Divino e quotidiano

“OGGI è il grande giorno di Josemaría Escrivá e della sua fondazione, l’Opus Dei, avviata in sordina 73 anni fa, forte ormai di 85.000 membri presenti in ogni parte del mondo. La sua canonizzazione, a soli 27 anni dalla morte, consacra in qualche modo anche la sua «opera».” Articolo di Leonardo Zega uscito su La Stampa il 6 ottobre 2002.

Ma che santo è Escrivá? Uno dei suoi più prestigiosi figli spirituali, Joaquín Navarro-Valls, direttore della Sala stampa vaticana, ha detto: «Josemaría Escrivá ci ha insegnato a incontrare quel “qualcosa di divino” che si trova nella vita di tutti i giorni. Non una vita straordinaria, ma la vita quotidiana, in cui lo straordinario è cercare Dio con tenacia».

In sintesi, Escrivá ha insegnato che tutti possono diventare santi e ciascuno a modo suo: ha praticato la «normalità cristiana» fino all’eroismo. Sta qui il nocciolo duro dell’uomo e della sua opera, ancor oggi segno di contraddizione, anche all’interno della Chiesa, a cominciare da quella spagnola.

In un primo tempo era parso che la canonizzazione dell’aristocratico prete spagnolo, che non disdegnava di esibire i gemelli d’oro ai polsini della sua candida camicia, potesse essere abbinata a quella di Padre Pio, l’umile frate segnato dalle stimmate. Poi si decise di tenere distinte le due cerimonie, anche per ragioni logistiche, visto che ambedue avrebbero richiamato a Roma turbe di fedeli.

È la diversità a rendere sapido il confronto, per capire ciò che li unisce più che per marcare ciò che li divide. Evidenti le differenze: uno popolare, l’altro elitario; uno mistico, lontano da ogni interesse terreno, l’altro invischiato con le cose del mondo fino ad essere accusato di complicità e connivenze politico-finanziarie; uno santo a furor di popolo, l’altro trascinato in alto dalla potente macchina organizzativa messa in moto dai suoi fedelissimi.

Le somiglianze invece bisogna andarle a cercare nella biografia interiore dei due personaggi, a partire dalla determinazione di fare della loro vita un dono totale a Dio e al prossimo. Verrebbe da dire: uno da pregare, l’altro da imitare; uno per intercedere, l’altro per pungolare. A far piazza pulita delle apparenti antinomie ha provveduto del resto Giovanni Paolo II che ha voluto apporre il suo sigillo sulla santità di entrambi.

La santità è dunque così malleabile da adattarsi, senza subire alterazioni sostanziali, a caratteri, temperamenti, situazioni di vita tanto diverse? Lo è, e il Vaticano II lo ha solennemente ribadito nel solco del Vangelo. Di suo, Escrivá ha dimostrato che il radicalismo evangelico può essere associato alla sencillez (semplicità) e allanormalidad. Un santo è un cristiano normale. Difficile è far sì che i cristiani normali siano santi.

Leonardo Zega // La Stampa