– Dio non volta le spalle.
– Più importante della guarigione.
– Il valore del ringraziamento.
LUNGO il cammino verso Gerusalemme, mentre attraversava la Samaria e la Galilea, Gesù incontrò dieci lebbrosi che, fermandosi a distanza, cominciarono a gridare: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!» (Lc 17,13).
A quell’epoca, con il nome di “lebbra” si indicavano varie malattie della pelle considerate contagiose. Per questo chi ne era affetto doveva allontanarsi dai luoghi abitati. Non solo soffriva le conseguenze fisiche della malattia, ma anche l’isolamento e lo stigma da parte dei propri cari. Chi toccava un lebbroso veniva ritenuto impuro: non poteva partecipare al culto e doveva purificarsi (cfr. Lv 13,45-46).
Gesù, consapevole della sofferenza di quelle persone, non passa oltre. Dice loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (Lc 17,14). E mentre essi andavano, furono guariti.
Anche noi, quando presentiamo a Dio le nostre suppliche, possiamo essere certi che Lui conosce già le nostre necessità: Gesù non è indifferente al nostro dolore. Anzi, desidera che le difficoltà ci spingano a ricorrere a Lui, a confidare nella sua grazia. Non si vergogna di noi, né si allontana nel vedere la nostra “lebbra”.
Questa scena ci ricorda che «Dio non ci volta mai le spalle quando ci rivolgiamo a Lui (...). Il Signore ci ascolta sempre quando lo preghiamo, e se a volte ci risponde con tempi e in modi difficili da capire, è perché agisce con una sapienza e con una provvidenza più grandi, che vanno al di là della nostra comprensione. Perciò anche in questi momenti, non smettiamo di pregare e pregare con fiducia: in Lui troveremo sempre luce e forza»[1]. Anche se a volte la nostra preghiera sembra sterile perché non otteniamo ciò che chiediamo, in realtà porta sempre frutto: spezza l’isolamento della nostra lebbra e ci avvicina al Medico che può guarirci (cfr. Mc 2,17).
DEI DIECI GUARITI, solo uno tornò indietro lodando Dio a gran voce e «si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo» (Lc 17,16). Quell’uomo, per di più, era un samaritano.
Il gesto non passò inosservato: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?» (Lc 17,17-18).
Gli altri nove si dimenticarono di colui che li aveva guariti e presero la loro strada. È qualcosa che può accadere anche oggi: non riconoscere come dono ciò che abbiamo ricevuto.
« È una brutta malattia spirituale - ha detto papa Francesco -: dare tutto per scontato, anche la fede, anche il nostro rapporto con Dio, fino a diventare cristiani che non si sanno più stupire, che non sanno più dire “grazie”, che non si mostrano riconoscenti, che non sanno vedere le meraviglie del Signore»[2].
Esteriormente erano stati guariti, ma il loro cuore non si era aperto al bene più grande che Dio voleva donare loro: incontrare il Messia.
Il samaritano, invece, volle conoscere Gesù e instaurare con lui una relazione personale. Il suo non fu solo un gesto di cortesia, ma l’inizio di una vita nuova: «egli si prostra ai piedi di Cristo (cfr Lc 17,16), compie cioè un gesto di adorazione: riconosce che Gesù è il Signore, e che è più importante della guarigione ricevuta»[3].
Scoprì che stare accanto al Messia era ciò di cui aveva davvero bisogno: questo fu, in definitiva, il frutto principale della sua preghiera.
COME il samaritano, anche noi possiamo guardare con gratitudine ciò che abbiamo ricevuto da Dio e dagli altri. Questa disposizione ci aiuta a comprendere che da soli non bastiamo a noi stessi. La riconoscenza ci porta «ad affermare la presenza di Dio-amore. E anche a riconoscere l’importanza degli altri, vincendo l’insoddisfazione e l’indifferenza che ci abbruttiscono il cuore»[4].
Ogni giorno abbiamo molte occasioni per dire “grazie”: per i gesti d’affetto in famiglia, per il servizio di un negoziante, per l’aiuto di un collega, per la vicinanza di un amico… In ognuno di questi segni possiamo scorgere la mano del Signore e ringraziarlo per averci messo accanto quelle persone.
Possiamo anche ringraziare Dio per tante cose di cui non siamo pienamente consapevoli, ma che fanno parte della nostra vita: la cura dei nostri genitori quando eravamo piccoli, la preghiera silenziosa di un amico, i doni che Dio ci concede senza che ce ne accorgiamo.
Le madri sono spesso le prime a insegnare ai figli il valore della gratitudine. Oggi possiamo chiedere alla nostra Madre del Cielo di aiutarci a essere come il samaritano del Vangelo: riconoscenti per tutto ciò che il Figlio compie per noi, e desiderosi di vivere sempre accanto a Lui.
«Hai visto come ringraziano i bambini? – diceva san Josemaría –. Imitali dicendo come loro, a Gesù, nelle occasioni favorevoli e in quelle avverse: “Come sei buono! Che buono!…”»[5]
[1] Papa Leone XIV, Angelus, 27 luglio 2025.
[2] Papa Francesco, Omelia, 9 ottobre 2022
[3] Ibid.
[4] Ibid.
[5] Cammino, n. 894.
