Essere utili al momento opportuno

Da alcuni anni, Anita ha una piccola missione: portare regolarmente libri ai pazienti ricoverati presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma. Un’iniziativa che permette di prendersi cura dello spirito dei pazienti oltre la loro malattia.

Come fare, senza essere un medico o un infermiere, a dare una mano a un persona ricoverata in ospedale, magari per una malattia grave? Dopo tutto lì c’è tutto il necessario per curarla: un’intera struttura dotata di personale specializzato, farmaci, stanze, macchinari... Eppure se, da una parte, tutto ciò è assolutamente fondamentale, questa consapevolezza non è sufficiente, da sola, a migliorare la qualità del tempo del ricovero.

Per alcuni la degenza dura solo pochi giorni, ma per altri può durare molto di più. Non solo, se qualcuno ha la prospettiva di una pronta guarigione, altri, invece, non possono darla altrettanto per scontata.

Ma, indipendentemente dal tipo di ricovero, le necessità di ognuna di queste persone rimangono le stesse: al di là delle opportune cure che ognuno di loro riceve, le giornate in reparto sono lunghe e sono in molti ad avere bisogno di compagnia o di un momento di svago per spezzare la routine.

Anita una volta a settimana fa il giro dei diversi reparti cercando di fare un po’ di compagnia ai pazienti.

Anita, ha 76 anni, da 4 volontaria presso il Policlinico Universitario del Campus Bio-Medico di Roma, e ha scelto di impegnarsi personalmente proprio con questo scopo. Portando con sé un carrellino rosso dotato di scaffali, che ha chiamato carrello rossolacca, una volta a settimana fa il giro dei diversi reparti cercando di fare un po’ di compagnia ai pazienti.

Raramente, però, esce da una stanza di qualcuno avendo semplicemente prestato un libro. I pazienti, infatti, hanno spesso voglia di scambiare due parole o, a volte, hanno bisogno di qualche piccola commissione che Anita si impegna ad eseguire per loro conto.

Spesso si tratta di comprare il giornale per chi lo desidera o di un aiuto a mangiare per qualcuno ha difficoltà a muoversi autonomamente. In cambio di queste piccole cose, Anita riceve sorrisi, abbracci parole amiche e qualche volta anche dei dolci!

Da una chiacchierata informale, poi, si può passare a una conversazione su qualche tema esistenziale, suscitata dalle confidenze di un paziente.

Anita è una numeraria dell’Opus Dei e succede a volte che le venga chiesto di raccontare qualcosa sulla storia dell’Università Campus Bio-Medico.

Non è raro, poi, che le confidenze tocchino il tema della fede. È in occasioni come queste che Anita si ritrova a pregare insieme alle persone o semplicemente a condividere con loro esperienze personali. Occasioni che contribuiscono a creare vere e proprie amicizie, legami che durano nel tempo e arricchiscono grandemente questa esperienza di volontariato.

Anita è una numeraria dell’Opus Dei e succede a volte che le venga chiesto di raccontare qualcosa sul beato Álvaro del Portillo, san Josemaría o sulla storia dell’Università Campus Bio-Medico.

Si riesce, così, il più delle volte, a stabilire una connessione senza neanche il bisogno di parlare.

Ma non sempre si può dare sollievo con un libro, capita, infatti, che Anita si trovi insieme a pazienti spaventati per un intervento o a parenti di pazienti che attendono con ansia che il proprio caro esca dalla sala operatoria. In quei casi, rispetto al libro, sono più opportuni un sorriso, o un gesto per far capire che si è a disposizione per parlare o ricevere confidenze. Si riesce, così, il più delle volte, a stabilire una connessione senza neanche il bisogno di parlare.

Molte delle storie con cui è entrata in contatto, Anita ha deciso di raccoglierle e pubblicarle in due libricini dal titolo Il carrello rossolacca e Il carrello rossolacca. I volontari aumentano per poter condividere con altri la propria esperienza e testimonianza. Ne porta sempre qualche copia con sé durante il giro dei reparti, in modo da poterla regalare ai pazienti.

Riportiamo di seguito un piccolo estratto da Il carrello rossolacca. I volontari aumentano:

«Lei l’ha mandata Gesù», così mi accoglie una persona, che ha avuto un intervento chirurgico il giorno prima. Guarda la croce che è appesa di fronte al suo letto «sì proprio Lui». Mi spiega che non può mangiare perché le duole la gamba e non si può muovere.

Desidera che l’aiuti. Sono contenta di farlo perché non posso proseguire nel mio servizio, inoltre è giovedì della Settimana Santa e voglio rimanere per le funzioni che si svolgeranno nella Cappella del Policlinico.

Accosto il vassoio. Scopriamo i piatti. Lei vede che nel piatto fondo c’è il semolino. Sente un certo rifiuto. Iniziamo a parlare. Ascolto la storia della sua famiglia, il racconto di un grave dispiacere subito anni fa. il dolore di non vedere nessun familiare nel pomeriggio e tante altre notizie. Nel frattempo giro il semolino, svuoto la bustina di parmigiano, dò una mescolatina e le metto il cucchiaio in mano.

Ho inclinato il letto in avanti. Inforca gli occhiali e inizia ad assaggiare il semolino. Le piace. Segue con altri racconti, mi parla delle sue devozioni, mi chiede se ho un rosario da prestarle perché non l’ha portato da casa.

Fra il primo, quasi terminato, e il secondo le faccio vedere quello che porto nel taschino del gilet. L’ho avuto in regalo da una malata che lo confeziona con l’uncinetto. Color rosa. Dove ha ricamato la croce ha messo una perla. Chi lo riceve si deve impegnare a dire una Ave Maria per lei. La signora lo riceve con tanta gratitudine.

Poi mi chiede se posso procurarne uno normale. Farò il possibile. Per secondo carne e zucchine al forno. Inizio a fare i bocconcini di carne, tolgo il grassetto dei bordi, lascio che sia lei a portarli alla bocca. Si sente meglio. Dice che in compagnia le passa anche un po’ di dolore alla gamba e le viene appetito. Terminato il pranzo chiede di rimettere tutto a posto.

Si pulisce le mani con le sue salviette rinfrescanti. Mi guarda con occhi furbi. È molto disinvolta nel dialogo. Nasce una simpatia reciproca, finiamo per darci del tu. Chiede di andare a comperarle l’acqua. Vado e torno. Si continua a conversare. È molto contenta del suo matrimonio e del marito.

Si scioglie in dettagli veramente simpatici: l’uno verso l’altra hanno tante premure. È riuscita a trovare un lavoro per ogni figlio. Adesso vuole solo guarire, con l’aiuto della fisioterapia. Mi invita a casa sua. Penso che accetterò perché dobbiamo continuare a farci due risate.