Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta una figura che spicca per la sua fede e il suo coraggio. Si tratta della donna che Gesù ha guarito dalle sue perdite di sangue (cfr Mt 9,20-22). Passando in mezzo alla folla, si avvicina alle spalle di Gesù per toccare il lembo del suo mantello. «Diceva infatti tra sé: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello sarò salvata» (v. 21). Quanta fede! Quanta fede aveva questa donna! Ragiona così perché è animata da tanta fede e tanta speranza e, con un tocco di furbizia, realizza quanto ha nel cuore. Il desiderio di essere salvata da Gesù è tale da farla andare oltre le prescrizioni stabilite dalla legge di Mosè. Questa povera donna infatti da molti anni non è semplicemente malata, ma è ritenuta impura perché affetta da emorragie (cfr Lv 15,19-30). E’ perciò esclusa dalle liturgie, dalla vita coniugale, dai normali rapporti con il prossimo. L’evangelista Marco aggiunge che aveva consultato molti medici, dando fondo ai suoi mezzi per pagarli e sopportando cure dolorose, ma era solo peggiorata. Era una donna scartata dalla società. E’ importante considerare questa condizione – di scartata – per capire il suo stato d’animo: lei sente che Gesù può liberarla dalla malattia e dallo stato di emarginazione e di indegnità in cui da anni si trova. In una parola: sa, sente che Gesù può salvarla.
Questo caso fa riflettere su come la donna sia spesso percepita e rappresentata. Tutti siamo messi in guardia, anche le comunità cristiane, da visioni della femminilità inficiate da pregiudizi e sospetti lesivi della sua intangibile dignità. In tal senso sono proprio i Vangeli a ripristinare la verità e a ricondurre ad un punto di vista liberatorio. Gesù ha ammirato la fede di questa donna che tutti evitavano e ha trasformato la sua speranza in salvezza. Non sappiamo il suo nome, ma le poche righe con cui i Vangeli descrivono il suo incontro con Gesù delineano un itinerario di fede capace di ristabilire la verità e la grandezza della dignità di ogni persona. Nell’incontro con Cristo si apre per tutti, uomini e donne di ogni luogo e di ogni tempo, la via della liberazione e della salvezza.
Il Vangelo di Matteo dice che quando la donna toccò il mantello di Gesù, Egli «si voltò» e «la vide» (v. 22), e quindi le rivolse la parola. Come dicevamo, a causa del suo stato di esclusione, la donna ha agito di nascosto, alle spalle di Gesù, era un po’ timorosa, per non essere vista, perché era una scartata. Gesù invece la vede e il suo sguardo non è di rimprovero, non dice: “Vattene via, tu sei una scartata!”, come se dicesse: “Tu sei una lebbrosa, vattene via!”. No, non rimprovera, ma lo sguardo di Gesù è di misericordia e tenerezza. Egli sa che cosa è avvenuto e cerca l’incontro personale con lei, quello che in fondo la donna stessa desiderava. Questo significa che Gesù non solo la accoglie, ma la ritiene degna di tale incontro al punto di farle dono della sua parola e della sua attenzione.
Nella parte centrale del racconto il termine salvezza è ripetuto tre volte. «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, saròsalvata. Gesù si voltò, la vide e disse: “Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata!”. E da quell’istante la donna fu salvata» (vv. 21-22). Questo «coraggio, figlia» esprime tutta la misericordia di Dio per quella persona. E per ogni persona scartata. Quante volte ci sentiamo interiormente scartati per i nostri peccati, ne abbiamo fatte tante, ne abbiamo fatte tante… E il Signore ci dice: “Coraggio! Vieni! Per me tu non sei uno scartato, una scartata. Coraggio, figlia. Tu sei un figlio, una figlia”. E questo è il momento della grazia, è il momento del perdono, è il momento dell’inclusione nella vita di Gesù, nella vita della Chiesa. E' il momento della misericordia. Oggi, a tutti noi, peccatori, che siamo grandi peccatori o piccoli peccatori, ma tutti lo siamo, a tutti noi il Signore dice: “Coraggio, vieni! Noi sei più scartato, non sei più scartata: io ti perdono, io ti abbraccio”. Così è la misericordia di Dio. Dobbiamo avere coraggio e andare da Lui, chiedere perdono per i nostri peccati e andare avanti. Con coraggio, come ha fatto questa donna. Poi, la “salvezza” assume molteplici connotati: anzitutto restituisce alla donna la salute; poi la libera dalle discriminazioni sociali e religiose; inoltre, realizza la speranza che lei portava nel cuore annullando le sue paure e il suo sconforto; infine, la restituisce alla comunità liberandola dalla necessità di agire di nascosto. E quest’ultima cosa è importante: una persona scartata agisce sempre di nascosto, qualche volta o tutta la vita: pensiamo ai lebbrosi di quei tempi, ai senzatetto di oggi…; pensiamo ai peccatori, a noi peccatori: facciamo sempre qualcosa di nascosto, abbiamo la necessità di fare qualcosa di nascosto, perché ci vergogniamo di quello che siamo... E lui ci libera da questo, Gesù ci libera e ci fa mettere in piedi: “Alzati, vieni, in piedi!”. Come Dio ci ha creati: Dio ci ha creati in piedi, non umiliati. In piedi. Quella che Gesù dona è una salvezza totale, che reintegra la vita della donna nella sfera dell’amore di Dio e, al tempo stesso, la ristabilisce nella sua piena dignità.
Insomma, non è il mantello che la donna ha toccato a darle la salvezza, ma la parola di Gesù, accolta nella fede, capace di consolarla, guarirla e ristabilirla nella relazione con Dio e con il suo popolo. Gesù è l’unica fonte di benedizione da cui scaturisce la salvezza per tutti gli uomini, e la fede è la disposizione fondamentale per accoglierla. Gesù, ancora una volta, con il suo comportamento pieno di misericordia, indica alla Chiesa il percorso da compiere per andare incontro ad ogni persona, perché ognuno possa essere guarito nel corpo e nello spirito e recuperare la dignità di figli di Dio. Grazie.
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