Fede e lavoro: la sfida dei laici

Articolo di Agostino Giovagnoli pubblicato su "La Repubblica" il 28 giugno 2005.

Laicità è diventata una parola chiave nel dibattito di questi giorni, dopo il referendum del 12 giugno. Consolidate certezze sono state messe in discussione e non è più così sicuro che tale valore sia ancora accettato dai più, come sembrava fino a pochi anni fa. Stentiamo, in particolare, a capire se la laicità, affermatasi per garantire la convivenza tra diversi mentre erano in atto scontri dirompenti fra verità forti e ideologie titaniche, sia adeguata anche allo scontro tra relativismo e fondamentalismo che sembra incombere sull'epoca in cui viviamo.

La questione non è di poco conto: la laicità, infatti, è servita a lungo anche per definire la collocazione della Chiesa cattolica nella società contemporanea. Tra XIX e il XX secolo, l'istituzione ecclesiastica si è trovata davanti alle sfide del laicismo e dell'anticlericalismo, della scristianizzazione e della secolarizzazione, ed è toccato principalmente ai laici cattolici cercare nuove vie per la Chiesa nella società contemporanea. Oltre all'Azione cattolica, si sono sviluppati terzi ordini (ispirati a Francescani, Domenicani, Gesuiti e altri ordini religiosi), istituti secolari (come quello della Regalità di Cristo fondato da padre Gemelli e i Milites Christi di Giuseppe Lazzati), movimenti ecclesiali (come Focolarini e Comunione e Liberazione), esperienze ancora più recenti come i Neocatecumenali. E anche l'Opus Dei rientra, a suo modo, nella lunga strada del cattolicesimo verso il confronto con la laicità.

Il percorso dei cattolici verso tale confronto ha conosciuto fasi diverse. L'Opus Dei è stata fondata nell'epoca fra le due guerre, mentre si stava affermando in Europa la società di massa, in più casi all'interno di regimi autoritari, come in Italia e in Spagna. Il ruolo accresciuto delle masse sollecitava la formazione di nuove élite capaci di guidarle, come cercò di fare padre Gemelli, fondatore non solo dell'Università Cattolica ma anche del primo istituito secolare pensato per dare "identità spirituale " a queste élite. Se, infatti, i laici cattolici si impegnavano sempre di più nella società contemporanea e la loro vita era sempre più simile a quella di chiunque altro, in che cosa si sostanziava la loro specificità?

Il terreno spirituale è stato ed è decisivo anche per l'Opus Dei, secondo l'intuizione del suo fondatore che mise a fuoco la centralità del rapporto tra fede e lavoro, molto sentita anche da altri, come i membri del Movimento Laureati Cattolici, un ramo dell'Azione Cattolica fondato in Italia negli stessi anni. L'Opus Dei, però, si è posta obiettivi diversi da quelli perseguiti in Italia da padre Gemelli o dai Laureati Cattolici, senza proiettare i propri membri verso un ruolo pubblico di guida delle masse. Caduto il fascismo, i cattolici italiani che si erano formati negli anni Trenta diventarono dirigenti della Democrazia Cristiana, verso cui Escrivá nutrì perplessità. È un atteggiamento rivelatore per comprendere il rapporto fra l'Opus Dei e la politica: il suo fondatore non condivideva infatti il principio del l'unità politica dei cattolici, a parte casi di estrema necessità e, su questo piano, auspicava un pluralismo di scelte.

Negli ultimi anni del franchismo, alcuni membri dell'Opera entrarono nei governi di Franco, per lo più come ministri tecnici, ma altri si schierarono dalla parte dell'opposizione. La politica, infatti, non era al centro del progetto di Escrivá e l'obiettivo principale dell'Opera è diverso: far vivere ai propri membri la spiritualità indicata dal fondatore e diffonderla il più possibile. Sotto il profilo delle ricadute sociali, tale spiritualità non alimenta anzitutto l'impegno politico, ma la serietà nel lavoro, la capacità professionale, la preparazione culturale, la competenza scientifica, l'abilita tecnica.

Indubbiamente, la spiritualità influenza la mentalità, le idee, i giudizi e quindi, indirettamente, anche la politica, come sta accadendo nello scontro in atto in Spagna fra il governo Zapatero e molti cattolici mossi dalle loro convinzioni. Ma non c'è necessariamente un nesso meccanico fra "intransigenza" spirituale e intransigentismo politico ed è significativo che nelle manifestazioni di piazza di questi giorni, contro il governo spagnolo, ci siano stati in prima fila vari vescovi ma non dirigenti dell'Opus Dei, malgrado l'ampia diffusione di questa nella Spagna di oggi.

Se si vuole indagare il "segreto" dell'Opus Dei e, dunque, alla sua spiritualità che si deve anzitutto guardare. Vari interrogativi sono stati sollevati a questo proposito, dal ruolo assegnato all'autorità nella guida delle coscienze allo spazio riservato alla Bibbia, secondo alcuni non così centrale come in altre esperienze del cattolicesimo contemporaneo, soprattutto post-conciliari. In un certo senso, inoltre, si trovano qui le radici di una riservatezza che ha alimentato il sospetto intorno a questa realtà: i membri dell'Opera sono "gelosi" della loro identità spirituale e tale gelosia si è estesa, soprattutto nella fase iniziale, anche ai loro statuti e alla loro organizzazione. Tutto ciò ha provocato perplessità, tra cui quelle della curia di Paolo VI diversamente da quanto è accaduto poi con Giovanni Paolo II ma resta il fatto che l'Opus Dei appartiene alla storia del cattolicesimo nel Novecento, che ha cercato di misurarsi con la dimensione della laicità sul cui futuro pesano oggi nuove incertezze.

Agostino Giovagnoli // La Repubblica