Aggregate e aggregati: radici profonde, rami alti

La vocazione all’Opus Dei: un campo illimitato di possibilità.

È l’anno 585 a.C., Geremia che è a Gerusalemme riceve una strana locuzione con la quale il Signore gli dice di comprare un campo. Il profeta, perplesso, soprattutto per la concreta situazione nella quale tutto questo accadeva, risponde: «Ecco, le opere di assedio hanno raggiunto la città per occuparla; la città sarà data in mano ai Caldei che l'assediano con la spada, la fame e la peste. (...) E tu, Signore Dio, mi dici: Comprati il campo con denaro e chiama i testimoni, mentre la città viene messa in mano ai Caldei!»(Gr 32, 24-25). Tuttavia, il Signore insiste. Con quel gesto del profeta, vuole dare un segno al suo popolo e a noi: «Ecco, li radunerò da tutti i paesi (...) li farò tornare in questo luogo e li farò abitare tranquilli. (...) Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi. (...) Proverò gioia nel beneficarli; li farò risiedere stabilmente in questo paese» (Gr 32, 37-41). Dio stesso riempirà di nuovo i campi con gli alberi che sono i suoi figli; poserà personalmente ogni seme, lo farà germinare, crescere e radicare.

Una vocazione con radici

Quando si parla di evangelizzazione è frequente usare l’immagine del fuoco: un messaggio che si propaga velocemente, accendendo tutto quello che incontra al suo passaggio (cfr. Lc 12, 49). Tuttavia, il fuoco non dura molto e dopo un poco lascia solo cenere. Per questo, assieme all’immagine del fuoco che si propaga, si può ricorrere anche all’immagine della pianta che viene seminata e cresce (cfr. Mt 13, 31). Il processo di radicamento dei primi semi può essere lento, ma, quando gli alberi cominciano a crescere e diventano una foresta, la vita esplode in una moltitudine innumerevole di forme, suoni e colori; un’immensa varietà di piante, animali e altre forme di vita si sviluppano all’ombra degli alberi. Quello che era un terreno inutile diventa un luogo piacevole, fresco e abitabile. Gli alberi rassodano la terra, provocano la brezza, attraggono la pioggia, trattengono l’umidità, purificano l’aria; alimentano e danno rifugio a ogni tipo di creature. Lì non c’è forza capace di frenare la potenza della vita.

Il lavoro di evangelizzare che le aggregate e gli aggregati fanno in mezzo al mondo può essere paragonato a quello della foresta. Il prelato dell’Opus Dei, illustrando il dono della vocazione nell’Opera come aggregato o aggregata, ha parlato della loro capacità di far mettere radici all’apostolato, di coltivare una grande diversità di relazioni e di giungere in profondità [1]. Potremmo riassumere queste potenzialità dicendo che la vocazione di aggregato è una vocazione di piantatori, che ci parla di radici particolarmente robuste e profonde, che restano forti nelle agitazioni del mondo. Molte volte tali radici trovano posto in un luogo determinato; in altre occasioni o in altri periodi, per lavoro, studio, famiglia o altri motivi, la persona può trasferirsi da un posto all’altro, e questi spostamenti diventano occasione di un altro radicamento. Ma, più delle radici fisiche, ci sono radici in forma di amicizie legate a terra, che danno vita. Dietro questa capacità di mettere radici, a volte nei luoghi, e sempre nei cuori delle persone, c’è una grazia speciale, un particolare volere divino: «Li farò risiedere stabilmente in questo paese, e lo farò con tutto il cuore e con tutta l'anima» (Gr 32, 41). «Riflettiamo allora sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti. Ognuno di noi può chiedersi, anche come popolo, ognuno di noi: quali sono le radici più importanti della mia vita? Dove sono radicato? Ne faccio memoria, me ne prendo cura?»[2].

Con le radici in Dio: il dono del celibato

Dove ho posto le mie radici? Le radici ci parlano della terra, la terra che per il popolo eletto aveva un valore fondamentale perché era un dono di Dio, e ogni israelita aveva la responsabilità di goderne, conservarla, farla fruttificare e trasmetterla alle generazioni successive.

Per questo sorprende che, quando venne fatta l’assegnazione tra le varie tribù, a una di essa non toccò nulla. Era la tribù di Levi, destinata al culto del Signore. Invece di lamentarsi, i Leviti pregavano: «Il Signore è mia parte di eredità (...). Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda» (Sal 16, 5-6). Riconoscevano che la parte che era toccata loro era, niente di più e niente di meno, che... Dio stesso! Il Signore per loro voleva essere «la base della loro esistenza, la terra della loro vita»[3]. In questa scelta di Dio troviamo «il fondamento vero del celibato»[4], anche di coloro che si chiamano aggregati e numerari. Dio stesso è la terra nella quale mette radici un cuore celibe.

Mons. Fernando Ocáriz, nella sua lettera sulla vocazione all’Opus Dei, assume questa profonda visione del celibato per andare ben più in là di interpretazioni che potrebbero essere parziali o riduttive. Sottolinea, quindi, che «non bisogna considerare il celibato né solo né principalmente come una opzione funzionale, vale a dire, come qualcosa di adeguato per dedicarci di più al lavoro dell’Opera o per poterci spostare di qua e di là. È vero che il celibato lo rende possibile o più facile, ma il suo motivo fondamentale è di essere un particolare dono d’identificazione con la vita di Cristo»[5].

Il celibato è una speciale identificazione al cuore di Gesù: Egli è l’immagine nella quale si specchia chiunque riceve questo dono. Per questo, il celibato è tutto l’opposto dell’individualismo: rende possibile un’apertura speciale a Dio, come la tribù di Levi, e un’apertura speciale agli altri, come quella di Cristo stesso.

Questa chiamata, la stessa dei numerari, magari risplende con una chiarezza propria negli aggregati, dato che in loro non appare legata a una disponibilità completa ai compiti di formazione e di governo, o di spostarsi di qua e di là. Voi aggregate e aggregati, scrive il Padre, «mostrate con la vostra vita cos’è la dedizione a Dio in mezzo al mondo, con cuore indiviso (...) Manifestate con la vostra vita l’assoluta libertà che connota l’attività apostolica di ogni battezzato, svolgendola con tutte le energie di un cuore celibe»[6].

Così un aggregato spiegava a sua sorella la sua vocazione, dopo averla scoperta: «Ho dato la mia vita a Dio nell’Opus Dei. Continuo a stare a casa mia e nel mio lavoro, come sempre. Ma il mio cuore è interamente per Dio. Voglio servirlo in mezzo alla strada»[7].

Ai nostri giorni, accogliere una chiamata al celibato in mezzo alla strada può sembrare un poco ingenuo o stravagante, quasi come acquistare un campo in Giudea durante l’assedio dei babilonesi. Per questo, è giusto non perdere di vista che la chiamata al celibato è un dono di Dio che ha la forza di trasformare l’ambiente nel quale si semina. In più, il mondo è assetato di questo dono, anche se molte volte non lo sa. Benedetto XVI diceva che «Il nostro mondo (...) ha bisogno della testimonianza per Dio che sta nella decisione di accogliere Dio come terra su cui si fonda la propria esistenza. Per questo il celibato è così importante proprio oggi, nel nostro mondo attuale»[8].

San Josemaría, riferendosi proprio alle sue figlie aggregate e ai suoi figli aggregati, spiegava che «tutti nell’Opera, abbiamo la grazia speciale e sufficiente per vivere con delicatezza la nostra dedizione a Dio nel mondo. Nella strada c’è la nostra cella, e nella strada siamo contemplativi: basta compiere con delicatezza le Norme, specifiche e allo stesso tempo ampie che si possono osservare, adattandosi come un guanto alla mano, in qualunque ambiente»[9]. Ogni norma del piano di vita è un incontro che il Signore ci offre per radicarci profondamente in Lui. Così, ben radicati nella vita di intimità con Cristo, il seme della vocazione posto nel cuore di ogni aggregato e di ogni aggregata, cresce: «come un albero piantato lungo un corso d'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell'anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti» (Gr 17, 8).

Radici nella società e nelle persone

Tutti i campi sono buoni per fare attecchire il seme della vocazione di aggregato o aggregata dell’Opus Dei. È stato così sin da quando cominciarono ad arrivare le prime vocazioni, tanto diverse una dall’altra, e così continuiamo a vedere anche oggi. «Vi trovate in circostanze molto variegate e vi muovete in ogni sorta di ambienti professionali, scrive il Padre agli aggregati e alle aggregate. La vostra vita si apre a un campo illimitato di possibilità»[10]. In questo campo così vario di lavoro e di relazioni umane, gli aggregati esprimono «in modo particolarmente chiaro che cos’è l’Opus Dei, mediante la santificazione della vita ordinaria, del lavoro professionale e della vita familiare, senza cambiare di posto»[11].

La testimonianza di vita degli aggregati e delle aggregate mostra, come spiegava Paco Uceda, uno dei primi tre aggregati, che «la missione dell’Opus Dei è molto semplice. Tutti devono cercare Dio nel proprio stato e professione. Io da praticante, tu dipingendo decorazioni; il medico da medico; e l’avvocato, l’impiegato, il contadino, ognuno nel suo lavoro. Si tratta di essere santi per mezzo delle normali quotidiane occupazioni, nel lavoro ordinario»[12].

San Josemaría si emozionava quando pensava al grande lavoro di evangelizzazione che avrebbero realizzato le sue figlie e i suoi figli aggregati «in tutto l’immenso panorama del lavoro»[13].

Il diario di una delle prime convivenze di aggregate racconta la visita di Encarnación Ortega, che allora stava a Roma e collaborava con il fondatore dell’Opus Dei, «Encarnita, attorniata da tutte che avevamo desiderio di sentire notizie, cominciò a raccontare e raccontare... due ore e non aveva ancora finito, e neppure noi di sentire tutto ciò che è il nostro particolare significato che ci porta diritto al Signore» [14]. Encarnita riferì loro che il Padre si aspettava molto dalla loro vocazione, perché potevano stare «nel profondo della società»[15].

«Vi invidio, dirà in un’altra occasione san Josemaría alle sue figlie e figli aggregati, la vostra dedizione a Dio è totale e piena come la mia, ma potete arrivare più lontano»[16]. Questa capacità di stare nella parte più profonda e di giungere più lontano ha a che fare con la capacità degli aggregati e delle aggregate di mettere radici, di stabilire molte e strette relazioni, dando profondità all’apostolato della Chiesa, soprattutto nel proprio ambiente professionale, nel quale essere testimoni di Cristo. «Con la prolungata permanenza in ogni luogo, rendete possibile il radicamento degli apostolati nel territorio; il vostro stile di vita vi permette di coltivare una grande varietà di relazioni e di farlo in modo molto stabile: rapporti familiari, professionali, di vicinato, nel paese, città o nazione dove risiedete. «Arrivate più lontano», affermava san Josemaría, «non solo in termini di estensione ma anche di profondità dell’apostolato»[17].

Tutto questo è possibile perché «Nell’Opera, l’apostolato principale è sempre quello dell’amicizia». Ce lo ha insegnato san Josemaría: «Si può ben dire, figli della mia anima, che il maggior frutto dell’attività dell’Opus Dei è quello che ottengono i suoi membri personalmente, con l’apostolato dell’esempio e dell’amicizia leale con i loro colleghi di professione: nell’università, in fabbrica, in ufficio, in una miniera o nelle campagne»[18]. «Voi aggregati, ha scritto il Padre, fate l’Opus Dei principalmente attraverso un profondo apostolato personale nel vostro ambiente professionale e familiare» [19].

A questo spinge con particolare energia il dono del celibato: questa speciale intimità con Gesù cerca di espandersi in ricche relazioni di amicizia, perché il celibato, come dice papa Francesco, «è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e di vero bene che trovano la loro radice in Cristo» [20].

L’amicizia di una persona celibe, che imita Cristo, rende presente, proprio lì dov’è, l’amore di Dio: un amore disponibile e misericordioso, che si moltiplica nella gente che ha vicino. L’amicizia che, per grazia di Dio, gli aggregati e le aggregate sono chiamati a offrire, è un amore che si mantiene nel tempo, un amore sul quale si può contare senza timore, simile a quello di un padre o di una madre che sono sempre presenti. Questo amore cresce innanzitutto nella propria famiglia: il nucleo costituito da genitori, fratelli, cugini e altri parenti, di norma è il primo ambiente nel quale Dio ci invita ad essere sale e luce (Cfr. Mt 5, 13-14). È uno spazio che diventa sempre più grande, mano a mano, sino a toccare tutte le persone che incontriamo nella nostra vita, e alle quali questa sincera amicizia offre un terreno solido e ricco nel quale la propria semente può germinare e nutrirsi, crescendo sana e robusta.

Le amicizie degli aggregati spesso prevedono una relazione di autentica paternità o maternità spirituale, che, come spiegava mons. Fernando Ocáriz, a una aggregata che gli aveva fatto una domanda su questo tema, sono «una vera preoccupazione per il bene delle altre persone. Così come lo è per la madre dare la vita. Allora, come diamo la vita nel celibato apostolico? Con l’impegno, con l’attenzione agli altri, con la preghiera, con lo spirito di servizio, cercando di rendere gradevole la vita... Tutto questo è una vera maternità. Tutto questo, assieme alla trasmissione, in un modo o nell’altro, dell’amore a Gesù, che è la vera vita (...). È la più grande maternità: portare a Gesù Cristo»[21].

Radici che si nutrono della famiglia

Si è detto che il dono del celibato, per chi lo riceve, fa crescere la capacità di voler bene agli altri e di aprirsi all’amicizia con molte persone. Chi fa suo il celibato di Cristo non è mai una persona solitaria; ma, se pure questo non bastasse, chi ha la vocazione di aggregato o aggregata mantiene inoltre le radici in una famiglia, che è l’Opus Dei. Gli aggregati, ha scritto san Josemaría, «non sentiranno mai la mancanza del calore familiare, perché l’Opera riversa sempre affetto e comprensione su ciascuno dei suoi figli. L’intero Opus Dei è una famiglia: una sola famiglia con una sola pentola»[22]. Come tutti i fedeli dell’Opus Dei, gli aggregati e le aggregate sperimentano l’appartenenza a questa famiglia, prima di tutto, attraverso l’amore filiale a san Josemaría e ai suoi successori, a cui Dio ha dato il dono di essere padri nell’Opus Dei [23].

Commuove vedere come questo spirito di filiazione ha messo radici nei primi aggregati, i quali, anche senza conoscere il fondatore se non per sentito dire, compresero come Dio muoveva le loro anime e la loro filiale devozione. Accadde così, per esempio, a Concepción Álvarez, la quale, già prima di conoscere personalmente san Josemaría, colpita dal senso di filiazione che osservava nelle altre persone dell’Opera, scrisse a una di esse: «Immagino una immensa famiglia unita da questo affetto al Padre, che si preoccupa di tutte (…). Anch’io mi ci sento immersa e mi unisco al Padre, e tutto ciò che offro per lui, lo faccio prima di ogni altra cosa, con una forza straordinaria»[24].

Il miracolo della paternità nell’Opera continua nei successori di san Josemaría. Per questo, ogni aggregato e ogni aggregata può sentire come dirette personalmente a se le parole con le quali il prelato dell’Opus Dei
concludeva la sua prima lettera più estesa: «Figlie e figli miei, se in questo mondo, tanto bello e nello stesso tempo tanto travagliato, qualche volta qualcuno si sente solo, sappia che il Padre prega per lui, gli sta accanto veramente, nella Comunione dei santi, e lo porta nel suo cuore» [25], e nella sua Messa di ogni giorno [26].

Una felice conseguenza di voler essere figli è diventare fratelli o sorelle. La filiazione degli aggregati e delle aggregate se espande necessariamente nella fraternità, che spinge a conoscere bene gli altri e le loro famiglie, ad amarli e a prendersi cura di loro e a lasciarsi amare e curare da loro [27]. L’amore di Cristo che riceviamo attraverso gli altri, specialmente da coloro che condividono il nostro stesso cammino, sostiene e cura il futuro di questa stessa avventura; nel caso degli aggregati, «anche collaborando con i numerari nel prendersi cura degli altri fedeli dell’Opera» [28]. La fraternità tra aggregati, numerari e soprannumerari, è fonte di gioia, speranza e consolazione in questo impegno di portare il Vangelo a tutti [29]. Con questa confidenza fatta di preghiera e gesti concreti, di presenza quando è possibile, vivremo «quella realtà meravigliosa che è la Comunione dei santi. Con la certezza della fede, ci sentiamo ancor più uniti gli uni agli altri di quanto non comporterebbe la vicinanza fisica» [30].

***

«L’Opera..., che cos’è ora l’Opera? - si chiedeva san Josemaría, sognando in quella stanzetta della Delegazione dell’Honduras durante la guerra civile spagnola. – Quasi non si vede; è veramente il granello di senape. Poche persone, senza prestigio, senza risorse economiche, senza esperienza, quasi tutti all’inizio della loro vita. Ma sappiamo che da questo granello di senape, nel campo soprannaturale della Chiesa, crescerà un arbusto che coprirà tutto il mondo con il suo fusto, con le sue radici, con i suoi rami, nei quali molti uccelli migratori cercheranno riparo»[31].

Sono passate varie decadi da quella meditazione, e lo stesso san Josemaría ha potuto vedere realizzato in parte quel sogno quando ancora era pellegrino su questa terra. Il fondatore dell’Opus Dei sognava anche che, in futuro, il numero degli aggregati avrebbe raddoppiato quello dei numerari [32]. Avvicinandoci al centenario dell’Opera, possiamo chiedere al Signore di moltiplicare le vocazioni di aggregate e aggregati, come boschi e «ampie vallate, come giardini lungo un fiume, come aloe, che il Signore ha piantato, come cedri lungo le acque» (Nm 24, 5-6), per dare maggior solidità e legame al lavoro di diffusione del Vangelo in questo «campo di Dio» (1Cor 3, 9) che è la Chiesa.


[1] Cfr. Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 18.

[2] Francesco, Udienza, 3-V-2023.

[3] Benedetto XVI, Discorso, 22-XII-2006.

[4] Ibidem.

[5] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 22.

[6] Ibidem, n. 18.

[7] Lázaro Linares, Antes, más y mejor: un relato de mi vida en el Opus Dei, Rialp, Madrid 2001, p. 37.

[8] Benedetto XVI, Discorso, 22-XII-2006.

[9] San Josemaría, Lettera 27, n. 11.

[10] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 18.

[11] Ibidem, n. 19.

[12] Citato in Lázaro Linares, Antes, más y mejor, p. 29.

[13] San Josemaría, Colloqui, n. 114.

[14] Diario de la Estila, 10-XII-1953. Citato in “Las agregadas del Opus Dei, preparación y comprensión de la misión. España 1950-1955”, Studia et Documenta 15 (2021), pp. 143-178; p. 169.

[15] Ibidem.

[16] San Josemaría, Tertulia, 15-IX-1962; citato in mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 18.

[17] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 18.

[18] San Josemaría, Lettera 6, n. 55; citato in mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 1-XI-2019, n. 20.

[19] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 18.

[20] Francesco, Discorso, 17-II-2022.

[21] Mons. Fernando Ocáriz, Tertulia a Poznan, 23-VI-2022.

[22] San Josemaría, Lettera 27, n. 11; cfr. citato in mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 16-II-2023, n. 13. 23 Cfr. San Josemaría, Lettera 6-V-1945, n. 23 citato in mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale 14-II-2017, n. 2.

[24] Lettera di Concepción Álvarez a María Ampuero, 30-VI-1952. Citata in “Las agregadas del Opus Dei, preparación y comprensión de la misión. España 1950-1955”, cit., p. 168.

[25] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 33.

[26] Cfr. Ibidem., Lettera pastorale, 16-II-2023, n. 12; Messaggio, 12-VII-2019; cfr. Lv. 28, 29-30.

[27] Cfr. Ibidem, Lettera pastorale, 16-II-2023, n. 6.

[28] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 20-X-2020, n. 18.

[29] Cfr. Ibidem, n. 17.

[30] Mons. Fernando Ocáriz, Messaggio, 12-VII-2019.

[31] San Josemaría, Meditazione, 25-VII-1937, in Crescere al di dentro, p. 223.

[32] Cfr. Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 18.