La luce della fede (VIII): Il percorso della liberazione: dal peccato alla grazia

Se il peccato è entrato nel genere umano mediante un esercizio sbagliato della libertà, l’«avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38) pronunciato da Maria ha aperto una nuova tappa nella Storia: il Figlio di Dio è sceso sulla terra per donare la propria vita in un atto supremo di libertà, in quanto originato nell’Amore.

Dopo che Adamo ed Eva ebbero mangiato il frutto dell’albero proibito, il Signore «scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita» (Gn 3, 24). Cominciava così il dramma della storia umana: l’uomo e la donna cammineranno come esiliati dalla loro vera patria, che si caratterizzava per la comunione con Dio. Ne parla in modo meraviglioso Dante all’inizio della sua Divina commedia: «Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita»[1]. Tuttavia questo andare non è una notte senza luce; il Signore enunciò anche una speranza: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gn 3, 15). La venuta di Cristo segnerà il passaggio dal peccato alla vita della grazia.

La “colpa” originale

È la conoscenza di Dio che fa nascere il senso del peccato, e non viceversa. Non riusciremo a comprendere il peccato originale e le sue conseguenze se non percepiamo, prima di tutto, la Bontà di Dio nel creare l’uomo e la grandezza del suo destino. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Il primo uomo non solo è stato creato buono, ma è stato anche costituito in una tale amicizia con il suo Creatore e in una tale armonia con se stesso e con la creazione, che saranno superate soltanto dalla gloria della nuova creazione in Cristo»[2].

È la conoscenza di Dio che fa nascere il senso del peccato, e non viceversa.

Il peccato di Adamo ed Eva introdusse una rottura fondamentale nell’unità interna dell’uomo. L’assoggettamento della volontà umana alla Volontà divina, che era come la chiave di volta dell’arco delle facoltà corporee e spirituali della natura umana, fu infranto dalla disobbedienza a Dio e, una volta tolta la chiave di volta, tutto l’arco crollò. Di conseguenza, «L’armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta: la padronanza delle facoltà spirituali dell’anima sul corpo è infranta (cfr. Gn 3, 7)»[3].

Questo primo peccato viene chiamato originale e si trasmette, insieme alla natura umana, da padre a figlio, con l’unica eccezione, per uno speciale privilegio di Dio, della Santissima Vergine Maria. «Per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori» (Rm 5, 19), dice san Paolo. Indubbiamente questa realtà è difficile da capire, e anche un po’ scandalosa per la coscienza di oggi: «Se io non ho fatto nulla, perché devo addossarmi questo peccato?».

Il Catechismo della Chiesa Cattolica affronta questo tema: «Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato “peccato” in modo analogico[4]: è un peccato “contratto” e non “commesso”, uno stato e non un atto»[5]. Riflettendo su questo tema, Ronald Knox ha scritto che «si risparmierebbe moltissimo lavoro se arrivassimo tutti all’accordo di chiamare colpa originale il peccato originale. Il peccato, infatti, secondo la mentalità dell’uomo comune, è qualcosa che egli stesso commette, mentre la colpa è qualcosa che gli può essere attribuita senza nessuna mancanza da parte sua»[6].

Questo è quel che succede con il peccato originale: i nostri progenitori peccarono e, nel farlo, perdettero la santità e la giustizia originali che Dio aveva loro concesso, e la loro natura restò «ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato»[7]. E dato che nessuno può lasciare in eredità ciò che non possiede più, Adamo ed Eva non furono in grado di lasciarci quello che avevano perduto: lo stato di santità e di giustizia originali, e la natura integra. Ci hanno trasmesso la loro natura, così come era in quel momento: ferita dal peccato. Per questa sant’Agostino ha potuto scrivere : «Da loro non poteva provenire un essere diverso da quel che essi erano stati. La condanna che seguì alla gravità della colpa deteriorò la natura dell'uomo. Così la condizione che precedette per condanna nei progenitori seguì anche per natura nei discendenti»[8].

Or dunque, il peccato originale è la causa dello stato in cui noi ci troviamo per la cattiva eredità ricevuta e, come afferma il Catechismo, «in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale»[9]. Però tutti veniamo al mondo gravati dalle sue conseguenze: una certa ignoranza intellettuale, una vita segnata dalla sofferenza, sottoposti al dominio della morte, la volontà incline al peccato e le passioni disordinate. Ogni persona ha fatto esperienza di questa disgregazione, di questa incoerenza, di questa debolezza interiore.

Quante volte ci proponiamo qualcosa che poi non facciamo! Adottare un tipo di vitto adeguato alla salute, dedicare ogni giorno un certo tempo all’apprendimento di una lingua estera, trattare i figli con più dolcezza, non arrabbiarsi con i genitori o con il coniuge, non lamentarsi del lavoro, aiutare un povero o un malato, stare generosamente insieme ai più vulnerabili, parlare bene degli altri e rallegrarsi dei loro successi, guardare il mondo e le persone con purezza di cuore... Per non parlare delle volte che facciamo esattamente quello che non vorremmo: lasciarci trascinare da uno scoppio d’ira ingiustificata, soccombere alla pigrizia anziché servire con amore, scusarci con una menzogna per non restare male, cedere alla curiosità in internet...

il peccato originale è la causa dello stato in cui noi ci troviamo per la cattiva eredità ricevuta

Si fa esperienza anche della tirannide del desiderio che, cercando impulsivamente un bene apparente, particolare e limitato (un piacere, un privilegio, il potere, la fama, il denaro, ecc.), trascina nella sua direzione una volontà indebolita, sviandola dal bene integro e autentico della persona (la felicità, la vita con Dio) che dovrebbe perseguire. Allo stesso modo l’intelligenza, luce per indicare questo fine autentico, viene oscurata e corre il rischio di trasformarsi in un semplice strumento per ottenere ciò che una volontà resa schiava dal desiderio ha già deciso di cercare.

Ma non tutto nell’uomo è maledetto, tutt’altro. La natura umana non è completamente corrotta, ma conserva una sua bontà essenziale. Veniamo al mondo con i “semi” di tutte le virtù, chiamati a svilupparsi con l’aiuto degli altri, l’esercizio della nostra libertà e la grazia di Dio. In realtà la virtù riguarda più ciò che veramente siamo che non il peccato, dato che quest’ultimo è sempre un atto contro la natura, un «atto suicida»[10]. Benedetto XVI si esprimeva in questi termini: «Si dice: “ha mentito”, “è umano”; “ha rubato”, “è umano”; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia»[11].

Dalla schiavitù alla liberazione

Alla radice di ogni peccato c’è il dubbio su Dio, il sospetto che forse non vuole o non può farci felici: «È così buono come dice di essere? Non ci starà ingannando?». «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?» (Gn 3, 1), dice il serpente a Eva. E quando lei risponde che non è così, che solo dell’albero che sta in mezzo al giardino hanno la proibizione di mangiare per non morire, il serpente semina nel suo cuore il veleno della diffidenza: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn 3, 4-5). In realtà, dietro questa falsa promessa di libertà infinita, di autonomia assoluta della volontà (impossibile per una creatura), si nasconde una grande menzogna. Infatti il tentativo di aggiustare le cose per conto nostro, senza appoggiarci in Dio, appare come la lusinga del male che ci rende schiavi e ci incatena, perché ci impedisce di essere felici con Dio.

Il peccato può comparire perché siamo liberi, vive di questa libertà, ma finisce con l’ucciderla. Promette molto e non dà altro che dolore. È un inganno che ci fa diventare «schiavi del peccato» (Rm 6, 17). Infatti «il male non è una creatura, ma qualcosa di simile a una pianta parassita. Vive di ciò che porta via agli altri e alla fine uccide se stessa come fa la pianta parassita quando s’installa nel suo ospitante e lo uccide»[12].

Se il peccato è entrato nel genere umano a causa di una pratica sbagliata della libertà, anche il rimedio a questo e l’inizio di una vita nuova è arrivato per una libera decisione. L’«avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38), che la Madonna ha pronunciato in assoluta libertà, ha aperto una nuova tappa nella storia, la pienezza dei tempi. Così il Figlio di Dio scese sulla terra per dare la sua vita in un atto supremo di libertà, in quanto ha avuto origine nell’amore: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu» (Mt 26, 39). E ora ci innalza, perché possiamo rispondere perché mi fa piacere al suo invito di «entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21).

È proprio con la nostra libertà di figli di Dio che possiamo lasciarci guardare e guidare di nuovo dal Signore, ricorrendo con umiltà a Lui, che ci rinnova interiormente con la sua grazia. Apprendiamo così che «la volontà di Dio non è per l'uomo una legge imposta dall'esterno che lo costringe, ma la misura intrinseca della sua natura, una misura che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera»[13]. In realtà Dio è il garante della nostra libertà. È libero chi si lascia amare da Dio, chi non diffida di Lui, chi crede nel suo Amore. Con la fede scompaiono i limiti che ci impongono il dubbio, la menzogna, la cecità e l’assurdo. Con la speranza si demoliscono la paura, lo scoraggiamento, l’inquietudine, la colpevolezza che ci attanagliano. Con la carità lasciamo indietro l’egoismo, l’avarizia, il ripiegamento su se stesso, le frustrazioni e le amarezze che riducono la misura della nostra vita.

La grazia di Dio

La risposta di Dio ai nostri peccati è l’Incarnazione e la Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo,

Nel suo ultimo libro San Giovanni Paolo II la scritto che «la Redenzione è il limite divino imposto al male per la semplice ragione che in essa il male è vinto alla radice dal bene, l’odio dall’amore, la morte dalla Risurrezione»[14]. La risposta di Dio ai nostri peccati è l’Incarnazione e la Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo, «il quale – afferma san Paolo – è stato messo a morte per i nostri peccati» (Rm 4, 25). Egli ci riconcilia con Dio, ci libera dalla schiavitù del peccato e ci concede il dono della grazia: «il dono gratuito che Dio ci dà per renderci partecipi della sua vita trinitaria e capaci di agire per amor suo»[15]. Non dovremmo abituarci a questa realtà: la grazia è un dono non meritato, una partecipazione alla vita divina, ci introduce nell’intimità amorosa di Dio e ci rende capaci di operare in un modo nuovo: come figli di Dio.

La grazia è molto più abbondante del peccato: «laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5, 20). E molto più forte. In un famoso romanzo la protagonista si accosta al confessionale e lì dichiara il suo peccato definendolo come gravissimo. La risposta che ascolta da parte del confessore è questa: «No, figlia mia – diceva serenamente e quasi con freddezza –, lei non ha offeso Dio più gravemente di una infinità di uomini: sia umile anche nella confessione del suo peccato! Grande, nella sua vita, è stata soltanto la Grazia; solo la Grazia è sempre grande. Il peccato in sé, il suo stesso peccato, è piccolo e comune»[16]. Ecco perché san Josemaría poteva affermare: «Il Padre del Cielo perdona qualsiasi offesa, quando il figlio torna a Lui, quando si pente e chiede perdono. Anzi, il Signore è a tal punto Padre da prevenire il nostro desiderio di perdono: è Lui a farsi avanti aprendoci le braccia con la sua grazia»[17]. Una grazia che ci viene concessa in abbondanza nell’orazione e nei sacramenti. E che si riacquista, se si è perduta a causa di un peccato grave, nel sacramento della Penitenza[18].

Uno degli inni della Liturgia delle Ore recita così: «Rimargina, Signore, con la pioggia della tua grazia, le ferite della nostra anima malata, affinché, soffocando i cattivi desideri, io possa condannare i peccati con le lacrime»[19]. La grazia guarisce le ferite del peccato nella nostra anima: identifica la volontà umana con la Volontà Divina mediante l’Amore di Dio, illumina l’intelligenza mediante la fede, ordina le passioni al vero fine dell’uomo e la sottomette alla ragione, ecc. In una parola: è la medicina dell’intero nostro essere. In definitiva: «Non c’è nulla di meglio al mondo che stare in grazia di Dio»[20].

Forse alcune persone si domanderanno: «Se la grazia di Dio è così potente, perché non ha effetti più decisivi sulle persone?». Ancora una volta ci imbattiamo nel mistero della libertà umana. «La grazia previene, prepara e suscita la libera risposta dell’uomo»[21], ma non forza la sua libertà. «Chi ti ha creato senza di te non ti salverà senza di te»[22], sentenziava sant’Agostino. Abbiamo a nostra disposizione una centrale nucleare di migliaia di megawatt, ma dobbiamo collegarla alla rete di casa nostra se vogliamo che questa energia ci illumini, ci riscaldi e ci sia utile. Dobbiamo ricevere la grazia con umiltà, con gratitudine e pentendoci dei nostri peccati, e lottare con amore per seguire con docilità i suoi impulsi. Senza perdere mai di vista, come ci ricorda Papa Francesco, che «questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita»[23]. Eviteremo così ogni ombra di volontarismo, consapevoli dell’assoluta priorità che la grazia deve avere nella nostra vita.

«La grazia previene, prepara e suscita la libera risposta dell’uomo»

Ma il fatto è che, inoltre, «in questa vita le fragilità umane non sono sanate completamente e una volta per tutte dalla grazia»[24]. «La grazia, proprio perché suppone la nostra natura, non ci rende di colpo superuomini. Pretenderlo sarebbe confidare troppo in noi stessi [...]. Infatti, se non riconosciamo la nostra realtà concreta e limitata, neppure potremo vedere i passi reali e possibili che il Signore ci chiede in ogni momento, dopo averci attratti e resi idonei col suo dono. La grazia agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma in modo progressivo. Perciò, se rifiutiamo questa modalità storica e progressiva, di fatto possiamo arrivare a negarla e bloccarla, anche se con le nostre parole la esaltiamo»[25]. Con noi Dio è delicato e rispettoso. Ecco una riflessione del cardinale Ratzinger: «Io credo che Dio abbia fatto irruzione nella storia in un modo molto più delicato di quello che ci sarebbe piaciuto. Ma così è la sua risposta alla libertà. E se noi desideriamo e siamo d’accordo che Dio rispetti la libertà, dobbiamo rispettare e amare la delicatezza delle sue mani»[26]. Che sarebbe come dire: amare la delicatezza della sua grazia.

José Brage

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Bibliografia e articoli sul peccato e la grazia

Letture raccomandate

Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 374-421, 1846-1876 e 1987-2029.

Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 72-78 e 422-428.

―San Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica “Reconciliatio et Paenitentia” (2-XII-1984).

―Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale “Gaudium et spes” (7-XII-1965), nn. 13 e 37.

―Benedetto XVI, Omelia (8-XII-2005); Discorso agli studenti della Residenza Universitaria Santa Maria di Twickenham, Londra, 17-IX-2010; Incontro con i parroci della diocesi di Roma (18-II-2010).

―Papa Francesco, Esortazione Apostolica “Gaudete et exultate” (19-III-2018), nn. 47-62 e 158-165; Parole pronunciate durante la visita ad Auschwitz (29-VIII-2016); Parole pronunciate dalla finestra dell’Arcivescovado di Cracovia (29-VIII-2016).

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―Joseph Ratzinger, Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, 2006, capitolo “Sulla creazione”.

―Sant’Agostino, La Città di Dio, libri XIII e XIV: “La morte come pena del peccato” e “Il peccato e le passioni”.

―Santiago Sanz, La elevazione soprannaturale e il peccato originale, in “Riassunti di fede cristiana”, tema 7 (https://opusdei.org/it-it/page... Luis Lorda, Antropología teológica, EUNSA, Barañáin 2009, pag. 287-438.

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―Ronald Knox, El torrente oculto, Capitolo XVIII: “Pecado y perdón”.

―Thomas Merton, La montagna dalle sette balze, Garzanti, 2006.

―Dante Alighieri, La divina commedia.

―Evelyn Waugh, Ritorno a Brideshead, Bompiani, 2015.


[1] Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto I, 1-3.

[2]Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 374.

[3]Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 400.

[4] È opportuno intendere bene il concetto di analogia: è la relazione di somiglianza tra cose diverse. Applicato al nostro caso: la caduta originale è simile al peccato, ma è diversa dal peccato personale.

[5]Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 404.

[6] Knox, R., El torrente oculto, Rialp, Madrid 2000, p. 266.

[7]Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 405.

[8] Sant’Agostino, La Città di Dio, Libro XIII, III, 1.

[9] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 405.

[10] San Giovanni Paolo II, Es. Ap. Reconciliatio et Paenitentia (2-XII-1984), n. 15.

[11] Benedetto XVI, Incontro con i parroci della diocesi di Roma, 18-II-2010.

[12] Ratzinger, J., Dio e il mondo, San Paolo, 2001.

[13] Benedetto XVI, Omelia, 8-XII-2005.

[14] San Giovanni Paolo II, Memoria e identità, Rizzoli, 2005.

[15] Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 423.

[16] Le Fort, G. Von, Il velo della Veronica, 1928.

[17] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 64.

[18] Cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 310.

[19] Inno latino dei Vespri del martedì della XXV settimana del Tempo Ordinario.

[20] San Josemaría, Cammino, n. 286.

[21] Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 425.

[22] Sant’Agostino, Sermo 169, 13.

[23] Papa Francesco, Es. Ap. Gaudete et exultate (19-III-2018), n. 158.

[24] Ibidem, n. 49.

[25] Ibidem, n. 50.

[26] Ratzinger, J., Il sale della terra, San Paolo, 1997.