo in questo modo con la ragione nel governo di ogni atto politico”. E ha concluso ricordando che “gli imperativi morali che ha il politico cattolico sono valori da difendere sempre, perfino quando la maggioranza sia contraria ad essi”.

Coerenza e libertà

L’ex presidente della Repubblica italiana e senatore a vita Francesco Cossiga ha affermato che “questo documento chiarisce alcune proposizioni che dovrebbero essere molto precise non solo in un cattolico o in un cristiano, ma anche in un democratico”. Fra queste, l’impossibilità di ritenere che “la politica si debba collocare al di fuori dell’etica”, come se fosse soltanto un “impegno tecnico”.

Cossiga ha descritto due tipi di conoscenza: secondo la fede e secondo la ragione; esse però “non sono due verità” ma “due approcci per conoscere le regole morali”. E ha aggiunto: “Poiché la politica si rivolge a tutti gli uomini, è bene che i cattolici tengano conto dei diversi tipi di libertà che questa vuole assicurare”. Per l’ex presidente la laicità della politica sta, dunque, nel rispetto delle altrui libertà e non nel rendere “laica” la propria fede.

Anche per monsignor Ángel Rodríguez Luño , ordinario di Teologia morale nella Pontificia Università della Santa Croce, la fede cristiana non si identifica né contiene alcuna sintesi politica concreta, ma è al tempo stesso “ricca di conseguenze per l’attività politica” giacché “la fede informa, conferma, aggiunge o modifica le diverse culture politiche di quanti la accolgono”.

D’altra parte, “la storia dimostra che la fede talvolta è stata pure innovativa e creativa in ambito sociale e politico”. La connessione fra la sfera politica e la sfera religiosa “non può fondare confusione alcuna fra la società politica e la comunità religiosa”. Per Rordíguez Luño, “il luogo privilegiato in cui la connessione tra le verità religiose e l’attività politica lascia sentire tutto il suo peso è la coscienza di quanti sono al tempo stesso e inseparabilmente cittadini dello stato e fedeli della Chiesa”.

Ciò che viene chiesto ai cittadini cattolici “è che la loro attività sociale e politica sia coerente con i valori che sono contenuto essenziale della coscienza cristiana”. Questi non sono valori propriamente confessionali - ha spiegato - “ma valori etico-politici propri di ogni società umana ben ordinata quali il rispetto e la promozione della vita, della libertà, della giustizia, della dimensione religiosa dell’esistenza umana, della solidarietà, della pace e, in generale, il primato del bene comune sugli interessi e le strumentalizzazioni di parte”.

I due concetti essenziali della Nota sono dunque, per Rodríguez Luño, “coerenza e libertà”. Mentre il ruolo principale della Chiesa, secondo il professore, sarebbe quello di “formare le coscienze” piuttosto che “creare una cultura”, in modo che siano le persone ben formate quelle “in grado di esprimere una cultura in un contesto di legittima pluralità”.

C’è bisogno di grandi valori più che di leggi formali

Il professore Giuseppe De Rita , Segretario generale della Fondazione CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali), ha sottolineato la contrapposizione che offre la Nota fra “una condanna giusta del relativismo culturale e il pluralismo etico, da una parte, e d’altra parte l’affermazione positiva della centralità della persona, perché la partecipazione democratica si rende possibile solo nella misura in cui trova alla base una retta concezione della persona”. In questo senso, ha affermato, “ogni democrazia sarebbe fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona”.

Ai grandi valori si è riferito pure Ernesto Galli della Loggia , editorialista del “Corriere della Sera” e professore ordinario di storia dei partiti e dei movimenti politici all’Università di Perugia. Galli della Loggia ha affermato che la Nota vaticana “colpisce uno dei problemi centrali della condizione delle società liberali attuali”, e cioè “la mancanza di grandi valori condivisi”. Non bastano - ha aggiunto - “le leggi formali o i vari apparati amministrativi economici e politici a far funzionare una società che invece ha bisogno di valori condivisi”.

Il dibattito è stato chiuso dal professore Paolo Del Debbio , docente di Etica sociale e della comunicazione, e autore di un recente libro sulla globalizzazione (“Global”, Mondadori 2003). Secondo Del Debbio il cattolico impegnato in politica dovrebbe evitare il dibattito vago sui valori, sul “cosa fare in generale”, e dedicarsi, invece, a “indicare alcune strade molto precise e non universaliste sul come si fanno queste cose”.