Anima sacerdotale

Nell’Anno sacerdotale convocato dal Papa in occasione del 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney, abbiamo intensificato la nostra preghiera per i sacerdoti e considerato una realtà essenziale per la nostra vita: tutti, sacerdoti e laici, abbiamo anima sacerdotale.

L'ordine sacro è al servizio del sacerdozio comune.

Se agisci- vivi e lavori – al cospetto di Dio, per ragioni d’amore e di servizio, con anima sacerdotale, anche se non sei sacerdote, tutto il tuo agire acquista un genuino senso soprannaturale, che mantiene tutta la tua vita unita alla fonte di tutte le grazie[1]. Con le parole “anima sacerdotale” san Josemaría Escrivá esprime una realtà essenziale dell’essere cristiano e della sua esistenza: attraverso il santo battesimo, il cristiano è configurato a Cristo e riceve il sacerdozio comune, partecipazione dell’unico sacerdozio di Gesù Cristo.

L’anima sacerdotale – come indica san Josemaría – si manifesta nel desiderio di operare con visione soprannaturale e per amore, con ambizione di servire. L’aggettivo “sacerdotale” esprime quale dev’essere i nostro atteggiamento di vita: offrire sacrifici a Dio in suo onore e per il bene dei nostri simili, poiché l’amore è vita dell’anima.

“Anima sacerdotale” significa avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, sommo ed eterno Sacerdote: zelo per le anime; un desiderio ardente di unire tutte le azioni al Sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo.

Grazie al sacerdozio ministeriale, i sacerdoti sono configurati a Cristo e agiscono nei sacramenti – in modo eminente, nella celebrazione dell’Eucaristia – in persona Christi capitis Ecclesiae, nella persona di Cristo capo della Chiesa: in nome di Cristo e della sua Chiesa. L’ordine sacro è al servizio del sacerdozio comune. Quest’ultimo, essenzialmente distinto dal sacerdozio ministeriale [2], permette che ogni cristiano offra se stesso e tutta la sua vita in sacrificio spirituale [3], unendosi al sacrificio della croce attualizzato nel mistero eucaristico.

Il cristiano sa di essere inserito in Cristo mediante il Battesimo; reso idoneo a lottare per Cristo mediante la Cresima; chiamato a operare nel mondo mediante la partecipazione alla funzione regale, profetica e sacerdotale di Cristo [4]; si sa chiamato a servire Dio attraverso il proprio agire nel mondo in virtù del sacerdozio comune dei fedeli, che conferisce una certa partecipazione al sacerdozio di Cristo, la quale, pur essendo essenzialmente diversa da quella del sacerdozio ministeriale, rende idonei a prendere parte al culto della Chiesa e ad aiutare gli uomini nel loro cammino verso Dio, con la testimonianza ella parola e dell’esempio, con l’orazione e l’espiazione [5].

AVERE GLI STESSI SENTIMENTI DI CRISTO GESÙ

Come spiegò in diverse occasioni il Servo di Dio Álvaro del Portillo, commentando gli insegnamenti di san Josemaría, “anima sacerdotale” significa avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù [6], sommo ed eterno Sacerdote: zelo per le anime; un desiderio ardente di unire tutte le azioni al Sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo; cercare la mortificazione e la penitenza, sapendo che avere la Croce, è avere la gioia: è avere Te, Signore! [7]. L’anima sacerdotale porta alla donazione generosa, allo zelo che è l’intensità nell’amore autentico, al non dire mai basta alle richieste di Dio.

L’anima sacerdotale si manifesta nel desiderio di operare con visione soprannaturale e per amore, con ambizione di servire.

Hoc sentite in vobis, quod et in Cristo Iesu: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù [8]. Queste parole, che forse recitarono i primi cristiani e san Paolo riprese, fanno parte dell’inno di lode all’umiliazione di Cristo, che ci ha ottenuto la redenzione. Quando l’Apostolo invita i Filippesi ad avere gli stessi sentimenti di Cristo, si riferisce al loro modo di pensare, di meditare, di proiettarsi verso il futuro.

Nel Vangelo di san Marco troviamo la stessa espressione che usa san Paolo per parlare dei sentimenti di Cristo. Verso Gerusalemme, Gesù annunciava ai suoi discepoli che doveva soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani e dai principi dei sacerdoti e dagli scribi, essere condannato a morte e risuscitare dopo tre giorni.

L’Evangelista aggiunge che Pietro, prendendolo in disparte, lo rimproverava. Allora Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rivolse a Pietro queste dure parole: allontanati da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini [9]. Avere i sentimenti di Gesù, sentire le cose di Dio, è accettare il mistero della Croce e partecipare a questo mistero.

Gesù Cristo, sacerdote eterno, offre se stesso per amore al Padre suo per la nostra salvezza. Cristo ci dà il più grande esempio di che cosa sia un’anima sacerdotale, tutta orientata a compiere la volontà di suo Padre. avere i sentimenti di Gesù significa aspirare a ciò che desidera, condividere la sua via, le sue intenzioni. Grazie alla vita sacramentale, partecipiamo alla croce e alla risurrezione del Signore, la nostra vita si trasforma, perché arriviamo all’unione con Dio e siamo protagonisti della Nuova Evangelizzazione[10].

Oltre alla dimensione di futuro che porta con sé questo avere gli stessi sentimenti di Gesù, c’è una dimensione di comunione. Ognuno nella Chiesa condivide con gli altri battezzati quello che Cristo ha nel cuore. Nella Lettera ai Filippesi l’inno all’umiliazione di Cristo invita all’unità con Lui, condizione necessaria per condividere le sue intenzioni, per amare come Lui ama e ciò che Lui ama. Questo orientamento di fondo del battezzato è possibile, perché fa parte del Corpo di Cristo.

L’anima sacerdotale è l’anima che si dona davvero agli altri in Dio.

IL CUORE, VICINO AL SIGNORE

L’Anno sacerdotale iniziò nella solennità del Sacro Cuore di Gesù. Il Santo Curato d’Ars diceva che “il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù” [11]. Si potrebbe applicare questa espressione all’anima sacerdotale. Se si ama il Signore, si condividono i suoi sentimenti, gli aneliti del suo cuore, il suo zelo per le anime, il desiderio che molti cuori battano all’unisono col cuore di Cristo. Non si tratta di qualcosa di esteriore, ma di amore autentico.

La fedeltà di Gesù Cristo che compie la sua missione salvatrice richiede la nostra risposte di fedeltà: il nome dell’amore nel tempo è “fedeltà”. Gesù dà testimonianza dell’amore irreversibile di Dio Padre, che aspetta la nostra libera donazione personale.

Ci serve valentia, una virtù particolarmente necessaria oggi, per vedere e amare la Volontà di Dio, lasciarci condurre dal peso del suo Amore, che non è altro che la sua gloria la nostra vera vita in Lui.

L’Antica legge prescriveva determinate pratiche che indicavano la purezza necessaria per avvicinarsi a Dio [12]; la tradizione giudaica le estese ad altri ambiti, per esempio ai cibi, per dare una dimensione religiosa a tutte le azioni. Nel Vangelo vediamo i farisei gelosi delle cose di Dio. Probabilmente molti di loro non si stancavano di rispondere di “sì” a Dio, di non dire mai “basta”: desideravano compiere la volontà divina. Gesù confermò la sua “abitudine di rivolgersi a Dio come Padre, la centralità del comandamento dell’amore di Dio e del prossimo (cfr. Mc 12, 28-34)” [13].

Però, l’atteggiamento dei farisei non era sempre retto. Così, per esempio, un giorno alcuni domandarono a Gesù: Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde? [14]. La purezza esteriore sarebbe dovuta essere dimostrazione di quella interiore. Ai tempi di Cristo, però, il legalismo delle norme rituali stabilite dalla tradizione umana aveva soffocato il vero senso del culto a Dio.

Nostro Signore denuncia questo atteggiamento: Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” [15]. E aggiunge Gesù: Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini [16]. Come sono dure queste parole del Signore: il suo cuore è lontano da me [17]. Riferendosi al quarto comandamento del Decalogo, sull’amore ai genitori, Gesù spiega come tengono il cuore lontano da Dio: Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione [18]. Coloro che giustamente avrebbero dovuto amare di più Dio, compiendo la sua legge, derogano al comandamento ed annullano la Parola.

L’anima sacerdotale è l’anima che si dona davvero agli altri in Dio. È “anima di criterio”, come augurava san Josemaría al lettore di Cammino [19]. Essere una persona che considera le cose alla presenza di Dio; che discerne, si complica la vita per comprendere e servire gli altri; in una parola, che sa amare: si dà e trova in questo dono di sé la felicità e la pace. Gli altri hanno bisogno di noi!

L’essere umano, fin dalla più tenera infanzia – quando, per esempio, impara a parlare – ha bisogno dell’altro per arrivare ad essere quello che è in realtà, per crescere a poco a poco, formarsi la coscienza [20]; e lo stesso nella vita soprannaturale, fino ad arrivare alla pienezza di Cristo e comportarsi come figlio o figlia di Dio in tutto.

Gesù invierà lo Spirito Santo per vivificare la moltitudine, non dall’esterno, ma perché ha assunto la nostra condizione di schiavi [21]. Prendendo su di sé la nostra morte, può comunicarci il suo proprio Spirito di vita. Lo fa in modo eminente dalla Croce, come insegna il Vangelo di san Giovanni nel raccontare la morte di Gesù: consegnò lo spirito e il suo cuore fu trafitto per i nostri peccati.

RAGIONI D’AMORE

San Josemaría ci apre in qualche modo la sua anima quando lo sentiamo rivolgersi a Gesù Cristo inchiodato sulla croce dicendo: sono tuo, e mi consegno a Te, e mi inchiodo alla Croce volentieri,per essere nei crocevia del mondo un’anima dedicata a Te, alla tua gloria, alla Redenzione, alla corredenzione di tutta l’umanità [22]. L’anima sacerdotale deriva da questa Croce, dalla quale non si allontanarono santa Maria né le sante donne. Ci serve valentia, una virtù particolarmente necessaria oggi, per vedere e amare la Volontà di Dio, lasciarci condurre dal peso del suo Amore, che non è altro che la sua gloria la nostra vera vita in Lui.

La donazione che il Signore chiede è una donazione autentica, non formale, che deriva dalla Croce, dall’Eucaristia. È totale grazie all’amore, non all’accumulo di precetti e regole. I farisei si erano già scandalizzati perché un sabato i discepoli passavano con il Signore tra i campi, e camminando, cominciarono a strappare le spighe [23]. Andavano con Gesù, liberi, fiduciosi. Sapevano che, se si fossero sbagliati, il Maestro avrebbe detto loro le cose chiaramente, li avrebbe corretti. Una profonda comprensione della nostra fede e della sequela di Gesù, lungi da qualsiasi incasellamelo, significa essere in sintonia con la sostanza del Vangelo, del cristianesimo: con l’amore. Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto [24]: Benedetto XVI vede in queste parole di san Giovanni come “una formula sintetica dell’esistenza cristiana” [25]. L’Amore è l’identità stessa di Dio. Così si giunge ad una percezione sempre più penetrante di quello che sono le opere di Dio: sono opere dell’Amore. Nel tempo della Chiesa, tempo dello Spirito Santo, sono le meraviglie di Dio: lo Spirito Santo, come recita la Preghiera Eucaristica IV, porta alla pienezza l’opera di Cristo nel mondo.

Lo stesso nome di “Opera di Dio” previene contro uno zelo malinteso. “Opus Dei”: Dio è colui che agisce nella sua Chiesa. Dobbiamo “lasciare agire Dio” [26]. Bisogna lottare, molto, ma questa lotta si conduce sempre con l’aiuto del Signore. La vita cristiana è ben lungi da qualsiasi intento di arrivare a Dio, di compiere i suoi comandamenti, senza la sua grazia, come se l’importate fosse il prodotto del nostro cuore: forse qui si nasconde la spiegazione di possibili sconfitte o insuccessi nella vita cristiana. Se davvero non vogliamo mettere ostacoli a Dio, lasceremo nelle sue mani i nostri propositi, i nostri pensieri, i nostri sentimenti: quello che c’è nel più profondo del nostro cuore.

Affermi che stai comprendendo a poco a poco che cosa vuol dire “anima sacerdotale” … Non ti arrabbiare se ti rispondo che i fatti dimostrano che lo comprendi solo in teoria. – Ogni giorno ti capita la stessa cosa: alla sera, al momento dell’esame, tanti desideri e propositi; al mattino e al pomeriggio, nel lavoro, tutte difficoltà e scuse. È così che vivi il “sacerdozio santo, per offrire vittime spirituali, gradite a Dio per i meriti di Gesù Cristo”? [27]. In queste parole, san Josemaría cita il lavoro: questo è l’eco della nostra santificazione e, pertanto, un luogo privilegiato per esercitare l’anima sacerdotale, come lo sono anche le relazioni familiari e di amicizia, o la partecipazione alla vita sociale, arrivando a far sì che tutto sia apostolato.

L’anima sacerdotale va sempre unita, negli insegnamenti del santo fondatore dell’Opus Dei, alla mentalità laicale, che permette alla verità di illuminare la nostra coscienza e ci spinge ad esercitare la nostra libertà come cittadini della città di Dio e della città degli uomini. Esiste una giusta autonomia delle realtà temporali, che san Josemaría proclamò contro corrente e che ricordò in modo chiaro il Concilio Vaticano II [28]. Con la protezione di santa Maria, corredentrice, l’anima sacerdotale del cristiano si manifesta in una grande compassione verso il prossimo, come insegna Dio, poiché la misericordia del Signore abbraccia ogni essere vivente [29].

G. Derville

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[1] San Josemaría, Forgia, n. 369.

[2] Cfr. Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 10.

[3] Cfr. 1 Pt 2, 5.

[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 106.

[5] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 120.

[6] Fil 2, 5.

[7] San Josemaría, Forgia, n. 766.

[8] Fil 2, 5.

[9] Mc 8, 33.

[10] Cfr. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, pp. 135-136.

[11] San Giovanni Maria Vianney, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1589.

[12] Cfr. Es 30, 17.

[13] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 575.

[14] Mc 7, 1-5.

[15] Mc 7, 6-7; cfr. Is 29, 13.

[16] Mc 7, 8.

[17] Mt 15, 8.

[18] Mc 7, 9.

[19] Guillaume Derville, Une connaissance d’amour. Note de théologie sur l’édition critico-historique de “Chemin” (II), “Studia et Documenta” 3 (2009), pp. 294-296.

[20] Cfr. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, pp. 157.

[21] Cfr. Fil 2, 7.

[22] San Josemaría, Via Crucis, XI stazione, punto 1.

[23] Mc 2, 23.

[24] 1Gv 4, 16.

[25] Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est , n. 1.

[26] Cfr. Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, Lasciare agire Dio, “Osservatore Romano”, 6-X-2002.

[27] San Josemaría, Solco, n. 499.

[28] Cfr. Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et Spes, n. 36.

[29] Sir 18, 12.