La luce della fede (V): «Il tuo volto, Signore, io cerco»: la fede nel Dio personale

La fede cristiana è una fede che ha un Volto, una fede che dice: non sei solo al mondo...; c’è Qualcuno che ha voluto che tu esista, che ti ha detto «vivi!».

«Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 27, 8). Questo versetto del salmista riporta a un motivo ricorrente nella Sacra Scrittura, dalla Genesi fino all’Apocalisse[1]: tutta la storia di Dio con gli uomini, che oggi segue il suo corso, tra le pieghe delle sue pagine. In questo anelito si esprime, dunque, qualcosa di latente – in un modo più o meno esplicito – anche nel cuore degli uomini e delle donne del XXI secolo. Infatti, se per anni poteva sembrare che il declino della religione nel mondo occidentale fosse inarrestabile, che la fede in Dio fosse ormai poco più di un mobile obsoleto a confronto con la cultura moderna e il mondo scientifico, in realtà prosegue viva la ricerca di Dio e della necessità di dare un senso trascendente alla propria esistenza.

Oggi è diventato più difficile riconoscere il volto di un Dio personale, o avvertire in modo essenziale la sua vicinanza.

In questa ricerca del sacro, comunque, è avvenuto un notevole cambiamento qualitativo. Oggi il quadro delle credenze è più complesso e frammentato che nel passato. Nella Chiesa cattolica è diminuita la pratica della fede e sono aumentati coloro che si dichiarano cristiani, ma non accettano alcuni aspetti della dottrina o della morale. Si nota anche una tendenza a mescolare liberamente credenze diverse (per esempio, il cristianesimo e il buddismo). È aumentato il numero di persone che dicono di credere in una forza impersonale e non nel Dio della fede cristiana, ed è in aumento anche il numero dei membri delle religioni non cristiane, specialmente orientali, o movimenti New Age. Per molti, l’immagine del divino si dissolve nei contorni di una forza cosmica di una sorgente di energia spirituale o di un essere distante e indifferente. In definitiva, si può dire che nell’odierno clima culturale è diventato più difficile riconoscere il volto di un Dio personale, ritenere realmente credibile il messaggio cristiano sul Dio che si è reso visibile in Gesù Cristo o avvertire in modo essenziale la sua vicinanza.

Se esistono culture nelle quali la concezione impersonale di Dio è dovuta al fatto che la fede cristiana ha avuto una scarsa influenza su di esse, nel mondo occidentale si tratta piuttosto di un fenomeno culturale complesso: «una strana dimenticanza di Dio» per cui «sembra che tutto vada ugualmente avanti anche senza di Lui»[2]. Questa dimenticanza, che non può evitare un certo «sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti»[3], si manifesta fra le altre cose nella tendenza a concepire la religione secondo un’ottica individuale, come un “consumo” di esperienze religiose, in funzione delle proprie necessità spirituali. Anche se in base a questa ottica è difficile capire che Dio ci chiama a un rapporto personale, non è certamente più facile capirlo attraverso una concezione piuttosto diffusa tempo addietro, che considerava la pratica religiosa soprattutto come un “obbligo” o un semplice dovere esteriore verso Dio. In questo senso appare illuminante lo sguardo penetrante del beato John Henry Newman sulla storia: «Ogni secolo è come gli altri, benché a coloro che vivono in esso sembri che sia peggiore di ogni altro secolo precedente»[4].

Il contesto nel quale oggi si deve espandere la fede cristiana presenta sicuramente una nuova complessità. Però oggi, come ieri, è possibile anche riscoprire la forza travolgente di una fede che ha un Volto, una fede che ci dice: non sei solo al mondo; c’è Qualcuno che ha voluto che tu esista, che ti ha detto «vivi!» (cfr. Ez 16, 6) e che ti vuole felice per sempre. Il Dio di Gesù Cristo, che è stato criticato per «aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura»[5], in realtà vuole che abbiamo vita, e vita in abbondanza (cfr. Gv 10, 10), vale a dire, una felicità che niente e nessuno ci potrà togliere (cfr. Gv 16, 22).

Il mistero di un Volto e gli idoli senza volto

In modo particolare in Occidente, oggi alcune persone considerano la spiritualità e la religione in antagonismo tra loro: mentre considerano la “spiritualità” autentica e vicina – si tratta delle loro esperienze, dei loro sentimenti –, nella religione vedono soprattutto una serie di norme e di credenze che ritengono estranee. La religione in tal modo appare, al massimo, come un oggetto di interesse storico e culturale, ma non come una realtà essenziale per la vita personale e sociale. Insieme ad altri fattori, questo può essere dovuto a certe lacune nella catechesi, perché, in realtà, la fede cristiana è chiamata a divenire esperienza nella vita di ciascuno, come lo sono gli incontri interpersonali, l’amicizia, ecc. «La vita interiore – scriveva san Josemaría – è un incontro personale con Dio, altrimenti non esiste»[6]. Su questa stessa linea, Papa Francesco ha scritto: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui»[7].

L'incontro con Dio non risponde a un processo automatico. Non si accede a una persona come si accede al web, avvalendosi semplicemente di un link

Questo incontro, tuttavia, non risponde direttamente a un processo automatico. Non si accede a una persona come si accede a una web, avvalendosi semplicemente di un link; né si riesce a conoscere veramente una persona come se fosse un oggetto qualsiasi. Anche quando sembra che la scoperta di Dio sia stata improvvisa, come succede per alcune conversioni, i racconti dei convertiti quasi sempre dimostrano che quel passo si stava preparando da molto tempo, a fuoco lento. Il cammino verso la fede, e la vita stessa del credente, sanno molto di un’attesa paziente. «Dobbiamo vivere in attesa di questo incontro»[8]. Le vicende della storia della salvezza – sia quelli narrati nella scrittura sia quelli che ci vedono partecipi oggi – dimostrano che Dio sa aspettare. Dio aspetta perché ha rapporti con le persone. Ma anche per questo, perché Egli è persona, l’uomo deve imparare ad aspettare. «La fede, per sua natura, chiede di rinunciare al possesso immediato che la visione sembra offrire; è un invito ad aprirsi verso la fonte della luce, rispettando il mistero proprio di un Volto che intende rivelarsi in modo personale e a tempo opportuno»[9].

L’episodio del vitello d’oro nel deserto (cfr. Es 32, 1-8) è una immagine perenne dell’impazienza degli uomini nei rapporti con Dio. «Mentre Mosè parla con Dio sul Sinai, il popolo non sopporta il mistero del volto divino nascosto, non sopporta il tempo dell’attesa»[10]. A questo punto si capiscono gli insistenti avvertimenti dei profeti dell’Antico Testamento intorno all’idolatria[11], che attraversano i secoli e arrivano fino a oggi. Sicuramente non piace a nessuno essere chiamato idolatra: la parola ha una connotazione di sottomissione e di irrazionalità che la rende poco attraente. Tuttavia, è interessante osservare che i profeti rivolgevano il termine soprattutto a un popolo credente. L’idolatria, infatti, non è soltanto né soprattutto un problema di «gente» che non invoca il Nome di Dio (cfr. Ger 10, 25): tende a farsi strada anche nella vita di un credente, come una “riserva” nel caso che Dio non riuscisse a soddisfare le aspettative del cuore, come se Dio non fosse sufficiente. «Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli «hanno bocca e non parlano» (Sal 115, 5). Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani»[12]. Questa è, dunque, la tentazione: adottare un volto, fosse anche il nostro, come in uno specchio. «Invece della fede in Dio, si preferisce adorare l’idolo, il cui volto si può fissare, la cui origine è nota perché fatto da noi»[13]. Si ritiene che sia impossibile la ricerca del Dio personale, del Volto che vuole essere accolto, e si preferiscono i volti che scegliamo noi: idoli come divinità, “personalizzati” - con il sapore agro-dolce che a volte lascia questo aggettivo -; divinità «d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno, di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono» (Dn 5, 23), ma che vanno benissimo per i nostri desideri.

Dio aspetta perché ha rapporti con le persone. Ma anche per questo, perché Egli è persona, l’uomo deve imparare ad aspettare.

Possiamo vivere aggrappati a queste certezze per un tempo più o meno lungo; ma è facile che un insuccesso professionale, una crisi familiare, un figlio problematico o una grave malattia facciano crollare tale certezza. «Dove stanno gli dei che ti sei costruiti? Si alzino, se possono salvarti» (Ger 2, 28). Allora l’uomo si rende conto di essere solo al mondo; come Adamo ed Eva nel paradiso dopo il peccato, si rende conto di essere nudo, sospeso nel vuoto (cfr. Gn 3, 7). «Arriva un momento in cui l’anima non ne può più, non le bastano più le spiegazioni abituali, non la soddisfano più le menzogne dei falsi profeti. Allora, anche se non lo ammettono, queste persone sentono il bisogno di saziare la loro inquietudine con l’insegnamento del Signore»[14].

Il Dio personale

In che senso il cristianesimo può superare le insufficienze degli idoli e saziare l’inquietudine? Mentre per altre religioni o spiritualità «Dio rimane molto lontano, sembra che non si voglia far conoscere, non si voglia far amare»[15], il Dio cristiano «si è lasciato vedere: nel volto di Cristo vediamo Dio, Dio si è fatto “conoscere”»[16]. Il Dio Cristiano è Colui per il quale sospira il cuore umano. Egli stesso è venuto a mostrarci il suo volto: «ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [...] noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1.3). Quando tutte le certezze umane vengono meno, quando la vita e il suo significato diventano incerti, entra in scena il «Verbo della vita». Chi lo respinge rimane prigioniero della necessità di amore che ha[17]; chi gli apre le porte e decide di non aggrapparsi alle proprie certezze o alla propria disperazione, chi si riconosce davanti a Lui come un povero ammalato, un povero cieco, può scoprire il suo volto personale.

Ebbene, che cosa significa che Dio è persona, che ha un volto? Soprattutto, ha un senso questa domanda? Quando Filippo chiede a Gesù di mostrargli il Padre, il Signore risponde: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14, 9). Il fatto che Dio si sia fatto uomo in Gesù, per cui attraverso la sua umanità Dio in persona si sia manifestato – un evento che è al centro stesso della vita cristiana –, dimostra che questa domanda non riguarda una chimera ma ha un risvolto reale.

Tuttavia, se Dio ha un volto personale, se si è rivelato in Gesù Cristo, perché si nasconde al nostro sguardo? «Uno non darebbe tutto purché gli fosse permesso di vederlo camminare per la strada, ascoltare il timbro della sua voce, incrociare il suo sguardo, sentire il suo “potere”, percepire con l’esperienza più intima chi Egli è?»[18]. Se Dio è venuto al mondo, perché ora si nasconde nuovamente nel suo mistero? In realtà, la Genesi – che non solo tratta delle origini, ma anche dei cardini stessi della storia – dimostra che è piuttosto l’uomo che si nasconde a Dio per il peccato (cfr. Gn 3, 9-10).

In ogni caso, immaginando che Gesù sia rimasto sulla terra, ora la relazione con Lui sarebbe veramente più personale? Ognuno disporrebbe, nel migliore dei casi, di pochi istanti nella vita per stare con Lui. Qualche parolina e una foto, come con le persone famose... Ammettendo, dunque, che Dio «si nasconda»..., si può dire che lo fa proprio perché vuole stabilire una relazione personale con ogni uomo e con ogni donna: a tu per tu, da cuore a cuore. Nella relazione con Dio succede, nel modo più intenso possibile, una cosa che è caratteristica di tutte le relazioni personali: che non riusciamo mai a conoscere del tutto l’altro e che è necessario cercarlo. «Sì, dietro la gente ti cerco. / Non nel tuo nome, se lo dicono, / non nella tua immagine, se la dipingono. / Dietro, dietro, al di là»[19].

«Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14, 9). L’Incarnazione di Dio fa della personalità umana un cammino idoneo per avvicinarsi al mistero del Dio personale. In realtà si tratta dell’unico cammino, perché non conosciamo in modo diretto nessun’altra modalità di esistenza personale. Nel percorrerlo è comunque necessario evitare l’antropomorfismo: la tendenza a descrivere un Dio a misura d’uomo, qualcosa di simile a un essere umano ingigantito, perfezionato. Il fatto stesso che Dio sia una Trinità di persone dimostra che il suo Essere personale va oltre i limiti della nostra stessa esperienza; ma non per questo ci è inutile quando tentiamo di avvicinarci al suo Mistero con le ali della fede e della ragione[20].

Ritorniamo, dunque, alla domanda: Che cosa significa essere persona? Una persona si distingue dagli esseri non personali per il fatto che «si possiede se stessi mediante la volontà e si comprende perfettamente mediante l’intelletto: è la trascendenza di un essere che può dire “io”»[21]. Trascendenza, perché l’ “io” di ogni persona – anche di quelli che non possono dire “io” – fa di essa una realtà non riconducibile al resto dell’universo; per così dire, ogni persona è un abisso. «Un abisso chiama l’abisso» (Sal 42, 8), dice il versetto di un salmo, nel quale sant’Agostino riconosce il mistero della persona umana[22]. Orbene, dire che Dio è persona significa che si tratta di un “Io” che è padrone di sé ed è diverso da me, ma che allo stesso tempo non è unito a me come qualunque altra persona umana. Dio è, come diceva ancora sant’Agostino con una espressione di una profondità e una bellezza difficili da superare, interior intimo meo: Tu infatti eri più intimo a me di me stesso[23], perché si trova all’origine più profonda del mio essere. È Lui che ha pensato a me e continuerà a farlo per sempre.

Dio era più intimo a me di me stesso, perché si trova all’origine più profonda del mio essere.

Proprio a questo punto è tracciato un confine decisivo tra il nostro essere personale e quello di Dio. La nostra esistenza è radicalmente dipendente da Dio: esistiamo perché Egli lo ha voluto; la nostra esistenza sta nelle sue mani. «All’inizio della filosofia occidentale appare ripetutamente la questione dell’arché, il principio di tutte le cose, e si danno varie e profonde risposte. Però soltanto una è la risposta che risponde alla realtà: rendersi conto religiosamente che il mio principio sta in Dio. Diciamolo meglio: nella volontà di Dio, che riguarda me, per quello che devo essere ed essere quello che sono»[24]. Dio ha deciso che io esista e sia esattamente così come sono; per questo posso accettarmi e considerarmi un bene. È ciò che succede ogni volta che il figlio scopre di essere amato dai suoi genitori, ogni volta che uno sguardo, un sorriso, un gesto gli dice: «Per me è bene che tu esista!»[25]: si riconosce dipendente in eterno... e nello stesso tempo amato senza riserve.

«Egli ci ha fatti e noi siamo suoi» (Sal 100, 3). Questa dipendenza radicale comporta un tipo di dominio? Per rispondere affermativamente occorre dire che, quando una madre sorride a un figlio piccolo, lo fa con il desiderio di dominarlo. Il dominio è l’unico modo di intrattenere una relazione tra persone? Inoltre, è il principale? Alla logica del dominio si contrappone subito un’altra logica più potente: la logica dell’amore. A fronte della posizione di chi dice all’altro: «Tu devi essere come dico io», s’innalza il grido più profondamente personale: «È bene che tu esista... come sei!». Questa è la frase che si rivolge alla persona amata, al figlio malato, al padre anziano, quando lo si accetta così come egli è... e lo si ama.

Riconoscere che io non sono la mia origine, dunque, non significa accettare senz’altro i miei limiti: questa è una conclusione che rimane alla superficie delle cose. In realtà, significa aprirmi all’infinità di Dio; significa riconoscere che «in quanto io esisto, siamo due. Nella sua stessa essenza, la mia esistenza è relazione. Esisto solo perché sono voluto dall’altro. Riconoscere questa assoluta dipendenza vuol dire semplicemente ratificare quel che io sono. Esisto soltanto perché sono amato. E per me esistere sarà un amare a mia volta, rispondere alla grazia con un ringraziamento»[26]. La Rivelazione cristiana ci fa conoscere un Dio che si regge su questa logica. Un Dio che crea per Amore, per una sovrabbondanza d’Amore. E ancora: un Dio che è Amore. E proprio nell’incontro con Lui scopriamo il nostro volto personale: scopriamo chi siamo.

Il volto di Dio

«Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione – osservava Benedetto XVI appena eletto alla sede di Pietro -. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario»[27]. Questa realtà non è semplicemente oggetto di una approvazione intellettuale. In altre parole, non basta dire: «D’accordo, lo capisco». È una favilla che infiamma la vita intera: dà una visione del cristianesimo che supera di molto quella di un sistema intellettuale e trasforma l’esistenza alla radice.

Riconoscere che io non sono la mia origine significa aprirmi all’infinità di Dio; significa riconoscere che esisto solo perché sono voluto dall’altro.

Grazie a questa nuova concezione, la preghiera ricopre un posto centrale nell’esistenza, come possiamo vedere nella vita di Gesù[28]. Lungi da certe concezioni che ne stravolgono il senso, la preghiera non consiste in uno svuotamento di sé, né in una servile osservanza di una volontà estranea. Lo spiega bene Papa Francesco quando descrive come prega: «Sento come se fossi nelle mani di un altro, come se Dio mi avesse preso per mano. Credo che bisogna arrivare alla alterità trascendente del Signore, che è Signore di tutto, ma che rispetta sempre la nostra libertà»[29]. La preghiera è, allora, prima di tutto, la scoperta che stiamo con Dio: con Qualcuno che è vivo, reale, ma che non sono io; Qualcuno nel quale scopro davvero chi sono io, nel quale scopro il mio vero volto.

Nel riconoscerci creati da Dio, dunque, non ci sentiamo negati, ma piuttosto confermati. Qualcuno ci ha detto: «È bene che tu esista!». Questo Qualcuno, inoltre , lo ha ratificato e lo ha definito per sempre dando la vita per ciascuno di noi. L’alternativa davanti a Dio non è sottomettersi o ribellarsi, ma chiudersi all’amore o, semplicemente, lasciarsi amare e rispondere amando. La nostra Origine è l’Amore, e per l’Amore siamo stati scelti e chiamati da Dio. Perciò quando in cielo «vedremo il volto di Dio, sapremo che da sempre lo abbiamo conosciuto. Ha fatto, sostenuto e mosso, istante per istante, da dentro, tutte le nostre esperienze terrene di puro amore. Tutto ciò che in esse era amore autentico, anche sulla terra era molto più Suo che nostro, ed era nostro soltanto per essere Suo»[30].

Lucas Buch – Carlos Ayxelá

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Letture di approfondimento

Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, 24-XI-2013, nn. 264-267: “L’amore personale con Gesù ci salva”.

Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 29-VI-2013, nn. 8-39.

Benedetto XVI, Udienza, 16-I-2013.

Pontificio Consiglio per la Cultura e Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (2003), Gesù Cristo portatore di acqua viva. Una riflessione cristiana sul «New Age» (intorno al cristianesimo, al successo del New Age e di altre spiritualità).

Congregazione per la dottrina della fede (1989), Orationis Formas. Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana (intorno alla relazione personale con Dio, come aspetto essenziale della preghiera cristiana).

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Borghello, U. Liberare l’amore. La comune idolatria, l’angoscia in agguato, la salvezza cristiana, capp. 2-4), Ares, 2009.

Burggraf, J. “La libertad, don y tarea” (disponibile on-line), in Burggraf, J. La transmisión de la fe en la sociedad postmoderna y otros escritos, Eunsa, 2015.

J. Daniélou, Dio e noi, BUR, Milano 2009 (orig. Dieu et nous).

R. Guardini, Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 1962 (orig. Die Annahme seiner selbst).

Mondo e persona. Saggio di antropologia cristiana, Morcelliana 2000 (orig. Welt und Person. Versuche zur christlichen Lehre vom Menschen).

Ratzinger, J. Introduzione al cristianesimo (I.4.2 “Il Dio personale”), Queriniana 1969 (orig. Einführung in das Christentum).

- Il Dio di Gesù Cristo (I.1 “Dio ha un nome”), Queriniana 1978 (orig. Der Gott Jesu Christi. Betrachtungen über den Dreieinigen Gott).

-Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo (I.1 “L'unità e la pluralità delle religioni. Il luogo della fede cristiana nella storia delle religioni”), Cantagalli 2003 (orig. Glaube, Wahrheit, Toleranz. Das Christentum und die Welreligionen).

- “Il significato di persona in teología”, in Ratzinger, J. Dogma e predicazione, Queriniana 1974 (orig. “Zum Personverständnis in Theologie”). Disponibile on-line in inglese.

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[1] «Io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra» (Gn 4, 14); «Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es 33, 20); «Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio» (Nm 6, 25); «Perché mi nascondi la tua faccia e mi consideri come un nemico?» (Gb 13, 24); «Quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 42, 3); «Non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso» (Ger 3, 12); «Vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte» (Ap 22, 4).

[2] Benedetto XVI, Omelia, 21-VIII-2005.

[3]Ibidem.

[4] J.-H. Newman, Lectures on the Prophetical Office of the Church, Londra 1838, p. 429.

[5] Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 29-VI-2013, n. 2.

[6] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 174.

[7] Papa Francesco, Es. Ap. Evangelii gaudium, 24-XI-2013, n. 3.

[8] Papa Francesco, Udienza generale, 11-X-2017.

[9] Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 29-VI-2013, n. 13.

[10] Ibidem.

[11] Cfr., per esempio, Bar 6, 45-51; Ger 2, 28; Is 2, 8; 37, 19.

[12] Papa Francesco, Enc. Lumen Fidei, 29-VI-2013, n. 13.

[13] Ibidem.

[14] San Josemaría, Amici di Dio, n. 260.

[15] Benedetto XVI, Lectio divina, 12-II-2010.

[16] Ibidem.

[17] Cfr. U. Borghello, Liberare l’amore, Ares, Milano 2009, p. 34.

[18] R. Guardini, Il Signore, IV.6, “Rivelazione e mistero”.

[19] P. Salinas, La voz a ti debida in Poesías Completas, Barral 1971, p. 223.

[20] Con l’immagine delle “ali” san Giovanni Paolo II si riferisce alla fede e alla ragione all’inizio della sua enciclica Fides et Ratio (14-IX-1998).

[21] J. Daniélou, Dio e noi, BUR, Milano 2009 (il corsivo è nostro).

[22] Cfr. Sant’Agostino, Enarrationes in Psalmos, 41, nn. 13-14.

[23] Sant’Agostino, Confessioni III.6.11.

[24] R. Guardini, Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 1962.

[25] Questa è la definizione dell’amore che dà J. Pieper nella sua opera Le virtù cardinali, Morcelliana, Brescia 1957.

[26] J. Daniélou, Dio e noi, BUR, Milano 2009.

[27] Benedetto XVI, Omelia nella Messa di inizio del pontificato, 24-IV-2005.

[28] Cfr. Benedetto XVI, Udienza, 30-XI-2011.

[29] S. Rubin – F. Ambrogetti, Papa Francesco, Salani, Firenze 2013.

[30] C.S. Lewis, I quattro amori, Jaca Book 1982.