V. AMORE PER AMORE

164. Nelle esperienze spirituali di Santa Margherita Maria, insieme all’ardente dichiarazione d’amore di Gesù, troviamo anche una risonanza interiore che chiama a dare la vita. Sapere di essere amati e riporre tutta la nostra fiducia in questo amore non significa annullare tutte le nostre capacità di donazione, non implica di rinunciare all’insopprimibile desiderio di dare qualche risposta con le nostre piccole e limitate capacità.

UN LAMENTO E UNA RICHIESTA

165. A partire dalla seconda grande manifestazione a Santa Margherita, Gesù esprime il dolore perché il suo grande amore per gli uomini «non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenza», «freddezze e ripulse». «Questo – dice il Signore – mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia Passione»[162].

166. Gesù parla della sua sete di essere amato, mostrandoci che il suo Cuore non è indifferente alla nostra reazione al suo desiderio: «Ho sete, una sete tanto ardente di essere amato dagli uomini nel Santissimo Sacramento che mi consuma. Eppure non trovo nessuno che, secondo il mio desiderio, tenti di dissetarmi corrispondendo al mio amore»[163]. La richiesta di Gesù è l’amore. Quando il cuore credente lo scopre, la risposta che scaturisce spontaneamente non è un’onerosa ricerca di sacrifici o il mero adempimento di un pesante dovere, ma è una questione d’amore: «Ricevetti dal mio Dio grazie straordinarie del suo Amore; mi sentii spinta dal desiderio di ricambiarlo e di rendergli amore per amore»[164]. Così insegna Leone XIII, scrivendo che, mediante l’immagine del Sacro Cuore, la carità di Cristo «ci spinge a ricambiare amore per amore»[165].

PROLUNGARE IL SUO AMORE NEI FRATELLI

167. Dobbiamo tornare alla Parola di Dio per riconoscere che la migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli; non c’è gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore. La Parola di Dio lo dice con totale chiarezza:

«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

«Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Gal 5,14).

«Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (1 Gv 3,14).

«Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).

168. L’amore per i fratelli non si fabbrica, non è il risultato di un nostro sforzo naturale, ma richiede una trasformazione del nostro cuore egoista. Nasce allora spontaneamente la ben nota supplica: “Gesù, rendi il nostro cuore simile al tuo”. Per questo stesso motivo, l’invito di San Paolo non era: “Sforzatevi di fare opere buone”. Il suo invito era precisamente: «Abbiate tra voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).

169. È bene ricordare che nell’Impero romano molti poveri, forestieri e tante altre persone scartate trovavano nei cristiani rispetto, affetto e cura. Questo spiega il ragionamento dell’imperatore apostata Giuliano, che si chiedeva perché i cristiani fossero così rispettati e seguiti, e riteneva che una delle ragioni fosse il loro impegno di assistere i poveri e i forestieri, visto che l’Impero li ignorava e li disprezzava. Per questo imperatore era intollerabile che i suoi poveri non ricevessero aiuto da parte sua, mentre gli odiati cristiani «sfamano i loro, e pure i nostri»[166]. In una lettera si sofferma soprattutto sull’ordine di creare istituzioni di beneficenza per competere con i cristiani e attirare il rispetto della società: «Apri in tutte le città numerosi alloggi, affinché gli stranieri possano godere della nostra umanità. [...] Abitua gli Elleni alle opere di beneficienza»[167]. Ma egli non raggiunse il suo obiettivo, sicuramente perché dietro tali opere non c’era l’amore cristiano, che permetteva di riconoscere ad ogni persona una dignità unica.

170. Identificandosi con i più piccoli della società (cfr Mt 25,31-46) «Gesù ha portato la grande novità del riconoscimento della dignità di ogni persona, ed anche e soprattutto di quelle persone che erano qualificate come “indegne”. Questo principio nuovo nella storia umana, per cui l’essere umano è tanto più “degno” di rispetto e di amore quanto più è debole, misero e sofferente, fino a perdere la stessa “figura” umana, ha cambiato il volto del mondo, dando vita a istituzioni che si prendono cura delle persone che si trovano in condizioni disagiate: i neonati abbandonati, gli orfani, gli anziani lasciati soli, i malati mentali, le persone affette da malattie incurabili o con gravi malformazioni, coloro che vivono per strada»[168].

171. Anche dal punto di vista della ferita del suo Cuore, guardare al Signore, che «ha preso su di sé le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie» (Mt 8,17), ci aiuta a prestare maggiore attenzione alle sofferenze e ai bisogni degli altri, ci rende forti per partecipare alla sua opera di liberazione, come strumenti per la diffusione del suo amore[169]. Se contempliamo il dono di sé che Cristo ha fatto per tutti, diventa inevitabile chiederci perché non siamo capaci di dare la vita per gli altri: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16).

ALCUNE RISONANZE NELLA STORIA DELLA SPIRITUALITÀ

172. Questa unione tra la devozione al Cuore di Gesù e l’impegno verso i fratelli attraversa la storia della spiritualità cristiana. Vediamo alcuni esempi.

Essere una fonte per gli altri

173. A partire da Origene, diversi Padri della Chiesa hanno interpretato il testo di Giovanni 7,38 – «dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» – come riferito al credente stesso, sebbene sia la conseguenza del fatto che egli stesso ha bevuto da Cristo. Così l’unione con Cristo mira non solo a saziare la propria sete bensì a farci diventare una fonte di acqua fresca per gli altri. Origene diceva che Cristo realizza la sua promessa facendo sgorgare da noi torrenti d’acqua: «L’anima dell’essere umano, che è a immagine di Dio, può contenere in sé e produrre da sé pozzi, sorgenti e fiumi»[170].

174. Sant’Ambrogio raccomandava di bere da Cristo «affinché abbondi in te la sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»[171]. E Mario Vittorino sosteneva che lo Spirito Santo si dona con tale abbondanza che «chi lo riceve diventa un grembo che riversa fiumi di acqua viva»[172]. Sant’Agostino diceva che questo fiume che sgorga dal credente è la benevolenza[173]. San Tommaso d’Aquino ha ribadito questa idea sostenendo che quando qualcuno «si affretta a comunicare agli altri i vari doni della grazia che ha ricevuto da Dio, dal suo seno sgorga acqua viva»[174].

175. Infatti, se «il sacrificio della Croce, offerto con animo amante e obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante e infinita per le colpe del genere umano»[175], la Chiesa, che nasce dal Cuore di Cristo, prolunga e comunica in ogni tempo e in ogni luogo gli effetti dell’unica Passione redentrice, che orientano le persone all’unione diretta con il Signore.

176. Nel seno della Chiesa, la mediazione di Maria, interceditrice e madre, può essere compresa solo «come partecipazione a questa unica fonte che è la mediazione di Cristo stesso»[176], l’unico Redentore, e «la Chiesa non dubita di riconoscere questa funzione subordinata a Maria»[177]. La devozione al cuore di Maria, infatti, non vuole togliere nulla all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, ma stimolarla: «La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia»[178]. Grazie all’immensa sorgente che sgorga dal costato aperto di Cristo, la Chiesa, Maria e tutti i credenti, in modi diversi, diventano canali di acqua viva. In questo modo Cristo stesso dispiega la sua gloria nella nostra piccolezza.

Fraternità e mistica

177. San Bernardo, mentre invitava all’unione con il Cuore di Cristo, utilizzava la ricchezza di questa devozione per proporre un cambiamento di vita fondato sull’amore. Egli riteneva che fosse possibile una trasformazione dell’affettività, resa schiava dai piaceri, che non si libera con la cieca obbedienza a un comando, ma in una risposta alla dolcezza dell’amore di Cristo. Il male si supera con il bene, il male si vince con la crescita dell’amore: «Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto l’affetto del cuore, amalo con tutta l’attenzione e la cura della ragione, amalo poi con tutte le tue forze; non aver timore di morire per amor suo […]. Il Signore Gesù sia dolce e soave al tuo affetto, contro gli allettamenti piacevoli ma rovinosi della vita carnale; la dolcezza vinca la dolcezza, come chiodo scaccia chiodo»[179].

178. San Francesco di Sales si lasciava illuminare soprattutto dalla richiesta di Gesù: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). In questo modo, diceva, nelle cose più semplici e ordinarie rubiamo il cuore al Signore: «Sarà contento di noi solo se avremo cura di servirlo bene nelle cose importanti e di rilievo come nelle piccole e insignificanti; sia con le une che con le altre, possiamo rapirgli il cuore […]. I piccoli gesti quotidiani di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza del marito o della moglie, un vaso rotto, un dispetto, una smorfia, la perdita di un guanto, di un anello, di un fazzoletto; quel piccolo sforzo per andare a letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon’ora per pregare, per fare la comunione; quella piccola vergogna che si prova a fare in pubblico un atto di devozione; a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate con amore fanno infinitamente piacere alla Bontà divina»[180]. Ma, in definitiva, la chiave della nostra risposta all’amore del Cuore di Cristo è l’amore per il prossimo: «un amore stabile, costante, immutabile, che, non soffermandosi sulle inezie, né sulle qualità o sulle condizioni delle persone, non è soggetto a cambiamenti o ad antipatie. [...] Nostro Signore ci ama senza interruzione, sopporta i nostri difetti come le nostre imperfezioni; dobbiamo quindi fare lo stesso nei confronti dei nostri fratelli, senza mai stancarci di sopportarli»[181].

179. San Charles de Foucauld voleva imitare Gesù, vivere come Lui, agire come Lui agiva, fare sempre ciò che Gesù avrebbe fatto al suo posto. Per realizzare pienamente questo obiettivo, aveva bisogno di conformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo. Così compare ancora una volta l’espressione “amore per amore”, quando dice: «Desiderio di sofferenze per rendergli amore per amore; […] per partecipare al suo compito offrirmi con lui, nonostante il nulla che sono, come sacrificio, come vittima, per la santificazione degli uomini»[182]. Il desiderio di portare l’amore di Gesù, il suo impegno missionario tra i più poveri e dimenticati della terra, lo condusse ad assumere come motto Iesus Caritas, con il simbolo del Cuore di Cristo sormontato da una croce[183]. Non è stata una decisione superficiale: «Con tutte le mie forze cerco di mostrare, di provare a questi poveri fratelli sviati che la nostra religione è tutta carità, tutta fraternità, che il suo emblema è un Cuore»[184]. Ed il suo desiderio era di stabilirsi con altri fratelli «in Marocco nel nome del Cuore di Gesù»[185]. In tal modo la loro opera evangelizzatrice sarebbe stata un’irradiazione: «La carità deve irradiare dalle fraternità, come irradia dal cuore di Gesù»[186]. Questo desiderio lo ha reso a poco a poco un fratello universale, perché, lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, voleva ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente: «Il nostro cuore, come quello della Chiesa, come quello di Gesù, deve abbracciare tutti gli uomini»[187]. «L’amore del Cuore di Gesù per gli uomini, questo amore che Egli manifesta nella sua Passione, ecco quello che dobbiamo avere per tutti gli esseri umani»[188].

180. Don Huvelin, direttore spirituale di San Charles de Foucauld, diceva che «quando nostro Signore vive in un cuore, gli dà questi sentimenti, e questo cuore si abbassa verso i piccoli. Tale era la disposizione del cuore di un Vincenzo de’ Paoli. [...] Quando nostro Signore vive nell’anima di un sacerdote lo inclina verso i poveri»[189]. È importante notare come questa dedizione di San Vincenzo, che Don Huvelin descrive, fosse pure alimentata dalla devozione al Cuore di Cristo. Vincenzo esortava ad attingere “al cuore di Nostro Signore qualche parola di consolazione per il povero malato”[190]. Perché questo si realizzi, è necessario che il proprio cuore sia stato trasformato dall’amore e dalla mitezza del Cuore di Cristo, e San Vincenzo ripeteva molto questa convinzione nelle sue prediche e nei suoi consigli, tanto da farla diventare un elemento di spicco delle Costituzioni della sua Congregazione: «Tutti porranno anche il massimo impegno nell’imparare questa lezione insegnataci da Gesù: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”; tenendo conto che, come dice Egli stesso, con la mitezza si possiede la terra, perché con la pratica di questa virtù si guadagnano i cuori degli uomini per convertirli a Dio, ciò che non possono ottenere quanti si comportano con il prossimo in maniera dura e aspra»[191].

LA RIPARAZIONE: COSTRUIRE SULLE ROVINE

181. Tutto questo ci permette di comprendere, alla luce della Parola di Dio, quale significato dobbiamo dare alla “riparazione” offerta al Cuore di Cristo, che cosa il Signore si aspetta veramente che noi ripariamo con l’aiuto della sua grazia. Si è discusso molto a tale riguardo, ma San Giovanni Paolo II ha offerto una risposta chiara per orientare noi cristiani di oggi verso uno spirito di riparazione più in sintonia con il Vangelo.

Significato sociale della riparazione al Cuore di Cristo

182. San Giovanni Paolo II ha spiegato che, offrendoci insieme al Cuore di Cristo, «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo»; questo implica certamente che siamo in grado di «unire all’amore filiale verso Dio l’amore del prossimo»; ebbene, «questa è la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore»[192]. Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. Questo vuol dire riparare come il Cuore di Cristo si aspetta da noi. In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza.

183. È certo che ogni peccato danneggia la Chiesa e la società, per cui «a ciascun peccato si può attribuire […] il carattere di peccato sociale», anche se questo vale soprattutto per alcuni peccati che «costituiscono, per il loro oggetto stesso, un’aggressione diretta al prossimo»[193]. San Giovanni Paolo II ha spiegato che la ripetizione di questi peccati contro gli altri finisce molte volte per consolidare una “struttura di peccato” che influisce sullo sviluppo dei popoli[194]. Ciò fa spesso parte di una mentalità dominante che considera normale o razionale quello che in realtà è solo egoismo e indifferenza. Tale fenomeno si può definire alienazione sociale: «È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana»[195]. Non è solo una norma morale ciò che ci spinge a resistere a queste strutture sociali alienate, a metterle a nudo e a propiziare un dinamismo sociale che ripristini e costruisca il bene, ma è la stessa «conversione del cuore» che «impone l’obbligo»[196] di riparare tali strutture. È la nostra risposta al Cuore amante di Gesù Cristo che ci insegna ad amare.

184. Proprio perché la riparazione evangelica possiede questo forte significato sociale, i nostri atti di amore, di servizio, di riconciliazione, per essere effettivamente riparatori, richiedono che Cristo li solleciti, li motivi, li renda possibili. Diceva ancora San Giovanni Paolo II che per costruire la civiltà dell’amore l’umanità di oggi ha bisogno del Cuore di Cristo[197]. La riparazione cristiana non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori, che pure sono indispensabili e talvolta ammirevoli. Essa esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscano forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che vengono dal Cuore di Cristo.

Riparare i cuori feriti

185. Del resto, una riparazione meramente esteriore non basta né al mondo né al Cuore di Cristo. Se ognuno pensa ai propri peccati e alle loro conseguenze sugli altri, scoprirà che riparare il danno fatto a questo mondo implica anche il desiderio di riparare i cuori feriti, dove si è procurato il danno più profondo, la ferita più dolorosa.

186. Uno spirito di riparazione «ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda. Una riparazione completa a volte sembra impossibile, quando beni o persone care vengono persi definitivamente o quando certe situazioni sono diventate irreversibili. Ma l’intenzione di riparare e di farlo concretamente è essenziale per il processo di riconciliazione e il ritorno della pace nel cuore»[198].

La bellezza di chiedere perdono

187. La buona intenzione non basta; è indispensabile un dinamismo interiore di desiderio che provochi conseguenze esterne. In sostanza, «la riparazione, per essere cristiana, per toccare il cuore della persona offesa e non essere un semplice atto di giustizia commutativa, presuppone due atteggiamenti impegnativi: riconoscersi colpevole e chiedere perdono. [...] È da questo onesto riconoscimento del male arrecato al fratello, e dal sentimento profondo e sincero che l’amore è stato ferito, che nasce il desiderio di riparare»[199].

188. Non si deve pensare che riconoscere il proprio peccato davanti agli altri sia qualcosa di degradante o dannoso per la nostra dignità umana. Al contrario, è smettere di mentire a sé stessi, è riconoscere la propria storia così com’è, segnata dal peccato, soprattutto quando abbiamo fatto del male ai nostri fratelli: «Accusare sé stessi fa parte della saggezza cristiana. [...] Questo piace al Signore, perché il Signore accoglie il cuore contrito»[200].

189. Fa parte di questo spirito di riparazione l’abitudine di chiedere perdono ai fratelli, che rappresenta una grande nobiltà in mezzo alla nostra fragilità. Chiedere perdono è un modo di guarire le relazioni perché «riapre il dialogo e manifesta la volontà di ristabilire il legame nella carità fraterna. [...] Tocca il cuore del fratello, lo consola e suscita in lui l’accoglienza del perdono richiesto». Così, «se l’irreparabile non può essere completamente riparato, l’amore può sempre rinascere, rendendo sopportabile la ferita»[201].

190. Un cuore capace di compunzione può crescere nella fraternità e nella solidarietà, perché «chi non piange regredisce, invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima, fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, quello matura. Si lega sempre meno a sé stesso e più a Cristo, e diventa povero in spirito. In tal modo si sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio»[202]. Di conseguenza, nasce un autentico spirito di riparazione, perché «chi si compunge nel cuore si sente più fratello di tutti i peccatori del mondo, si sente più fratello, senza parvenza di superiorità o asprezza di giudizio, ma sempre con il desiderio di amare e riparare»[203]. Questa solidarietà generata dalla compunzione rende allo stesso tempo possibile la riconciliazione. La persona capace di compunzione, «anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male commesso dai fratelli, piange per i loro peccati. Non si scandalizza. Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri»[204].

LA RIPARAZIONE: UN PROLUNGAMENTO PER IL CUORE DI CRISTO

191. C’è un altro modo complementare di intendere la riparazione, che ci permette di collocarla in un rapporto ancora più diretto con il Cuore di Cristo, senza escludere da questa riparazione l’impegno concreto verso i nostri fratelli e sorelle di cui abbiamo parlato.

192. In un altro contesto ho affermato che «in qualche modo, Egli [Dio] ha voluto limitare sé stesso» e «molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore»[205]. La nostra collaborazione può permettere alla potenza e all’amore di Dio di diffondersi nella nostra vita e nel mondo, mentre il rifiuto o l’indifferenza possono impedirlo. Alcune espressioni bibliche lo esprimono metaforicamente, come quando il Signore reclama: «Se vuoi davvero ritornare, Israele, a me dovrai ritornare» (Ger 4,1). O quando dice, di fronte al rifiuto del suo popolo: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8).

193. Benché non sia possibile parlare di una nuova sofferenza del Cristo glorioso, «il Mistero pasquale di Cristo […] e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente»[206]. Possiamo invece dire che Egli stesso ha accettato di limitare la gloria espansiva della sua risurrezione, di contenere la diffusione del suo immenso e ardente amore per lasciare spazio alla nostra libera cooperazione con il suo Cuore. Questo è tanto reale che il nostro rifiuto lo ferma in tale impulso di donazione, così come la nostra fiducia e l’offerta di noi stessi apre uno spazio, offre un canale libero da ostacoli all’effusione del suo amore. Il nostro rifiuto o la nostra indifferenza limitano gli effetti della sua potenza e la fecondità del suo amore in noi. Se non trova in me fiducia e apertura, il suo amore viene privato – perché Lui stesso così ha voluto – del suo prolungamento nella mia vita, che è unica e irripetibile, e nel mondo in cui mi chiama a renderlo presente. Ciò non deriva da una sua fragilità, ma dalla sua infinita libertà, dalla sua paradossale potenza e dalla perfezione del suo amore per ciascuno di noi. Quando l’onnipotenza di Dio si mostra nella debolezza della nostra libertà, «soltanto la fede può riconoscerla»[207].

194. Infatti, Santa Margherita Maria racconta che, in una delle manifestazioni di Cristo, Egli le parlò del suo Cuore appassionato d’amore per noi, che «non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle»[208]. Dal momento che il Signore, che tutto può, nella sua divina libertà ha voluto avere bisogno di noi, la riparazione si intende come rimuovere gli ostacoli che poniamo all’espansione dell’amore di Cristo nel mondo con le nostre mancanze di fiducia, gratitudine e dedizione.

L’offerta all’Amore

195. Per riflettere meglio su questo mistero, ci viene nuovamente in aiuto la luminosa spiritualità di Santa Teresa di Gesù Bambino. Ella sapeva che alcune persone avevano sviluppato una forma estrema di riparazione, con la buona volontà di donarsi per gli altri, che consisteva nell’offrirsi come una sorta di “parafulmine” affinché si realizzasse la giustizia divina: «Pensavo alle anime che si offrono come vittime alla Giustizia di Dio allo scopo di stornare e di attirare su di sé i castighi riservati ai colpevoli»[209]. Ma, per quanto ammirevole potesse sembrare tale offerta, lei non ne era troppo convinta: «Io ero lontana dal sentirmi portata a farla»[210]. Questa insistenza sulla giustizia divina alla fine induceva a pensare che il sacrificio di Cristo fosse incompleto o parzialmente efficace, o che la sua misericordia non fosse sufficientemente intensa.

196. Con la sua intuizione spirituale Santa Teresa ha scoperto che c’è un altro modo di offrire sé stessi, in cui non è necessario saziare la giustizia divina, ma permettere all’amore infinito del Signore di diffondersi senza ostacoli: «O mio Dio! Il tuo amore disprezzato deve restare nel tuo Cuore? Mi sembra che se tu trovassi anime che si offrono come Vittime di olocausto al tuo Amore, tu le consumeresti rapidamente; mi sembra che saresti felice di non comprimere affatto i torrenti di infinite tenerezze che sono in te»[211].

197. Non c’è nulla da aggiungere all’unico sacrificio redentore di Cristo, ma è vero che il rifiuto della nostra libertà non permette al Cuore di Cristo di dilatare in questo mondo le sue “ondate di infinita tenerezza”. Ed è così perché il Signore stesso vuole rispettare tale possibilità. È questo, più che la giustizia divina, a turbare il cuore di Santa Teresa di Gesù Bambino, poiché per lei la giustizia si comprende solo alla luce dell’amore. Abbiamo visto che ella adorava tutte le perfezioni divine attraverso la misericordia, e così le vedeva trasfigurate, raggianti d’amore. Diceva: «Perfino la Giustizia (e forse anche più di ogni altra) mi sembra rivestita d’amore»[212].

198. Nasce così il suo atto di offerta, non alla giustizia divina, ma all’Amore misericordioso: «Mi offro come vittima d’olocausto al tuo Amore misericordioso, supplicandoti di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima le onde di infinita tenerezza che sono racchiuse in te, così che io diventi Martire del tuo Amore, o mio Dio!»[213]. È importante notare che non si tratta solo di permettere al Cuore di Cristo di diffondere la bellezza del suo amore nel nostro cuore, attraverso una fiducia totale, ma anche che attraverso la propria vita raggiunga gli altri e trasformi il mondo: «Nel Cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l’Amore! [...] Così il mio sogno sarà realizzato»[214]. I due aspetti sono inseparabilmente uniti.

199. Il Signore ha accettato la sua offerta. Infatti, qualche tempo dopo lei stessa manifestò un amore intenso per gli altri e affermò che proveniva dal Cuore di Cristo che si prolungava attraverso di lei. Così diceva a sua sorella Leonia: «Ti amo mille volte più teneramente di quanto si amino le sorelle comuni, poiché posso amarti con il Cuore del nostro Sposo celeste»[215]. E qualche tempo dopo disse a Maurice Bellière: «Come vorrei farle comprendere la tenerezza del Cuore di Gesù, ciò che si aspetta da lei!»[216].

Integrità e armonia

200. Sorelle e fratelli, propongo che sviluppiamo questa forma di riparazione, che è, in ultima analisi, offrire al Cuore di Cristo una nuova possibilità di diffondere in questo mondo le fiamme della sua ardente tenerezza. Se è vero che la riparazione implica il desiderio di risarcire gli oltraggi in qualsiasi modo recati all’Amore increato, per dimenticanza o per offesa[217], il modo più appropriato è che il nostro amore offra al Signore una possibilità di espandersi in cambio di quelle volte in cui è stato rifiutato o negato. Questo avviene se si va oltre la semplice “consolazione” a Cristo di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, e si traduce in atti di amore fraterno con cui curiamo le ferite della Chiesa e del mondo. In tal modo offriamo nuove espressioni alla forza restauratrice del Cuore di Cristo.

201. Le rinunce e le sofferenze richieste da questi atti d’amore per il prossimo ci uniscono alla passione di Cristo, e soffrendo con Cristo in «quella mistica crocifissione di cui parla l’Apostolo, tanto più copiosi frutti di propiziazione e di espiazione raccoglieremo per noi e per gli altri»[218]. Solo Cristo salva con il suo sacrificio sulla croce per noi, solo Lui redime, perché c’è «un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,5-6). La riparazione che offriamo è una partecipazione liberamente accettata al suo amore redentore e al suo unico sacrificio. Così diamo compimento «a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella [nostra] carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24), ed è Cristo stesso che prolunga attraverso di noi gli effetti della sua totale donazione per amore.

202. Le sofferenze hanno spesso a che fare con il nostro ego ferito, ma è proprio l’umiltà del Cuore di Cristo che ci mostra la via dell’abbassamento. Dio ha voluto venire a noi annientandosi, facendosi piccolo. Già lo insegna l’Antico Testamento attraverso varie metafore che mostrano un Dio che entra nelle piccolezze della storia e si lascia rifiutare dal suo popolo. Il suo amore si mescola alla vita quotidiana del popolo amato e si fa mendicante di una risposta, come se chiedesse il permesso di mostrare la sua gloria. D’altra parte, «forse una sola volta, con parole sue, il Signore Gesù si è richiamato al proprio cuore. E ha messo in evidenza questo unico tratto: “mitezza e umiltà”. Come se volesse dire che solo con questa via vuole conquistare l’uomo»[219]. Quando Cristo ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29) ci ha indicato che «per esprimersi ha bisogno della nostra piccolezza, del nostro abbassarci»[220].

203. In ciò che abbiamo detto è importante notare diversi aspetti inseparabili, perché queste azioni di amore verso il prossimo, con tutte le rinunce, le abnegazioni, le sofferenze e le fatiche che comportano, compiono tale funzione quando sono alimentate dalla carità di Cristo stesso. Egli ci permette di amare come Lui ha amato e così Egli stesso ama e serve attraverso di noi. Se da un lato sembra rimpicciolirsi, annientarsi, perché ha voluto mostrare il suo amore mediante i nostri gesti, dall’altro, nelle più semplici opere di misericordia, il suo Cuore viene glorificato e manifesta tutta la sua grandezza. Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale e gli permette di espandersi nella propria vita con il suo fuoco, diventa capace di amare gli altri come Cristo, facendosi piccolo e vicino a tutti. Così Cristo sazia la propria sete e diffonde gloriosamente in noi e attraverso di noi le fiamme della sua tenerezza ardente. Notiamo la bella armonia che c’è in tutto questo.

204. Infine, per comprendere questa devozione in tutta la sua ricchezza, è necessario aggiungere, riprendendo quanto detto sulla sua dimensione trinitaria, che la riparazione di Cristo come essere umano si offre al Padre mediante l’opera dello Spirito Santo in noi. Pertanto, la nostra riparazione al Cuore di Cristo è rivolta in ultima analisi al Padre, che si compiace di vederci uniti a Cristo quando ci offriamo attraverso di Lui, con Lui e in Lui.

FAR INNAMORARE IL MONDO

205. La proposta cristiana è attraente quando può essere vissuta e manifestata integralmente: non come semplice rifugio in sentimenti religiosi o in riti sfarzosi. Che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interesse per aiutare gli altri a soffrire meno e a vivere meglio? Potrà forse piacere al Cuore che ha tanto amato se rimaniamo in un’esperienza religiosa intima, senza conseguenze fraterne e sociali? Siamo onesti e leggiamo la Parola di Dio nella sua interezza. Ma per questo stesso motivo diciamo che non si tratta nemmeno di una promozione sociale priva di significato religioso, che alla fine sarebbe volere per l’uomo meno di quello che Dio vuole dargli. Ecco perché dobbiamo concludere questo capitolo ricordando la dimensione missionaria del nostro amore per il Cuore di Cristo.

206. San Giovanni Paolo II, oltre a parlare della dimensione sociale della devozione al Cuore di Cristo, ha fatto riferimento alla «riparazione, che è cooperazione apostolica alla salvezza del mondo»[221]. Allo stesso modo, la consacrazione al Cuore di Cristo «è da accostare all’azione missionaria della Chiesa stessa, perché risponde al desiderio del Cuore di Gesù di propagare nel mondo, attraverso le membra del suo Corpo, la sua dedizione totale al Regno»[222]. Di conseguenza, attraverso i cristiani, «l’amore sarà riversato nei cuori degli uomini, perché si edifichi il corpo di Cristo che è la Chiesa e si costruisca anche una società di giustizia, pace e fratellanza»[223].

207. Il prolungamento delle fiamme d’amore del Cuore di Cristo avviene anche nell’opera missionaria della Chiesa, che porta l’annuncio dell’amore di Dio manifestato in Cristo. San Vincenzo de’ Paoli lo insegnava molto bene quando invitava i suoi discepoli a chiedere al Signore «questo cuore, questo cuore che ci faccia andare dovunque, questo cuore del Figlio di Dio, cuore di Nostro Signore, […] che ci disponga ad andare, come egli andrebbe […] ed invia anche noi come loro [gli apostoli] a portare dovunque il fuoco»[224].

208. San Paolo VI, rivolgendosi alle Congregazioni che diffondono la devozione al Sacro Cuore, ricordava che «non vi è dubbio che l’impegno pastorale e lo zelo missionario arderanno in maniera vivissima, se, sacerdoti e fedeli, al fine di propagare la gloria di Dio, contempleranno l’esempio dell’amore eterno che Cristo ci ha mostrato, e rivolgeranno i loro sforzi per rendere partecipi tutti gli uomini delle imperscrutabili ricchezze di Cristo»[225]. Alla luce del Sacro Cuore, la missione diventa una questione d’amore, e il rischio più grande in questa missione è che si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo che abbraccia e che salva.

209. La missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita. Perciò li addolora perdere tempo a discutere di questioni secondarie o a imporre verità e regole, perché la loro preoccupazione principale è comunicare quello che vivono e, soprattutto, che gli altri possano percepire la bontà e la bellezza dell’Amato attraverso i loro poveri sforzi. Non è ciò che accade a qualsiasi innamorato? Vale la pena di prendere ad esempio le parole con cui Dante Alighieri, innamorato, cercava di esprimere questa logica:

«Io dico che pensando il suo valore

Amor sì dolce mi si fa sentire,

che s’io allora non perdessi ardire,

farei parlando innamorar la gente»[226].

210. Parlare di Cristo, con la testimonianza o la parola, in modo tale che gli altri non debbano fare un grande sforzo per amarlo, questo è il desiderio più grande di un missionario dell’anima. Non c’è proselitismo in questa dinamica d’amore: le parole dell’innamorato non disturbano, non impongono, non forzano, solamente portano gli altri a chiedersi come sia possibile un tale amore. Con il massimo rispetto per la libertà e la dignità dell’altro, l’innamorato semplicemente spera che gli sia permesso di raccontare questa amicizia che riempie la sua vita.

211. Cristo ti chiede, senza venir meno alla prudenza e al rispetto, di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con Lui. Ti chiede di avere il coraggio di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato: «Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32). Ma per il cuore innamorato non è un obbligo, è una necessità difficile da contenere: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (1 Cor 9,16). «Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9).

In comunione di servizio

212. Non si deve pensare a questa missione di comunicare Cristo come se fosse solo una cosa tra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa. Se ci allontaniamo dalla comunità, ci allontaneremo anche da Gesù. Se la dimentichiamo e non ci preoccupiamo per essa, la nostra amicizia con Gesù si raffredderà. Non va mai dimenticato questo segreto. L’amore per i fratelli della propria comunità – religiosa, parrocchiale, diocesana – è come un carburante che alimenta la nostra amicizia con Gesù. Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo. L’ha detto il Signore stesso: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

213. È un amore che diventa servizio comunitario. Non mi stanco di ricordare che Gesù l’ha detto con grande chiarezza: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Egli ti propone di trovarlo anche lì, in ogni fratello e in ogni sorella, soprattutto nei più poveri, disprezzati e abbandonati della società. Che bell’incontro!

214. Pertanto, se ci dedichiamo ad aiutare qualcuno, non significa che ci dimentichiamo di Gesù. Al contrario, lo troviamo in un altro modo. E quando cerchiamo di sollevare e guarire qualcuno, Gesù è lì accanto a noi. Infatti, è bene ricordare che quando mandò i suoi discepoli in missione «il Signore agiva insieme con loro» (Mc 16,20). Egli è lì, lavora, lotta e fa del bene con noi. In modo misterioso, è il suo amore che si manifesta attraverso il nostro servizio, è Lui stesso che parla al mondo in quel linguaggio che a volte non può avere parole.

215. Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote. Ovunque tu sia, potrai sentire che Lui ti chiama e ti manda a vivere questa missione sulla terra. Egli stesso ci dice: «Vi mando» (Lc 10,3). Questo fa parte dell’amicizia con Lui. Perciò, affinché tale amicizia maturi, bisogna che ti lasci mandare da Lui a compiere una missione in questo mondo, con fiducia, con generosità, con libertà, senza paure. Se ti chiudi nelle tue comodità, questo non ti darà sicurezza, i timori, le tristezze, le angosce appariranno sempre. Chi non compie la propria missione su questa terra non può essere felice, è frustrato. Quindi è meglio che ti lasci inviare, che ti lasci condurre da Lui dove vuole. Non dimenticare che Lui ti accompagna. Non ti getta nell’abisso e ti lascia abbandonato alle tue forze. Lui ti spinge e ti accompagna. L’ha promesso e lo fa: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20).

216. In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo. Santa Teresa di Gesù Bambino lo viveva come elemento imprescindibile della sua offerta all’Amore misericordioso: «Volevo dar da bere al mio Amato e io stessa mi sentivo divorata dalla sete delle anime»[227]. Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria. Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri.

CONCLUSIONE

217. Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune.

218. Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre.

219. Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità.

220. Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 ottobre dell’anno 2024, dodicesimo di Pontificato.

FRANCESCO

[162] S. Margherita Maria Alacoque, Autobiografia, n. 55, Roma 1983, 134.

[163] Ead., Lettera 133, 10: Scritti autobiografici, Roma 1984, 182-183.

[164] Ead., Autobiografia, n. 92, Op. cit., 180.

[165] Lett. enc. Annum Sacrum (25 maggio 1899): ASS 31 (1898-99), 649.

[166] Giuliano, Ep. XLIX ad Arsacium Pontificem Galatiae, Mainz 1828, 90-91.

[167] Ibid.

[168] Dicastero per la Dottrina della Fede, Dich. Dignitas infinita (2 aprile 2024), 19: L’Osservatore Romano, 8 aprile 2024.

[169] Cfr Benedetto XVI, Lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù in occasione del 50° anniversario dell’Enciclica Haurietis Aquas (15 maggio 2006): AAS 98 (2006), 461.

[170] In Num. homil. 12, 1: PG 12, 657.

[171] Epist. 29, 24: PL 16, 1060.

[172] Adv. Arium 1, 8: PL 8, 1044.

[173] Tract. in Joannem 32, 4: PL 35, 1643.

[174] In Ev. S. Joannis, cap. VII, lectio 5.

[175] Pio XII, Lett. enc. Haurietis Aquas (15 maggio 1956), II: AAS 48 (1956), 321.

[176] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 38: AAS 79 (1987), 411.

[177] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 62.

[178] Ivi, 60.

[179] Sermones super Cant., XX, 4: PL 183, 869.

[180] Introduzione alla vita devota, p. III, c. XXXV: Opere complete di Francesco di Sales, vol. 3: Filotea. Introduzione alla vita devota, Roma 2009, 220-221.

[181] Sermone per la XVII Domenica dopo Pentecoste.

[182] Gesù, la sua Passione, Ritiro fatto a Nazaret, 5-15 novembre 1987: C. de Foucauld, La vita nascosta. Ritiri in Terra Santa (1897-1900), Roma 1974, 72.

[183] Dal 19 marzo 1902 tutte le sue lettere sono intestate con le parole Jesus Caritas separate da un cuore sormontato dalla croce.

[184] Lettera a Don Huvelin, 15 luglio 1904: Opere spirituali, Roma 1983, 633.

[185] Lettera a Dom Martin, 25 gennaio 1903: C. de Foucauld, «Cette chère dernière place». Lettres à mes frères de la Trappe, Paris 2012, 311.

[186] Citato in René Voillaume, Les fraternités du Père de Foucauld, Paris, 1946, 173.

[187] Meditazioni dei santi Vangeli sui passi relativi a quindici virtù, Nazaret 1897-1898, Carità 77 (Mt 20,28): C. de Foucauld, Meditazioni sui passi dei vangeli relativi a Dio solo, fede, speranza, carità (1897-1898), Roma 1973, 325.

[188] Ivi, Carità 90 (Mt 27,30): Op. cit., 338.

[189] H. Huvelin, Quelques directeurs d’âmes au XVII siècle, Paris 1911, 97.

[190] Cfr Conferenze alle Figlie della Carità, 85 (11 novembre 1657), “Servizio ai malati, cura della propria salute” (Regole comuni, artt. 12-16): San Vincenzo de’ Paoli, Opere, vol. 9, Roma 2008, 757.

[191] Costituzioni e Statuti della Congregazione della Missione, Roma 1984, 110.

[192] Lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù (Paray-le-Monial, 5 ottobre 1986): L’Osservatore Romano, 6 ottobre 1986, p. 7.

[193] San Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia (2 dicembre 1984), 16 : AAS 77 (1985), 215.

[194] Cfr Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 36: AAS 80 (1988), 561-562.

[195] Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 41: AAS 83 (1991), 844-845.

[196] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1888.

[197] Cfr Catechesi, 8 giugno 1994, 2: L’Osservatore Romano, 9 giugno 1994, p. 5.

[198] Discorso ai partecipanti al colloquio internazionale “Réparer l’irréparable”, nel 350° delle apparizioni di Gesù a Paray-le-Monial, 4 maggio 2024: L’Osservatore Romano, 4 maggio 2024, p. 12.

[199] Ibid.

[200] Omelia nella Messa mattutina nella Domus Sanctae Marthae, 6 marzo 2018: L’Osservatore Romano, 5-6 marzo 2018, p. 8.

[201] Discorso ai partecipanti al Colloquio internazionale “Réparer l´irréparable”, nel 350° anniversario delle apparizioni di Gesù a Paray-le-Monial, 4 maggio 2024: L’Osservatore Romano, 4 maggio 2024, p. 12.

[202] Omelia nella Messa Crismale, 28 marzo 2024: L’Osservatore Romano, 28 marzo 2024, p. 2.

[203] Ibid.

[204] Ibid.

[205] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 80: AAS 107 (2015), 879.

[206] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1085.

[207] Ivi, n. 268.

[208] Autobiografia, n. 53, Roma 1983, 131.

[209] S. Teresa di Gesù Bambino, Ms A, 84r°: Opere complete, Roma 1997, 209-210.

[210] Ivi: Op. cit., 210.

[211] Ibid.

[212] Ead., Ms A, 83v°: Op. cit., 209; cfr Lettera 226 a padre Adolfo Roulland, 9 maggio 1897: Op. cit., 572.

[213] Ead., Offerta di me stessa come Vittima d’Olocausto all’Amore Misericordioso del Buon Dio, 2r°-2v°: Op. cit., 943.

[214] Ead., Ms B, 3v°: Op. cit., 223.

[215] Ead., Lettera 186, a Leonia, 11 aprile 1896: Op. cit., 521.

[216] Ead. Lettera 258, al Reverendo Maurice Bellière, 18 luglio 1897, 2r°: Op. cit., 598.

[217] Cfr Pio XI, Lett. enc. Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928): AAS 20 (1928), 169.

[218] Ibid.

[219] S. Giovanni Paolo II, Catechesi, 20 giugno 1979: L’Osservatore Romano, 22 giugno 1979, p. 1.

[220] Omelia nella Messa mattutina nella Domus Sanctae Marthae, 27 giugno 2014: L’Osservatore Romano, 28 giugno 2014, p. 8.

[221] Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù, Varsavia, 11 giugno 1999, Solennità del Sacro Cuore di Gesù: L’Osservatore Romano, 12 giugno 1999, p. 5.

[222] Ibid.

[223] Lettera all’Arcivescovo di Lione in occasione del pellegrinaggio a Paray-le-Monial, per il centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù, 4 giugno 1999: L’Osservatore Romano, 12 giugno 1999, p. 4.

[224] Conferenze ai Preti della Missione, 135 (22 agosto 1655), “Ripetizione dell’Orazione”: San Vincenzo de’ Paoli, Opere, vol. 10, Roma 2008, 237-238.

[225] Lett. Diserti interpretes (25 maggio 1965), 4: Enchiridion della Vita Consacrata, Bologna-Milano 2001, n. 3809.

[226] Vita Nova, XIX, 5-6.

[227] Ms A, 45v°: Opere complete, Roma 1997, 146.